Lemuri
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Lemuri: ombre malevole dell’antica Roma

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Nell’intricato tessuto della cultura e delle credenze dell’antica Roma, i Lemuri occupano un posto affascinante e temibile. Queste entità spettrali, avvolte nel mistero e nella paura, rappresentavano per i Romani una realtà inquietante e pericolosa. Al contrario dei benevoli Manes, le anime divinizzate dei defunti venerati, i Lemuri erano spiriti malevoli e disturbati, che si credeva infestassero i vivi, portando con sé tormenti e sventure. La loro presenza era così radicata nella società romana che ogni anno veniva celebrato un festival, la Lemuria, dedicato a placare queste anime irrequiete.

La credenza nei Lemuri rifletteva profonde paure legate alla morte e all’aldilà, oltre a questioni di moralità e di rapporti familiari. I Lemuri, infatti, erano spesso associati a coloro che non avevano ricevuto un’adeguata sepoltura o erano morti in circostanze violente e irrisolte. Questi spiriti, incapaci di trovare pace, vagavano per la terra dei vivi, perseguitando le famiglie con cui avevano conti in sospeso. I testi antichi e il folklore romano descrivono i Lemuri come entità senza forma definita, quasi sempre oscure e terrificanti, molto simili ai fantasmi nelle tradizioni moderne.

Nell’antica Roma, la distinzione tra i diversi tipi di spiriti dei morti era chiara e significativa. I Lares erano gli spiriti protettivi della casa e della famiglia, derivanti dalle anime dei defunti benvoluti. Al contrario, i Lemuri erano temuti come le anime malvagie di coloro che non riuscivano a trovare pace. L’idea che una morte senza discendenti o senza i dovuti riti funebri potesse trasformare un’anima in un Lemure era una paura diffusa, e sottolineava l’importanza delle cerimonie funebri e del culto degli antenati nella cultura romana.

In questo articolo, esploreremo in dettaglio chi erano i Lemuri, come venivano percepiti e rappresentati dagli antichi Romani, e quali pratiche e rituali venivano adottati per affrontarli. Attraverso un viaggio tra storia, folklore e credenze religiose, scopriremo come questi spiriti maligni abbiano influenzato la vita quotidiana e la cultura di una delle civiltà più affascinanti della storia.

Cosa erano i Lemuri

Nel 753 a.C., circa 2.800 anni fa, il leggendario re Romolo fondò la città di Roma e istituì il Regno Romano. In quell’epoca esisteva il concetto di Manes, ossia le anime divinizzate e benevoli dei cari defunti. All’estremità opposta dello spettro spirituale si trovavano i malevoli Lemuri (Lemures in latino).

Come già anticipato, i Manes erano originariamente considerati spiriti benevoli. Il loro nome, infatti, era spesso accompagnato dalla parola “dèi” (Dii Manes), per sottolineare la loro natura divina. Successivamente, il termine Manes venne utilizzato anche per indicare i fantasmi degli individui defunti. Il primo scrittore a fare questo uso del termine fu Marco Tullio Cicerone (106 a.C.-43 a.C.) contemporaneo di Giulio Cesare e Augusto.

La descrizione fisica dei Lemuri è avvolta nel mistero, poiché venivano rappresentati principalmente come entità oscure e senza forma, simili a fantasmi. Secondo i testi antichi e il folklore, i Lemuri erano spiriti maligni dei defunti che cercavano di causare danni ai vivi. Prendevano di mira le famiglie con cui avevano affari in sospeso o che li avevano offesi in vita. Come i fantasmi moderni, i Lemuri erano particolarmente attivi di notte.

Il rischio di diventare un Lemure era alto per chi non riceveva una sepoltura adeguata con riti funebri e non veniva venerato dai vivi. Questo concetto risuona familiare poiché rappresenta l’archetipo della storia di fantasmi, incarnando il soprannaturale, la paura e le questioni di moralità e mortalità.

Immagine rappresentativa di Lemuri nell'antica Roma (proprietà esclusiva di Archaeus © 2024)
Immagine rappresentativa di Lemuri nell’antica Roma (proprietà esclusiva di Archaeus © 2024)

Per gli antichi romani, i Lemuri rappresentavano un problema serio, poiché perseguitavano e tormentavano i vivi. Il loro tormento poteva manifestarsi in diversi modi: da effetti psicologici sottili, come incubi, a conseguenze più dirette, come malattie. A differenza dei fantasmi moderni, nell’antica Roma non c’erano scettici riguardo all’esistenza dei Lemuri.

Anche la mancanza di figli era considerata una maledizione dai Romani, e chi moriva senza prole era destinato a diventare un Lemure. Questa categoria comprendeva anche gli spiriti di coloro che erano morti prematuramente, rimanendo intrappolati sul piano terreno fino alla fine della loro vita assegnata, le vittime di omicidi e di morti violente, i criminali giustiziati e coloro che erano annegati.

Un’ulteriore lettura dei Lemuri suggerisce che, invece di essere entità malevole (paragonabili a larve spirituali o astrali), potrebbero rappresentare le anime di coloro che hanno subìto una morte violenta o prematura, o che erano profondamente scontenti. Di conseguenza, si aggiravano tra i viventi, tormentando gli individui e spingendoli alla pazzia. Questa interpretazione trova riscontro nelle narrazioni contemporanee riguardanti gli spiriti nelle abitazioni infestate.

Differenze tra Larve spiritiche e Lemuri

Nell’antica Roma, i concetti di Larve e Lemuri rappresentavano diverse tipologie di spiriti legati ai defunti, ma con significati distinti. I Lemuri erano considerati gli spiriti dei morti non pacificati, spesso percepiti come malevoli o inquietanti, mentre le Larve erano considerate spiriti tormentatori, spesso visti come fantasmi vendicativi o inquietanti. Se i Lemuri avevano una festa dedicata a placarli, le Larve erano comunque oggetto di rituali esorcistici per proteggere i vivi dalla loro influenza malevola. Inoltre, rispetto alle Larve spiritiche, i Lemuri rappresentavano un aspetto più ritualistico e culturale del culto dei morti.

Lemuria: l’antica celebrazione per placare gli spiriti

Il termine Lemure, utilizzato per descrivere un tipo di mammifero notturno originario del Madagascar, è stato coniato nel XVIII secolo dal naturalista svedese Carlo Linneo (Carl Nilsson Linnaeus, 1707-1778), considerato il fondatore della tassonomia moderna. La parola Lemure proviene dal latino Lemures, che significa spiriti della notte. Si ritiene che Linneo abbia scelto questo nome poiché alcune caratteristiche di questi animali richiamavano i Lemuri dell’antica Roma.

Tuttavia, si è comunemente e erroneamente creduto che Linneo facesse riferimento all’aspetto spettrale, agli occhi riflettenti e alle grida inquietanti dei Lemuri (animali). Furono i fantasmi romani a ispirare il nome dei primati del Madagascar e non il contrario. Nel Faust (1800) di Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832), un coro di Lemuri al servizio di Mefistofele scava la tomba di Faustus.

Quasi quattro secoli prima che il filosofo e teologo romano, Aurelio Agostino d’Ippona (354-430 d.C.), conosciuto anche come Sant’Agostino, esprimesse le sue riflessioni sulle credenze pagane, i Romani rendevano omaggio ai loro antenati e documentavano le loro cerimonie. Già in quel periodo, l’origine delle celebrazioni pacificatrici era avvolta nel mistero.

Lemures è il termine letterario più diffuso, anche se comunque raro, utilizzato dai poeti augustei come Quinto Orazio Flacco, noto più semplicemente come Orazio (65-8 a.C.) e Publio Ovidio Nasone, noto semplicemente come Ovidio (43 a.C.-ca 18 d.C.).

Agostino, che morì durante l’attacco dei Vandali all’Africa romana, scrisse sulle ombre romane diversi secoli dopo la maggior parte dei riferimenti letterari e pagani latini a questi spiriti. Orazio nelle sue Epistole (20 a.C.) nel secondo libro scrive: «nocturnos lemures portentaque Thessala rides?», che significa «Ridi dei lemuri notturni e dei portenti della Tessaglia?».

Ovidio impiega il termine nei Fasti 5.422 (poema in distici elegiaci a carattere calendariale ed eziologico che espone le origini delle festività romane), dove i termini Manes e Lemures sono usati come sinonimi, entrambi indicanti entità ostili che necessitano di un esorcismo attraverso la Lemuria, una festa per prevenire il ritorno di un Lemure dalla tomba.

«ritus erit veteris, nocturna Lemuria, sacri:
inferias tacitis manibus illa dabunt.
»

ovvero

«Saranno gli antichi riti sacri della Lemuria,
quando faremo offerte agli spiriti senza voce.»

Fasti 5.422 (8 d.C.) – Ovidio

I rituali della Lemuria

La Lemuria, o Lemuralia, durava tre giorni, era l’equivalente romano del nostro Halloween, una festa dedicata a tutti i tipi di spiriti impuri. La festa era talvolta associata ad un’altra ricorrenza, quella greca dell’Anthesteria, una celebrazione primaverile del risveglio della natura.

Lemuria si svolgeva il 9, l’11 e il 13 maggio, rendendo l’intero mese sfortunato per ogni tipo di attività, soprattutto per i matrimoni. Durante la Lemuria, infatti, le aziende e i templi erano chiusi e la gente osservava i rituali per i morti.

Nonostante la durata di diversi giorni, i romani non festeggiavano ininterrottamente; un giorno di festa era seguito da un giorno di riposo. Dal punto di vista dei romani, la Lemuria non era una celebrazione ma un rituale per proteggere la casa e i propri cari dalle forze ultraterrene. Il rituale più importante veniva eseguito durante l’ultima notte dai capifamiglia per proteggere le loro case dai Lemuri.

Rappresentazione del rituale nella Lemuria
Rappresentazione del rituale nella Lemuria

Nel cuore della notte, ogni partecipante si lavava le mani tre volte, metteva in bocca dei fagioli neri e camminava a piedi nudi per la casa lanciando altri fagioli neri sopra la spalla mentre gridava: «Con questi fagioli riscatto me e i miei familiari». L’incantesimo veniva ripetuto nove volte senza voltarsi indietro. Si pensava che gli eventuali Lemuri presenti lo seguissero, raccogliessero i fagioli e se ne andassero fino alla prossima Lemuria.

Mentre camminava, l’uomo teneva anche una mano nel segno delle corna (il pollice incrociato sulle due dita centrali e l’indice e la piccola mano estesi), un gesto amuletico che lo proteggeva da eventuali fantasmi che avrebbe potuto incontrare inaspettatamente. Per concludere il rituale, si lavava di nuovo le mani e poi batteva una sorta di cimbali d’ottone esortando tutti i Lemuri non invitati a lasciare i locali. Il terzo e ultimo giorno, i mercanti organizzavano una festa per riprendere le normali attività e far prosperare gli affari. Immagini fatte di giunchi venivano gettate nel fiume Tevere.

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