Dalle inquietanti cassette VHS alle terrificanti presenze che si arrampicano sui muri, l’horror di matrice giapponese ha esercitato un’influenza significativa sul mondo del cinema e della televisione per molti anni. Tuttavia, le origini di queste storie spaventose di fantasmi giapponesi sono molto più profonde e antiche di quanto la maggior parte del pubblico occidentale possa pensare.
Le radici paranormali dell’horror giapponese risalgono ai kaidan, le tradizionali storie di fantasmi create sia per intrattenere che per trasmettere un messaggio morale. Le storie di fantasmi giapponesi, noti come Yūrei, fin dai primi periodi della loro storia, hanno contribuito a plasmare un tessuto narrativo unico che si è evoluto nel corso dei secoli. Queste storie hanno influenzato non solo il genere horror, ma anche la letteratura, l’arte, il teatro e la cultura popolare, rendendo gli yūrei una parte integrante dell’identità culturale del Giappone.




Ho letto un libro molto interessante di Zack Davisson, un esperto di folclore giapponese e autore di Yūrei: The Japanese Ghost (2015) in cui afferma che «I fantasmi e il Giappone sono strettamente legati». Gli yūrei, (o spiriti giapponesi), rappresentano un tema ricorrente e fondamentale nella storia della civiltà giapponese, rendendo quasi impossibile separare il Giappone dai suoi fantasmi.
Storia dei fantasmi giapponesi
Nell’antico folclore e nella letteratura giapponese si può trovare la presenza di fantasmi giapponesi, conosciuti come Obake (お化け) o Yūrei (幽霊). Questi esseri spettrali sono spesso presenti in racconti morali, pensati sia per avvertire che per intrattenere. Tuttavia, sono anche un elemento di grande importanza nel culto degli antenati. Se i membri defunti di una famiglia non venivano onorati, potevano causare scompiglio nella vita quotidiana di coloro che li avevano dimenticati. Non esisteva un rimedio infallibile per evitare gli spettri, i demoni e i folletti. L’unica protezione contro il male era la preghiera o la fiducia nei poteri protettivi degli dei shintoisti o del Buddha. Tuttavia, va notato che questi spiriti non sono sempre malvagi. A volte, i loro poteri possono essere neutralizzati, e in alcuni casi, possono persino essere convertiti per fare del bene mediante incantesimi e rituali appropriati.


Le origini
La credenza nei fantasmi in Giappone affonda le sue radici negli indigeni Ainu, che li consideravano come manifestazioni del lato oscuro dell’anima umana. Questi spiriti, noti come takup, potevano apparire nei sogni, trasmettere messaggi dai defunti o guidare l’individuo in un viaggio spirituale. Si credeva che se il viaggiatore si fosse svegliato prima di “ritornare” nel proprio corpo durante tale viaggio, sarebbe morto.
La fede negli spiriti (o nei kami), parte integrante della religione shintoista, ha una lunga storia in Giappone. Caratteristiche naturali prominenti o insolite, come montagne, sorgenti e rocce dalla forma strana, sono considerate manifestazioni di un kami, spesso associato a un dio importante. Anche il Buddismo, con la sua attenzione all’aldilà, ha portato in Giappone storie di fantasmi e folletti provenienti dalla Cina. Molti di questi spiriti personificavano le tentazioni e gli ostacoli verso l’illuminazione. Chiaramente, nella cultura giapponese esiste un mondo completamente distinto da quello dei vivi, e i fantasmi giapponesi fungono da ponte occasionale tra questi due mondi.
Nell’antico Giappone, si credeva che dopo la morte gli individui si trasformassero in spiriti. Era di vitale importanza che i vivi onorassero gli spiriti dei loro antenati. Questo omaggio poteva essere reso attraverso preghiere e piccole offerte presso un santuario appositamente costruito all’interno della casa di famiglia. Se gli spiriti degli antenati non venivano onorati e ricordati, potevano diventare “spiriti affamati” o gaki (scritto anche gakki). Questi spiriti, perennemente affamati e assetati, erano caratterizzati da pance enormi e tormentavano i vivi, portando sfortuna e malattie. Allo stesso tempo, gli antenati potevano agire come protettori delle fortune dei vivi; storie comuni narravano di fantasmi di madri defunte che continuavano a vegliare sui loro figli ancora in vita.

Nel folclore giapponese, gli spiriti dei defunti assumono diverse forme e nomi a seconda delle circostanze della loro morte e del loro comportamento nell’aldilà.
I fantasmi nella cultura giapponese
Per comprendere appieno la profonda connessione tra il Giappone e i suoi fantasmi, è essenziale esplorare il rapporto unico che i giapponesi hanno con i loro defunti. Le tradizioni religiose del buddismo hanno avuto un impatto significativo sulla percezione della morte e dell’aldilà, afferma Fumiko Jōo, assistente professore di studi asiatici presso la Mississippi State University. Queste tradizioni hanno plasmato idee fondamentali sulla vita, la morte, la reincarnazione, la salvezza e la punizione.
Secondo le credenze tradizionali giapponesi, tutti gli esseri umani hanno uno spirito o un’anima chiamata Reikon (霊魂). Quando una persona muore, il Reikon lascia il corpo ed entra in una forma di purgatorio, dove attende che vengano celebrati i riti funebri e post-funebri adeguati per potersi unire ai suoi antenati. Se questo viene fatto correttamente, il Reikon dovrebbe essere un protettore della famiglia vivente e tornare ogni agosto durante il Festival Obon per ricevere i ringraziamenti. Ma di queste festività ne tratterò nei prossimi paragrafi.
Zack Davisson aggiunge che anche la religione shintoista ha contribuito a formare questa prospettiva, risalendo alle radici del culto degli antenati che, nel corso del tempo, si è trasformato nell’attuale sistema di credenze shintoiste. Gli Yūrei sono una manifestazione di una convinzione radicata secondo cui gli esseri umani ospitano in sé un dio, il quale viene liberato dopo la morte e assume un potere soprannaturale. Onorando gli spiriti con i giusti rituali e cure, si crede che essi veglino e proteggano le persone dalla sfortuna. Tuttavia, se i riti sono trascurati o se lo spirito ha questioni irrisolte, può manifestarsi come yūrei nell’aldilà.

È fondamentale comprendere che gli yūrei costituiscono un sottoinsieme degli yōkai, una categoria più ampia che abbraccia tutti gli esseri strani e soprannaturali nel folclore giapponese. Tuttavia, etichettare gli yūrei semplicemente come fantasmi giapponesi risulterebbe una semplificazione eccessiva, come sottolineano gli studiosi. La definizione di yūrei è in continua evoluzione, legata al periodo storico e alle specifiche narrazioni da cui traggono origine.
In passato, gli yūrei erano descritti come invisibili e senza forma nell’antico Giappone, mentre nel periodo Heian (794-1185) erano indistinguibili dagli esseri umani. Un esempio noto di questa epoca è la leggenda di Otsuyu, in cui un uomo si innamora di una giovane donna solo per scoprire che lei è un fantasma.
L’immagine iconica degli yūrei che conosciamo oggi risale principalmente al periodo Edo o Tokugawa del Giappone (1603-1868), caratterizzata da uno spirito con viso pallido, capelli neri disordinati, kimono funerario bianco e l’assenza di piedi. Alcuni studiosi ritengono che l’artista giapponese Maruyama Ōkyo (1733-1795), durante l’era Edo, abbia contribuito a rendere popolare questa rappresentazione quando dipinse un ritratto della sua amante defunta, una giovane geisha, che gli apparve in visione.
Differenza tra Yūrei e Yōkai
Nonostante i nomi possano suggerire una somiglianza, queste entità sono del tutto distinte. Mentre gli Yōkai sono principalmente creature demoniache che originano dagli spiriti di animali, oggetti o emozioni umane, gli Yūrei derivano esclusivamente dagli spiriti umani e possono infestare oggetti, luoghi e altre persone.
Si tratta di due categorie di entità sovrannaturali che popolano il folclore giapponese, ciascuna con le sue peculiarità e misteri. Esploriamo più a fondo queste affascinanti figure.
- Yōkai:
- Origine e Natura: Gli Yōkai sono creature misteriose e spesso bizzarre. La loro origine è variegata: alcuni nascono dallo spirito di animali, altri da oggetti o persino da emozioni umane. Sono esseri che sfidano le leggi della natura e si manifestano in forme strane e inquietanti.
- Varietà: La gamma di Yōkai è vasta. Alcuni sono maliziosi, altri innocui. Alcuni vivono nelle montagne, altri nei boschi o nelle acque. Alcuni sono noti per spaventare i viandanti, mentre altri possono essere amichevoli o addirittura buffi.
- Esempi:
- Kappa: Creature acquatiche con una cavità sulla testa che contiene acqua. Se l’acqua viene versata, il Kappa diventa debole.
- Tengu: Esseri con lunghe naso-rossi e poteri sovrannaturali. Possono essere sia benevoli che maliziosi.
- Tanuki: Trasformisti con la capacità di cambiare forma. Sono noti per le loro pance gonfie e per giocare scherzi ai viaggiatori.
- Ruolo Culturale: Gli Yōkai sono parte integrante delle storie popolari giapponesi e spesso rappresentano metafore per aspetti della vita umana.
- Yūrei:
- Origine e Natura: Gli Yūrei sono spiriti dei defunti. Nascono esclusivamente dallo spirito delle persone che hanno subito una morte tragica o violenta. Sono legati al mondo terreno da affetti irrisolti o vendette.
- Manifestazioni: Gli Yūrei possono apparire come figure pallide, spesso vestite in abiti funebri. Sono associati a luoghi specifici, come case infestate o luoghi di morte.
- Obiettivi: Gli Yūrei cercano giustizia o redenzione. Possono infestare oggetti, posti o altre persone per raggiungere i loro scopi.
- Esempi:
- Oiwa: Un famoso Yūrei del teatro kabuki, con un volto sfigurato e un lungo capo di capelli neri. Cerca vendetta per la sua morte ingiusta.
- Okiku: Una serva che si crede sia morta ingiustamente e ora infesta un pozzo, contando i piatti per l’eternità.
- Yotsuya Kaidan: Una storia di Yūrei che coinvolge tradimenti, vendette e fantasmi vendicativi.
- Impatto Culturale: Gli Yūrei sono spesso presenti in racconti di fantasmi giapponesi, teatro e letteratura nipponici.
Mentre gli Yōkai sono creature eccentriche e variegate, gli Yūrei sono spiriti tormentati che portano con sé il peso delle loro vite passate. Entrambi contribuiscono a rendere il folclore giapponese ricco di fascino e mistero.
Si riteneva che ogni individuo avesse al suo interno una divinità, vincolata e indebolita dalla carne solo per la durata della sua esistenza terrena. Con la morte, lo spirito veniva infuso di poteri sovrannaturali. Conosciuta come mitama, reikon o tamashi in giapponese, l’anima si libera dal guscio di carne del suo corpo e subisce una trasformazione più gloriosa di quella di qualsiasi farfalla. Detentori di “fuoco, inondazioni, pestilenza e carestia”, questi dei defunti regnavano in modo supremo.
Gli Yūrei
Gli Yūrei (幽霊) sono entità paragonabili ai fantasmi nel concetto occidentale. Il termine è composto da due kanji: 幽 (yū), che significa “debole” o “tenue”, e 霊 (rei), che significa anima o spirito. Altri nomi includono Bōrei (亡霊), che indica uno spirito rovinato o partito, Shiryō (死霊), che significa spirito morto, o i termini più generali Yōkai (妖怪) o Obake (お化け). Come le loro controparti cinesi, coreane e occidentali, si ritiene che siano spiriti esclusi da un’aldilà pacifica. Rappresentando le anime dei defunti che non hanno trovato pace, queste entità spettrali sono spesso il risultato di morti violente o inaspettate, o di forti emozioni negative come rabbia o gelosia.

Tuttavia, definire yūrei come “fantasma giapponese” può essere fuorviante. Gli Yūrei sono entità uniche, molto diverse da ciò che l’Occidente interpreta come fantasmi. La lingua giapponese distingue tra i due tipi di fantasmi, utilizzando il kanji 幽霊 per yūrei e il termine occidentalizzato ゴースト per i fantasmi.
Sia i fantasmi occidentali che gli yūrei giapponesi sono spiriti dei defunti, rappresentazioni del passato che si estendono con una mano fredda, morta e spesso indesiderata nel presente confortevole. Tuttavia, i fantasmi occidentali sono più un mezzo narrativo. Sono entità mutevoli che si adattano alle necessità del momento e possono essere utilizzate per suscitare paura o umorismo, o addirittura romanticismo e guarigione.
Origini degli Yūrei

Patrick Lafcadio Hearn (1850-1904), noto anche con lo pseudonimo di Koizumi Yakumo, è stato un giornalista, scrittore e iamatologo irlandese naturalizzato giapponese, famoso per i suoi scritti sul Giappone. Fu lui a coniare la Dominazione dei Defunti nel suo storico libro del 1903 Japan: An Attempt at Interpretation. Essendo un estraneo in una terra straniera, Hearn aveva cercato di comprendere il suo nuovo ambiente, il motivo per cui la sua nuova moglie compiva strani rituali ogni mattina e sera davanti all’altare di famiglia, il motivo per cui doveva chiudere le finestre più alte della sua casa in certi giorni dell’anno, il motivo per cui i morti erano tanto rispettati e temuti.
Gli yūrei divenivano una relazione simbiotica, in cui i vivi hanno bisogno di placare i morti, e i morti a loro volta vegliano sui vivi. Senza comprendere il rapporto del popolo giapponese con gli yūrei, con i loro defunti, non si potrebbe mai capire veramente il Giappone. E quando si parla di yūrei, tutte le strade portano infine a Lafcadio Hearn. In Giappone le due parole sono quasi sinonime. Se dici yūrei a un giapponese, la risposta è quasi sempre Lafcadio Hearn.
Laddove altre culture vedevano grandi esseri mistici nel cielo scagliare fulmini con martelli d’argento o precipitarsi nel cielo notturno su cavalli alati, il Giappone vedeva solo i morti. Fin dall’antichità del periodo Jōmon (circa 10000-300 a.C.), i giapponesi hanno basato le loro convinzioni spirituali su spiriti e sepolture. L’antico Giappone potrebbe aver avuto elementi di animismo e venerazione della natura, ma esisteva una gerarchia ben definita: gli spiriti della natura erano subordinati al potere dell’onryō, del goryō e dello yūrei.
Si riteneva che ogni individuo avesse al suo interno una divinità, vincolata e indebolita dalla carne solo per la durata della sua esistenza terrena. Con la morte, lo spirito veniva infuso di poteri sovrannaturali. Conosciuta come mitama, reikon o tamashi in giapponese, l’anima si libera dal guscio di carne del suo corpo e subisce una trasformazione più gloriosa di quella di qualsiasi farfalla. Detentori di “fuoco, inondazioni, pestilenza e carestia”, questi dei defunti regnavano in modo supremo.
Caratteristiche degli Yūrei

Verso la fine del XVII secolo, Hyakumonogatari Kaidankai, un gioco di società didattico di ispirazione buddista durante il periodo Edo, guadagnò popolarità, e il kaidan divenne un argomento sempre più comune nel teatro, nella letteratura e in altre forme d’arte. L’artista Ukiyo-e Maruyama Ōkyo, il cui vero nome era Maruyama Masataka (1733-1795), produsse il primo esempio noto dell’ormai classico yūrei, nel suo dipinto Il fantasma di Oyuki. Il Zenshō-an (全生庵), un tempio buddista Rinzai Zen, situato a Taitō, Tokyo, detiene la più vasta collezione di dipinti yūrei, che vengono esposti solo in agosto, il mese tradizionalmente associato agli spiriti.
Oggi, l’aspetto degli yūrei è piuttosto standardizzato, indicando immediatamente la loro natura spettrale e garantendo la loro autenticità culturale.
Gli Yūrei si presentano con un corpo emaciato, pallido, dai lunghi capelli neri e disordinati. Si sostiene che questa caratteristica provenga dal teatro kabuki dove vengono usate parrucche per tutti gli attori che interpretano gli yūrei. Non si è mai capito perché, dato che le donne giapponesi tradizionalmente si facevano crescere i capelli e li portavano raccolti. Ma evidentemente gli attori facevano riferimento al rito funebre, in quanto i capelli venivano lasciati sciolti per il funerale e la sepoltura.
Una delle caratteristiche più iconografiche riguarda le mani degli yūrei, raffigurate pendenti e le braccia piegate ai gomiti tenuti vicino al corpo. A volte yūrei sono visti e disegnati privi di gambe, ma ci sono casi in cui le gambe e i piedi sono penzolanti e il corpo fluttua a qualche decina di centimetri dal pavimento. polsi, che vengono tenuti distesi con i gomiti vicino al corpo. Di solito non hanno gambe e piedi e fluttuano nell’aria. Anche questa rappresentazione viene dal teatro giapponese, in special modo si possono riscontrare nelle stampe artistiche giapponesi ukiyo-e del periodo Edo, impresse su carta con matrici di legno e adottate molto presto nel kabuki, dove per rappresentare la fluttuazione del personaggio, si sollevava l’attore in aria tramite un sistema di corde e carrucole.

Gli yūrei sono spesso raffigurati accompagnati da fuochi fatui fluttuanti chiamati hitodama, che assumono diversi colori: ci sono hitodana blu, verdi o viola. Si tratta di fiammelle spettrali come parti separate del fantasma piuttosto che spiriti indipendenti. Infine, si narra che portino fazzoletto avvolto intorno al capo che assume la forma triangolare diventata famosa grazie soprattutto ad opere teatrali col nome di hitaikakushi.
Il termine generico yūrei è utilizzato per designare tutti gli spettri giapponesi, ma vi sono varie sottocategorie all’interno di questa classificazione. Va notato che un singolo fantasma potrebbe essere descritto utilizzando più di uno dei seguenti termini, in quanto l’uso di questi varia in base agli elementi specifici delle caratteristiche su cui ci si concentra.
Yūrei nella tradizione giapponese
Gli Yūrei sono integrati nella vita quotidiana, influenzando i vivi e guidando il corso degli eventi. Possono provocare catastrofi se non trattati con rispetto o portare benessere se onorati adeguatamente. Hanno il loro giorno di festa: la celebrazione estiva di Obon (お盆) o anche Bon (盆), il Giorno dei Morti. I giapponesi organizzano feste e celebrazioni di accoglienza per gli spiriti dei defunti che intraprendono il lungo viaggio di ritorno a casa una volta all’anno, quando i confini tra il mondo dei vivi e quello dei morti diventano più sottili.
Gli Yūrei hanno avuto un ruolo nel cambiamento della capitale del paese. Prima dell’istituzione di una capitale permanente a Heijō-kyō, l’attuale città di Nara, nel 710, la capitale e tutte le corti e gli edifici associati venivano trasferiti in una nuova posizione ogni volta che un imperatore moriva e un successore ascendeva al Trono del Crisantemo. Questo ha evitato l’ostilità persistente degli yūrei dell’imperatore precedente, che avrebbero potuto provare gelosia per l’ascesa al potere del suo successore.
Nella religione dello Shintoismo, la purezza è un concetto di grande importanza. Molte attività ora comuni in Giappone, come il fare lunghi bagni e il togliere le scarpe all’interno della casa, possono essere ricondotte alle radici shintoiste e ai concetti di purezza. Alcune attività e stati sono considerati contaminati, e solo la purezza ritualizzata può purificare queste macchie. Il sangue è una delle macchie più tabù, tradizionalmente le donne mestruate non possono entrare in un santuario Shinto a causa della macchia di sangue. Tuttavia, di tutti i tabù dello Shintoismo, nulla è più contaminato della morte.
Gli kami Shinto amano la vita e odiano la morte. Amano la pulizia e disprezzano lo sporco. I corpi morti sono intrinsecamente contaminati e non possono essere portati alla presenza degli kami a meno che non siano purificati. L’acqua è un modo per lavare via questa macchia, e il colore bianco è un altro. Ancora oggi nel Giappone moderno, i santuari Shinto sono spesso decorati con strisce bianche di carta che simboleggiano la purificazione, e quasi ogni santuario ha un piccolo bacino d’acqua fuori dove i visitatori possono lavarsi del mondo esterno e entrare nel luogo sacro puri.


Una purificazione totale, simbolizzata da un completo lavaggio del corpo e dall’indossare un kimono bianco candido, rende una persona abbastanza pura da entrare direttamente alla presenza degli spiriti kami del Giappone. I sacerdoti Shinto, che comunicano quotidianamente con queste divinità, si sottopongono regolarmente a questa purificazione totale. Per i cittadini comuni, ci sono poche occasioni in cui avranno bisogno di essere così ritualmente purificati. Il matrimonio è uno di questi casi, e l’altro è la sepoltura.

Per i viaggi nell’aldilà, i corpi giapponesi venivano lavati accuratamente. Tradizionalmente, questo era fatto dai membri stretti della famiglia in una cerimonia conosciuta come yukan. Una volta ritualmente purificato, il corpo veniva vestito con quello che viene chiamato kyōkatabira, un kimono bianco speciale riservato a questo scopo.
Durante il festival a Tokyo, chiamato Shukatsu, i partecipanti scelgono il loro abito funebre, tagliano un pezzo di carta per una bara piena di fiori e vi si sdraiano per una foto. Non solo, le persone acquistano anche lotti nel cimitero.
Ma se viene indossato un kimono bianco nel rito funebre, di che colore è il kimono nuziale? I kimono indossati dalle spose sono di uno stile diverso e si chiamano shiro-maku, anche se questa somiglianza di costumi ha portato alcuni a speculare che la sposa giapponese stia simbolicamente “morendo” come un bambino.
Tipologie di Yūrei
Il termine generico yūrei è utilizzato per designare tutti gli spettri giapponesi, ma vi sono varie sottocategorie all’interno di questa classificazione. Va notato che un singolo fantasma potrebbe essere descritto utilizzando più di uno dei seguenti termini, in quanto l’uso di questi varia in base agli elementi specifici delle caratteristiche su cui ci si concentra.
Ecco un’analisi più approfondita sulla varietà di fantasmi giapponesi in ordine alfabetico:
- Funayūrei (船幽霊 or 舟幽霊, Spiriti Marini): sono gli spiriti di coloro che hanno perso la vita in mare. Talvolta rappresentati come esseri umanoidi squamosi simili a pesci, alcuni possono assumere una forma simile a sirene o tritoni.
- Fuyūrei (浮遊霊, Spiriti Fluttuanti): questi spiriti non hanno uno scopo specifico e vagano senza meta. In passato, si pensava che il fluttuare di questi spiriti nell’aria potesse causare malattie all’imperatore del Giappone. Inoltre, il termine Fuyūrei può riferirsi a fantasmi in cui solo l’anima del defunto fluttua nell’aria, come nel caso di Onryō e Goryō.
- Gaki, noti anche come Preta o Peta (餓鬼, Spiriti affamati): nella tradizione buddista, sono spiriti afflitti e condannati a una esistenza tormentata. Questi esseri sono descritti come creature affamate o assetate, e il loro stato è spesso interpretato come una forma di punizione karmica per i loro vizi e desideri eccessivi durante la vita terrena. I Gaki sono spesso associati a una sorta di prigione karmica, dove sono intrappolati a causa dei loro comportamenti negativi, quali avidità, egoismo o altri vizi. La loro esistenza è considerata una lezione sulla natura effimera e insoddisfacente dei desideri mondani.
- Goryō (御霊, Spiriti Nobili Vendicativi): sono gli spiriti di nobili o persone competenti che, dopo aver perso una lotta per il potere politico o essere morti prematuramente a causa di un’epidemia, si trasformano in Onryō. I Goryō sono un tipo specifico di spiriti vendicativi.
- Ikiryō (生霊, Fantasmi dei vivi): un fenomeno spirituale unico, rappresenta un fantasma che emerge quando una persona è ancora in vita. Questo tipo di spirito prende forma a causa di un intenso desiderio di vendetta da parte della persona stessa, separandosi in parte da essa per perseguire il nemico desiderato. Nel caso in cui la persona si trovi in uno stato di debolezza fisica o in condizioni come il coma o una malattia grave, l’Ikiryō può manifestarsi nelle vicinanze dei propri familiari.
- Jibakurei (地縛霊, Spiriti Legati alla Terra): simili ai Fuyūrei ma più rari, questi spiriti non cercano uno scopo specifico e sono invece legati a luoghi o situazioni particolari. Un esempio noto è la storia di Okiku al pozzo del Castello di Himeji e le infestazioni presenti nel film Ju-On: The Grudge.
- Jikininki (食人鬼, Spettri mangiatori di uomini): sono creature leggendarie presenti nella mitologia giapponese, particolarmente nel folclore buddhista. Si tratta di spiriti o creature sovrannaturali che si nutrono di cadaveri umani. La parola Jikininki può essere tradotta approssimativamente come mangiatori di uomini o demoni divoratori di cadaveri. Queste creature sono descritte come esseri tormentati e maledetti che sono costretti a compiere questo compito ripugnante a causa dei loro peccati in vita. Secondo le leggende, i Jikininki sono anime di persone che hanno condotto una vita egoista e avida, trasformandosi in queste creature come punizione per i loro comportamenti immorali. Sono spesso raffigurati come esseri disperati e tristi, costretti a nutrirsi dei resti mortali per placare la loro fame insaziabile.
- Onryō (怨霊, Spiriti Vendicativi): rappresentano spiriti vendicativi che tornano nel mondo dei vivi per perseguire la vendetta. Comunemente ritratti come figure femminili nel teatro kabuki, questi fantasmi giapponesi sono spesso vittime indifese in vita, tormentate dalle sofferenze inflitte dal loro coniuge o amante. La loro presenza è temuta poiché possono causare disastri attraverso la possessione.
- Ubume (産女, Spiriti delle Madri): sono gli spiriti delle madri decedute durante il parto o che hanno lasciato i loro bambini piccoli. Ritornano per prendersi cura dei loro figli, spesso portando loro dolci come gesto di affetto e protezione.
- Zashiki-warashi (座敷童子, or 座敷童, Fantasmi dei Bambini): questi fantasmi giapponesi rappresentano i bambini e sono noti per il loro comportamento dispettoso, spesso giocando scherzi ai vivi. Le leggende locali della prefettura di Iwate, nella regione di Tōhoku (sull’isola di Honshū),li associano al portare fortuna alle case che abitano.
Ma vediamoli meglio da vicino.
Funayūrei, gli Spiriti marini

I Funayūrei, letteralmente traducibili come spiriti della barca (in giapponese, 船幽霊 o 船幽霊), sono una categoria di spiriti, noti anche come yūrei, che si sono trasformati in fantasmi vendicativi, praticamente gli Onryō nel contesto marino. Ma degli Onryō ne scriverò nei paragrafi successivi. Queste figure sono tramandate nel folclore di diverse regioni del Giappone e compaiono regolarmente nelle storie di fantasmi giapponesie negli scritti del periodo Edo, oltre a persistere nelle tradizioni popolari moderne. Nelle prefetture di Yamaguchi e Saga, sono denominati Ayakashi.
I Funayūrei sono spesso associati a eventi tragici in mare, come naufragi o perdite di vite durante tempeste. Questi spiriti vendicativi possono manifestarsi per cercare giustizia o per punire coloro che sono responsabili delle loro morti premature. La loro presenza nelle leggende giapponesi riflette la connessione profonda tra la vita marina e le credenze soprannaturali, sottolineando come il mare, sebbene vitale per la vita e l’economia, possa anche essere un luogo carico di mistero e pericolo, con gli spiriti delle vittime che aleggiavano nelle acque come testimoni delle tragedie del passato.
Caratteristiche dei Funayūrei
I Funayūrei sono fantasmi giapponesi associati al mare, noti per il loro presunto utilizzo degli hishaku (mestoli) per riempire d’acqua le imbarcazioni e farle affondare. Secondo le leggende, questi spiriti vendicativi rappresentano i resti di individui deceduti in naufragi e si crede che cercano di persuadere gli umani a unirsi a loro nell’aldilà. In alcune regioni, sono anche chiamati mōjabune (亡者船), bōko o ayakashi.
L’aspetto dei Funayūrei varia ampiamente nelle leggende, comprendendo fantasmi giapponesi che appaiono sull’acqua, barche che diventano esse stesse fantasmi (navi fantasma), spiriti che si manifestano su navi occupate da esseri umani e altre combinazioni di tali manifestazioni. A volte, vengono descritti come simili a umibōzu (gigantesche figure umanoidi di colore nero) o come una luce fantasma atmosferica. Le leggende si estendono a diverse location, comprese le acque marine, i fiumi, i laghi e le paludi delle aree interne.

Gli incontri con i Funayūrei sono spesso associati a giorni di pioggia, notti di luna nuova o piena, tempeste e nebbie. Quando si presentano come barche, emettono una luce tale da renderli visibili anche di notte. Durante il sedicesimo giorno di Bon (un calendario lunare), i morti tenterebbero di avvicinarsi alle navi per farle affondare. L’illusione di scogliere o barche senza puleggia, apparsa durante notti nebbiose, avrebbe lo scopo di far ribaltare le imbarcazioni, e si dice che queste illusioni possano essere dissipate navigando attraverso di esse.
Oltre al tentativo di affondare le navi, i Funayūrei sono associati a varie interferenze durante la navigazione. Ad esempio, nella città di Ōtsuki, nella prefettura di Kochi, provocano il malfunzionamento delle bussole delle barche. Nella prefettura di Toyoma, i pescherecci diretti verso Hokkaido vengono trasformati in Funayūrei, spingendo l’equipaggio a impiccarsi. Nella prefettura di Ehime, si dice che cambiare rotta per evitare un Funayūrei può portare l’imbarcazione ad incagliarsi.
Esistono varie leggende su come scacciare i Funayūrei, che variano a seconda della regione. Ad esempio, nella prefettura di Miyagi, si dice che scompaiano se si ferma la nave e si osserva il Funayūrei per un po’. In altre zone, mescolare l’acqua con un bastone o lanciare oggetti specifici in mare sono considerati metodi di protezione. In alcune circostanze, affermare di essere uno dei Funayūrei o accendere un fiammifero e lanciarlo sono considerati modi per disperdere o allontanare questi spiriti maligni.
Fuyūrei, gli Spiriti fluttuanti
I Fuyūrei sono gli spiriti fluttuanti (o erranti), entità che secondo la credenza giapponese, errano in questo mondo poiché non riescono a comprendere o accettare la propria morte. Questa terminologia è stata coniata da Toshiya Nakaoka, noto anche come Toshio Okamoto (1926-2001), una figura di spicco nell’ambito del boom psichico in Giappone.

In un contesto più ampio, il termine spiriti fluttuanti può anche riferirsi agli spiriti in generale che si separano dal proprio corpo. Nella prima accezione, si tratta di spiriti che persistono nel mondo terreno senza ascendere al cielo o raggiungere uno stato di “Buddità”. Secondo sensitivi e consiglieri spirituali, ciò può verificarsi in seguito a morti improvvise o quando la persona non riesce a accettare psicologicamente il proprio decesso.
I Fuyūrei che prendono dimora in luoghi o edifici specifici possono essere distinti come spiriti terreni. Questi spiriti legati a luoghi specifici possono mantenere una presenza persistente e influenzare l’ambiente circostante, secondo la concezione giapponese delle entità soprannaturali.
Storia dei Fuyūrei

Nell’antico Giappone, si credeva che l’anima potesse facilmente separarsi dal corpo. In un antico commento al Festival del Requiem, viene descritto il requiem come un rituale atto a pacificare un Fuyūrei, posizionandolo nella parte centrale del corpo. Le feste di requiem erano particolarmente enfatizzate nei rituali di corte giapponesi.
Si tratta di cerimonie che si tenevano nella corte imperiale per far riposare l’anima dell’Imperatore ad Ayakiden, vicino ai Tre Santuari del Palazzo Imperiale (Kyuchu Sanden), il giorno prima del Festival Niinamesai. L’Imperatore e l’Imperatrice osservano fedelmente le antiche tradizioni e i riti della Corte Imperiale e pregano continuamente per la prosperità del popolo giapponese in quasi venti cerimonie ed eventi che si tengono durante tutto l’anno. Anche altri membri della Famiglia Imperiale onorano e osservano le tradizioni e i riti della Corte Imperiale. I Tre Santuari del Palazzo sono:
- Kashikodokoro: Conserva l’antenato imperiale Amaterasu-omikami (dea del sole).
- Koreiden: Ospita le anime dei defunti dei successivi Imperatori e Famiglie Imperiali, che vengono consacrate un anno dopo la loro morte.
- Shinden: Consacra varie divinità giapponesi provenienti da tutto il paese.
Per quanto riguarda la transizione dalla malattia alla morte, dall’antichità al Medioevo in Giappone, si riteneva che le malattie degli imperatori fossero causate da spiriti maligni o vendicativi che fluttuavano nell’aria e invadevano il corpo dell’Imperatore. La rimozione abile di questi spiriti malevoli avrebbe permesso all’Imperatore di evitare la morte e tornare nel mondo dei vivi, mentre il fallimento avrebbe portato il corpo dell’Imperatore a diventare un cadavere. Questi spiriti furono poi identificati come mononoke e divennero, non solo oggetto di raffinato studio, ma anche di popolare conoscenza.
Ad esempio, nel romanzo del 1957 Genji monogatari (La Storia di Genji) di Murasaki Shikibu (ca 973-1025), una scena rituale, si fa menzione di un odore di semi di papavero (ma è la senape che viene utilizzata come medicina speciale per esorcizzare i mononoke). Murasaki Shikibu è stata una romanziera, poetessa e dama di compagnia giapponese alla corte imperiale nel periodo Heiandurante (794-1185). Successivamente, il metodo del requiem si ritenne inefficace nell’eliminare i mononoke, dando origine e perfezionamento al metodo di esorcismo basato sul buddismo esoterico noto come goshuho.




In luoghi come Amami, dove il Buddismo ha scarsa influenza, venivano effettuate offerte agli spiriti Fuyūrei durante il Festival di Arasetsu. Pratiche simili erano diffuse anche al Festival di Oyadama durante il Capodanno delle Sette Isole nelle Isole Tokara. La tribù Tao, un gruppo indigeno di Taiwan che risiede sull’isola di Lanyu, nella costa sudorientale di Taiwan, ha una tradizione di accogliere i Fuyūrei posizionando uno scolapasta pieno di offerte sul tetto delle proprie case.
Gaki (o Preta/Peta), gli Spiriti affamati
I Gaki (in giapponese) o Preta (in sanscrito) sono noti come spiriti affamati in diverse lingue asiatiche. In Cina sono chiamati èguǐ, in Corea li chiamano agwi e in Vietnam, ngạ quỷ. Si tratta di entità presenti nel buddhismo. Questi esseri sono rinati in uno stato inferiore rispetto agli esseri umani e animali a causa del loro comportamento segnato da avarizia o gelosia.

La prima menzione buddhista di tali esseri risale al Petavatthu (I racconti degli spiriti), raccolto nel Sutta Piṭaka (la seconda grande categoria di testi canonici buddhisti contenuti nel Canone pāli – la più antica collezione di testi canonici buddhisti pervenutaci integralmente). Nella sezione Khuddaka Nikāya, si legge che i Gaki sono comunemente raffigurati con colli e bocche minuscole, e ventri ingenti, simbolo dell’insaziabile attaccamento al desiderio (ṭṛṣṇā) che li ha condotti a questa esistenza. Il loro desiderio di cibo è perpetuamente insoddisfatto, e a seconda delle tradizioni, si dice che non possano nutrirsi (il cibo si trasforma in braci al contatto con la bocca) o si debbano accontentare di alimentarsi solo di feci. Questi spiriti sono spesso descritti come vaganti invisibili nel mondo umano, partecipando talvolta alle sofferenze nel Naraka, il mondo degli inferi buddhisti.
Per aiutare i Gaki e tutti gli esseri senzienti intrappolati nel Naraka, i paesi buddhisti Mahāyāna celebrano ogni anno la Festa di Ullambana. Tradizionalmente, nel contesto buddhista, i Gaki occupano uno stato specifico noto come il Mondo dei Gaki (o Mondo dei Preta) all’interno della suddivisione sestuplice dei mondi dell’esistenza. Nel buddhismo Tiāntái, questa suddivisione è ulteriormente dettagliata, arrivando a dieci mondi, con comunque il persistere della condizione di Gaki (Preta).
Goryō, gli Spiriti nobili vendicativi

Gli spiriti Goryō sono più o meno la stessa cosa degli Onryō (che descriverò meglio nel paragrafo a loro dedicato) e spesso, una storia di fantasmi Goryō viene raccontata come quella dei fantasmi Onryō. In senso ampio, il termine Goryō rappresenta un titolo onorifico attribuito a uno spirito, specialmente a quelli che generano infestazioni, ed è spesso utilizzato come sinonimo di Onryō (ovvero fantasmi vendicativi). In un contesto più specifico, si riferisce a individui che, durante la loro vita, erano nobili o esperti ma hanno perso una lotta per il potere politico o sono prematuramente deceduti a causa di epidemie o altre malattie. Questi individui diventano onyō, portatori di pestilenza o carestia, e vengono successivamente consacrati come kami all’interno dei santuari shintoisti.
Un esempio è riportato nel Sandai Jitsuroku, un documento storico giapponese che menziona sei santuari shintoisti dedicati al culto dei Goryō, rappresentanti gli spiriti di coloro che sono morti in circostanze non naturali. Successivamente, altri due santuari furono aggiunti, portando il numero totale a otto. Il Goryō Shinko (御霊信仰, ovvero Credenza nei Goryō) è associato alla convinzione che gli Onryō delle persone sfortunate possano causare infestazioni e disastri. La credenza prevede anche che consacrare tali spiriti come kami possa placarli e mitigare il loro impatto negativo sulla vita delle persone.
Caratteristiche dei Goryō
L’antica credenza nella capacità degli spiriti (di coloro che morivano con risentimento o rabbia) di causare infestazioni, esisteva già prima del periodo Nara (710-794). Tuttavia, durante tale periodo e quello Heian (794-1185), questa convinzione si evolse, focalizzandosi sugli spiriti di coloro che morivano dopo essere stati sconfitti in lotte di potere tra la nobiltà. Si riteneva che questi spiriti potessero causare pestilenze e disastri naturali, portando alla costruzione di santuari shintoisti per placare e consacrare questi spiriti come kami. Un esempio di questo concetto è il principe Sawara (早良親王, 750-785), il quinto figlio del principe Shirakabe (in seguito imperatore Kōnin), che, dopo essere stato privato della sua posizione e morire nel 785, fu associato a un’epidemia di peste a Kyoto, portando alla costruzione del Santuario Kamigoryo nel 794.

Un altro esempio illustre di Goryō è il kami shintoista noto come Tenjin. Sugawara no Michizane, un funzionario governativo, fu vittima di un complotto orchestrato da un membro rivale del clan Fujiwara. Dopo la sua morte, la capitale fu colpita da calamità naturali, e la corte attribuì tali disastri all’Onryō di Michizane. Per placare il suo spirito, l’imperatore intervenne, ripristinando tutti i suoi incarichi e promuovendolo al secondo grado senior. Tuttavia, nonostante queste azioni, i disordini continuarono. Circa settant’anni dopo la sua morte, Michizane fu elevato alla carica di Daijō-daijin (太政大臣, “Cancelliere del Regno”) e divinizzato come Tenjin-sama, la “divinità celeste”. Questo santuario, fondato a Kitano, lo venera come protettore della calligrafia, della poesia e di coloro che subiscono ingiustizie. Con il sostegno del governo, il santuario fu rapidamente promosso al primo rango tra i santuari ufficiali.
Cosa sono i Kami?
I Kami (神), nella religione shintoista giapponese, sono entità divine, fenomeni mitologici, forze della natura o spiriti naturali venerati. Essi possono assumere diverse forme, come elementi del paesaggio, manifestazioni della natura o spiriti di defunti venerati. Alcuni kami rappresentano antichi antenati che, alla morte, diventano kami solo se incarnano i valori e le virtù divine durante la loro vita. Tradizionalmente, anche grandi leader, come l’Imperatore, potevano essere o diventare kami.

Nel contesto dello Shintoismo, i kami non sono separati dalla natura, ma ne fanno parte, possedendo caratteristiche sia positive che negative. Essi sono considerati manifestazioni dell’energia di interconnessione dell’universo, nota come musubi, e rappresentano ideali a cui l’umanità dovrebbe aspirare. Si crede che i kami vivessero in un’esistenza complementare rispetto al nostro mondo, noto come shinkai, il mondo dei kami. Essere in armonia con la natura e comprendere la via dei kami, chiamata kannagara no michi, è fondamentale nella spiritualità shintoista.
Il termine Kami in giapponese può significare divinità, spirito o aspetto della spiritualità. Può essere utilizzato per descrivere la mente, Dio, l’Essere Supremo, una divinità shintoista o qualsiasi cosa oggetto di venerazione. La parola non è sempre chiara nella distinzione tra singolare e plurale, ma si utilizza il suffisso -kami per indicare il concetto singolare e kamigami per indicare più kami. L’etimologia del termine è ancora oggetto di dibattito, ma alcuni suggerimenti includono l’interpretazione come spirito o aspetto della spiritualità e l’origine dalla parola Ainu kamuy.
Ikiryō, i Fantasmi dei vivi

Si ritiene che uno spirito vivente, chiamato Ikiryō (o Shoryo, Seirei o Ikisudama), sia l’emanazione dell’anima di una persona ancora in vita, capace di lasciare il corpo e spostarsi liberamente. Questo concetto ha radici antiche e molte narrazioni su spiriti viventi sono state tramandate attraverso opere letterarie e tradizioni culturali.
È importante notare che l’antitesi di uno spirito vivente è rappresentata da uno spirito morto. Le persone hanno creduto da tempi antichi nella capacità dell’anima umana di separarsi liberamente dal corpo, e questa credenza è stata tramandata attraverso varie storie e materiali tradizionali. Secondo il Kojien (un dizionario di lingua giapponese), uno spirito vivente è talvolta descritto come lo spirito vendicativo di una persona ancora in vita, capace di infliggere maledizioni. Tuttavia, esistono anche racconti di spiriti viventi che possiedono altri individui per motivi diversi dalla vendetta, compresi casi in cui persone prossime alla morte hanno sperimentato la manifestazione di uno spirito vivente o hanno visitato i propri cari.
Storia dei fantasmi Ikiryō
Nella letteratura classica giapponese, storie celebri come quella de Il racconto di Genji narrano di spiriti viventi o onryō che, per vari motivi, lasciano il corpo e influenzano gli eventi umani. Uno degli esempi è Rokujo Mishudokoro, amante di Genji, diventata uno spirito vivente che maledice Aoi no Ue, portandola alla morte. Questo tema è riflettuto anche nell’opera teatrale Noh Aoi no Ue. Le Noh sono opere scientifiche secolari che cercano temi tratti dal mondo reale e pongono maggiore enfasi su espressioni .basate su temi soprannaturali.
Un’altra storia del periodo Heian (794-1185) parla di uno spirito vivente della provincia di Omi che, giunto a Kyoto, provoca la morte delle persone. Si scopre successivamente che è il fantasma della moglie del capomarito, dimostrando che gli spiriti viventi possono influenzare la realtà.
Inoltre, ci sono storie di fantasmi giapponesi che possiedono persone amate anziché odiate. Ad esempio, il caso di Matsunosuke, figlio di Matsutoya Tokubei, che viene posseduto da una giovane innamorata di lui, portando a comportamenti strani e conversazioni con gli spiriti.
In una storia della raccolta Sorori Monogatari del periodo Kanbun (1661-1673), uno spirito femminile vaga con una testa decapitata, generando eventi inquietanti e fraintendimenti. Questi racconti riflettono la convinzione antica che i sogni potessero rivelare esperienze degli spiriti viventi mentre interagivano con il mondo umano.
I fantasmi Ikiryō nella cultura giapponese
In Giappone, esistono leggende diffuse secondo le quali le anime delle persone morenti diventano spiriti viventi. Nel distretto di Nishitsugaru, prefettura di Aomori, si parla di amabito, anime che escono poco prima della morte e visitano coloro che desiderano incontrare. Nella prefettura di Akita, la pratica simile è chiamata Hidamashi. In altre regioni, come la penisola di Noto, esiste la credenza Shininbo, secondo cui le anime si recano in un tempio prima di morire.

Il folclore giapponese racconta di Omaku nella regione di Tono, Iwate, dove immagini di vivi e morti si trasformano in illusioni visibili agli occhi umani. Un esempio narra di un’apparizione premonitrice al Tempio Koganji. Leggende simili si trovano anche in altre regioni, specialmente durante la guerra, quando si racconta che le anime dei caduti tornassero a salutare i loro cari.
Un racconto del 1940 da Umedoi, prefettura di Mie, parla di una palla di fuoco inseguibile, che si rivelò essere l’anima di una donna. Queste storie riflettono la ricca tradizione di credenze popolari e testimoniano la connessione tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti nella cultura giapponese.
Spiriti viventi considerati malati

Durante il primo periodo Edo (1603-1690), la comparsa degli spiriti viventi era temuta e considerata una sorta di malattia, identificata con i nomi Rikonbyo, Kage no Yamai e Kagewazurai. Esistono anche racconti di persone che hanno incontrato fantasmi identici a loro stesse, simili a doppelgänger di natura paranormale. Altri racconti narrano di individui il cui spirito si trova posseduto da fantasmi, consentendo loro di osservare la propria persona dall’esterno. Nel periodo Heian (794-1185), la figura dello spirito vivente in movimento era denominata Akugaru, e si ritiene che da qui derivi l’origine del termine Akugaru nel contesto amoroso, indicando un amore così intenso da far perdere la propria presenza mentale, come se ci si stesse avvicinando a qualcuno in uno stato di trance.
Pratiche e rituali sugli spiriti viventi

Ushi no Toki Mairi è un rituale in cui una persona, durante il periodo del bue, pianta un chiodo in un albero sacro. In questo rituale, diventa un demone mentre è ancora in vita e utilizza il potere del demone per lanciare maledizioni e portare sventure su chiunque abbia scontentato o disprezzato. A differenza degli spiriti viventi che si muovono inconsciamente, questo rituale viene eseguito consapevolmente come atto di maledizione, causando sofferenza all’altra persona. Nella prefettura di Okinawa, una maledizione che coinvolge l’intenzionale possesso di uno spirito vivente su un’altra persona o animale, causando danni, è nota come ichijama.
Allo stesso modo, testimonianze di esperienze pre-morte descrivono la separazione tra corpo e coscienza. Un’altra possibile interpretazione è la proiezione fuori dal corpo (OOBE, Out of body experience), fenomeno in cui la coscienza lascia il corpo come anima e osserva obiettivamente il proprio corpo. Si ritiene che le persone facilmente attaccabili, dipendenti o con rimpianti abbiano maggiori probabilità di essere possedute da spiriti viventi.
Jibakurei, Spiriti legati alla terra
Gli Jibakurei sono spiriti legati alla terra, entità che, a causa di circostanze come morti improvvise, sentimenti di risentimento, o suicidi, si trovano nella condizione di non riuscire ad accettare la propria morte. Questo concetto è stato coniato sempre da Toshiya Nakaoka, un’autorità giapponese nel campo degli spiriti. Secondo Nakaoka, coloro che muoiono in circostanze traumatiche o con sentimenti negativi persistono in uno stato di rifiuto della morte. Si ritiene che questi spiriti diventino “consapevoli della morte” solo dopo un periodo prolungato, durante il quale rimangono vicini alla terra, acquisendo la denominazione di “spiriti legati alla terra“.

In occidente li chiamiano fantasmi residui, noti nei paesi anglosassoni come restligeist, un termine tedesco in cui restlich significa “di un luogo o di un edificio”, e geist si riferisce a uno spirito o un fantasma.
Questo fenomeno è stato menzionato per la prima volta dall’archeologo e parapsicologo inglese T. C. Lethbridge (Thomas Charles Lethbridge, 1901-1971) nel suo libro Ghost and Ghoul del 1961, nel quale scrive che in determinati luoghi si verificano ripetutamente suoni misteriosi e strani eventi associati a una persona specifica, quasi come se fossero riprodotti ciclicamente come su un nastro.
Jikininki, Spettri mangiatori di uomini
Nella mitologia e nel contesto del buddismo giapponese, i Jikininki sono yūrei, ovvero fantasmi giapponesi, che hanno trascorso una vita mortale caratterizzata da meschinità, avidità ed egoismo. Dopo la morte, vengono maledetti e condannati a nutrirsi di resti umani. Questi spiriti sono spesso equiparati ai ghoul, creature mostruose presenti nel folclore arabo, note anche come goal o goli.
Caratteristiche dei Jikininki

I Jikininki sono creature legate al folclore giapponese che operano durante le ore notturne, cibandosi dei resti organici dei recentemente defunti. Si infiltrano nei luoghi di veglia per consumare le offerte di cibo lasciate in memoria dei defunti. A volte, oltre a nutrirsi dei cadaveri, rubano anche oggetti di valore per corrompere funzionari locali, cercando di ottenere un lasciapassare nella loro attività notturna. Queste creature, consapevoli della loro deplorevole condizione, provano disgusto per l’obbligo di nutrirsi ogni notte di carne umana.
I Jikininki assumono sembianze simili a cadaveri in decomposizione, con dettagli inumani come artigli affilati e occhi incandescenti. La loro apparizione è spesso descritta come orribile, inducendo il terrore in chiunque si trovi loro di fronte, paralizzandoli dalla paura. Diverse versioni della leggenda suggeriscono che i Jikininki possano mutare la propria forma, mimetizzandosi da esseri umani ordinari e persino condurre una vita normale durante il giorno.
Queste creature sono considerate Gaki (in giapponese) o Preta (in sanscrito), rientrando nel mondo del desiderio. A volte, vengono associati anche a concetti come rakshasa o gaki, ovvero fantasmi affamati. Secondo alcune versioni della leggenda, i Jikininki possono essere liberati dalla loro esistenza deplorevole attraverso i ricordi, le offerte o le preghiere di individui virtuosi e giusti, possessori di uno spirito puro e senza onorevole disonore familiare.
La leggenda del Jikininki

La leggenda del Jikininki è raccontata attraverso l’antico racconto giapponese del monaco buddista Musō Soseki (1275-1351), forse il monaco più famoso del suo tempo, conosciuto anche come Musō Kokushi (夢窓国師). Durante il suo viaggio solitario attraverso le montagne della prefettura di Mino, Musō si perse quasi al crepuscolo. Vedendo un vecchio anjitsu (un eremita) sulla cima di una collina, Musō chiese rifugio per la notte, ma il vecchio monaco eremita rifiutò aspramente, indicando un villaggio nelle vicinanze dove avrebbe potuto trovare cibo e alloggio.
Seguendo le indicazioni, Musō fu calorosamente accolto dal capo-villaggio, il quale gli fornì cibo e alloggio. Tuttavia, poco prima di mezzanotte, un giovane lo svegliò per informarlo della morte del padre, deceduto proprio quella mattina. Il giovane non aveva rivelato la notizia in precedenza per non mettere Musō in imbarazzo. Durante la notte, gli abitanti del villaggio si erano trasferiti altrove, lasciando il cadavere da solo, ma Musō si offrì di vegliare il defunto svolgendo la cerimonia di sepoltura.
E proprio durante quella veglia notturna, Musō fu testimone di un essere informe che entrò nella stanza, divorando il cadavere e le offerte. Al mattino, raccontò l’accaduto al giovane, il quale sembrava conoscere già la storia. Quando gli abitanti del villaggio tornarono, Musō rivelò che l’essere informe era proprio il vecchio anjitsu sulla collina. Tuttavia, il giovane negò l’esistenza di un monaco eremita nelle vicinanze.
Prima di partire, Musō tornò sulla collina dal vecchio monaco eremita, che questa volta lo lasciò entrare. Il vecchio anjitsu confessò di essere un jikininki, uno spirito destinato a nutrirsi di cadaveri a causa della sua vita egoista come sacerdote. Implorò Musō di eseguire una cerimonia Segaki per porre fine alla sua esistenza come jikininki. Il Segaki è una speciale cerimonia buddista celebrata per aiutare esseri che si crede siano entrati nella condizione di Gaki (Preta), ossia spiriti affamati. In un attimo, il vecchio monaco scomparve, lasciando Musō inginocchiato accanto a una tomba antica e coperta di muschio, che sembrava essere il luogo di riposo di un antico sacerdote.
Onryō, gli Spiriti vendicativi
Nelle credenze e nella letteratura tradizionali giapponesi, gli Onryō sono considerati spiriti vendicativi, capaci di infliggere danni nel mondo dei vivi, ferire o uccidere nemici, e persino provocare disastri naturali per vendicarsi delle ingiustizie subite in vita, prelevando poi lo spirito dai corpi moribondi. Comunemente raffigurati come donne vittime di torti, questi fantasmi giapponesi manifestano un’enorme vendetta, privi di pietà, crudeli e spesso deragliati emotivamente. L’Imperatore Sutoku (崇徳天皇, 1119-1164), il magnate samurai Taira no Masakado (平将門, 903-940 d.C.) e il politico Sugawara no Michizane (菅原道真, 845-903), sono noti come i tre grandi Onryō del Giappone, venerati per la loro potenza e considerati divinità shintoiste dopo la loro morte, in quanto la loro rabbia si è trasformata in onryō, portando a morti, disastri e guerre.




Gli Onryō sono spesso presenti nelle rappresentazioni artistiche tradizionali giapponesi, come il teatro Noh, il Kabuki e il Rakugo. Ad esempio, la maschera Noh chiamata hannya rappresenta un onryō femminile. La venerazione del popolo giapponese per gli onryō è persistita nel tempo, come dimostra il tumulo di Taira no Masakado a Tokyo, che, nonostante i cambiamenti nell’ambiente circostante, è rimasto intatto e curato.
Come abbiamo già visto nel paragrafo dedicato agli spiriti Goryō, questi ultimi sono utilizzati spesso come sinonimi degli spiriti Onryō, anche se Goryō si riferisce più comunemente agli onryō che sono oggetto di venerazione popolare dopo la morte ingiusta di una persona nobile. La Goryō Shinko, infatti, è la credenza che gli onryō di coloro che hanno subito morti tragiche e che possano causare fenomeni paranormali e disastri. Solo la loro venerazione come kami potrebbe placare le loro anime irate.
Origini degli Onryō
Nonostante l’origine esatta degli Onryō non sia definita con precisione, la credenza nella loro esistenza può essere fatta risalire all’VIII secolo. Questa convinzione si basa sull’idea che le anime potenti e infuriate dei defunti possano influenzare, arrecare danni e persino causare la morte di coloro che sono ancora in vita. Il primo culto onryō documentato si sviluppò intorno al principe Nagaya, morto nel 729.
La prima testimonianza di possesso da parte di uno spirito onryō con effetti sulla salute è registrata nella cronaca Shoku Nihongi del 797. In tale occasione, si afferma che «l’anima di Fujiwara Hirotsugu danneggiò a morte Genbō» (Hirotsugu morì durante una rivolta fallita, conosciuta come la Ribellione Fujiwara no Hirotsugu, quando tentò senza successo di rimuovere il suo rivale, il sacerdote Genbō, dal potere).
Caratteristiche degli Onryō

Tradizionalmente, gli Onryō e altri yūrei (fantasmi) non avevano un aspetto distintivo, almeno secondo le fonti attualmente disponibili. Tuttavia, con la crescente popolarità del teatro kabuki durante il periodo Edo, emerse uno stile di costume specifico.
Il kabuki, essendo una forma di spettacolo altamente visuale, dove un singolo attore può interpretare vari ruoli durante una rappresentazione, sviluppò un sistema di abbreviazione visiva. Questo permetteva al pubblico di identificare immediatamente il personaggio presente sulla scena, enfatizzando le emozioni e le espressioni dell’attore.
Il costume da fantasma nel kabuki era composto principalmente da tre elementi:
- Kimono funebre bianco (noto anche come costume bianco o shiro-shōzoku) o da un vestito mortuario (o shini-shōzoku). Questo indumento veniva spesso indossato anche durante il rituale del seppuku (un antico rituale per il suicidio obbligatorio o volontario, privilegio esclusivo della casta dei samurai).
- Lunghi capelli neri selvaggi e arruffati, che spesso nascondevano il viso fino a quando il personaggio sceglieva di rivelarlo.
- Viso pallido, dovuto ad un trucco per il viso composto da fondotinta bianco (oshirōi) abbinato a una pittura drammatica del viso (kumadori) con ombre blu (藍隈, aiguma) nota come “frangia indaco”. Questa scelta cromatica richiama l’immagine tradizionale di cattivi e antagonisti nelle rappresentazioni kabuki.
Gli Onryō cinematografici
L’Onryō rappresentano un elemento fondamentale nel genere J-Horror, con figure di rilievo come Sadako Yamamura (o Samara Morgan, la ragazza demone del romanzo Ring di Kōji Suzuki) e Kayako Kawamata Saeki (il fantasma della saga di Ju-on, conosciuto in Occidente come The Grudge di Takashi Shimizu), personaggi, prevalentemente femminili, che incarnano l’essenza degli onryō, vendicatrici spettrali tornate dopo ingiustizie subite in vita per tormentare i vivi e ottenere giustizia.

Nel caso di Sadako Yamamura, principale antagonista in The Ring, lo spettro perseguita e uccide le persone attraverso registrazioni televisive, avendo subito violenza prima della morte e giurato vendetta. Un contesto simile si trova in Yotsuya Kaidan, una storia di vendetta che ruota attorno a Tamiya Iemon e sua moglie Oiwa, quest’ultima trasformata in un onryō a causa delle ingiustizie subite.

Esiste anche un’altra narrativa di fantasmi giapponesi, in cui Banchō Sarayashiki è protagonista Okiku, diventa un onryō dopo essere stata gettata in un pozzo dal suo datore di lavoro. La sua anima si leva ogni notte, contando fino a nove prima di emettere un urlo terrificante (come quello della Banshee).
Troviamo gli onryō anche nei videogiochi, come l’universo Killer Instinct, in cui Hisako è un’onryō morta mentre difendeva il suo villaggio, vendicandosi di chi profana le sue rovine, o come nel caso di Dead by Daylight, in cui Rin Yamaoka è un’onryō che torna dopo essere stata brutalmente assassinata da suo padre. Troviamo questa tipologia di spettro anche nel videogame Phasmophobia, dove un’onryō mostra avversione verso le candele accese.
Nelle serie TV troviamo Death Forest (sono anche dei videogames), nel quale Yoshie Kimura è un’onryō morta per mano di uno sconosciuto. Infine, troviamo anche Mizu, protagonista della serie anime Blue Eye Samurai, che condivide notevoli somiglianze con un onryō e viene spesso paragonato ad esso nel contesto diegetico.
Ubume, gli Spiriti delle madri
Le Ubume sono yōkai giapponesi di donne incinte. Nelle storie popolari e nella letteratura, l’identità e l’aspetto delle ubume possono variare, ma comunemente sono rappresentate come gli spiriti di donne decedute durante il parto. L’ubume appare agli occhi dei passanti come una donna dall’aspetto normale con un bambino in grembo. Spesso, cerca di offrire il suo “bambino” al passante, solo per scomparire misteriosamente. Quando la persona si avvicina al bambino, scopre che è solo un fascio di foglie o una grande roccia.
L’origine di questa figura risale all’antichità e riflette la credenza che le donne incinte decedute e sepolte potrebbero trasformarsi in ubume. In alcune tradizioni, quando una donna incinta muore prima del parto, si raccomanda di tagliare l’addome del feto e posizionarlo in un abbraccio alla madre durante la sepoltura. In alcune regioni, se ciò non è possibile, viene posta una bambola accanto al feto, simboleggiando il bambino.
Caratteristiche delle Ubume

Ci sono diverse descrizioni nella tradizione giapponese riguardo le Ubume. Nel sedicesimo tomo dei Miscellaneous Morsels di Youyang, un libro scritto da Duan Chengshi nel IX secolo, durante la dinastia Tang (618-907), nella sezione 462 del Grande Registro di Pace della dinastia settentrionale Song, si racconta di un «uccello libero della notte», particolarmente straordinario, un rapace notturno che sottrae i figli dalle braccia dei genitori. Questo rapace notturno mi ricorda le Strigi (o Mormos), in latino note come Strix, un uccello notturno di cattivo auspicio che si nutriva di sangue e carne umana come oggi addebitato al vampiro. Le leggende sulle strigi le vevano come rapitrici di bambini che avrebbero poi mangiato o usato per pozioni malefiche. Le Strigi erano praticamente le antenate latine delle Streghe.
In Giappone, questi esseri erano spesso raffigurati con un piumaggio macchiato di sangue, nel quale avvolgevano i neonati. e inseguendo coloro che li accompagnavano. Sono anche citati nel Kokon Hyakumonogatari Hyoban (traducibile come Una critica di cento racconti vecchi e nuovi), una raccolta di racconti kaidan (fantasmi) scritti e curati da Genrin Yamaoka (1631-1672), un letterato del primo periodo Edo. In quest’opera, «Si narra che (le ubume) siano donne decedute durante il parto, diventate ciò che sono a causa del loro attaccamento. Si dice che le loro vesti siano macchiate di sangue e che gridino: “obareu, obareu” (をばれう, ovvero, “esponiti, esponiti”)».

Nel Kii Zōdan Shū, un’opera giapponese che risale all’anno 1692, originariamente scritto in kana-zōshi (una forma di letteratura giapponese) e dall’autore sconosciuto, le ubume fanno parte delle storie di fantasmi giapponesi e racconti strani provenienti da diverse regioni del Giappone. Nell’opera si legge che «Le ubume non partoriscono, e sebbene il feto abbia vita, rimane solo un’illusione per la madre, e così, una volta trasformate, abbracciano i bambini nella notte. Si racconta che quando il bambino piange, piange anche l’ubume». L’aspetto in cui le ubume hanno il mantello intriso di sangue, si pensa che derivi dalla convinzione diffusa nella società feudale che la perpetuazione della famiglia fosse di estrema importanza, e quindi si credeva che le donne incinte che morivano precipitassero in un inferno colmo di sangue.
Inizialmente riferito a una specie di piccolo pesce marino, nel folclore giapponese il termine ubume è ora associato al fantasma di una donna che è morta durante il parto, noto come fantasma della donna partoriente. Di solito, l’ubume si avvicina a un passante chiedendo di tenere il suo bambino per un breve istante e poi scompare quando la persona prende il neonato avvolto nelle fasce. Tuttavia, il bambino diventa sempre più pesante fino a diventare impossibile da tenere, rivelando infine di non essere affatto un bambino umano, ma piuttosto una roccia o una statua di pietra di Jizō. Le statue di Jizō sono un affascinante capitolo del folclore giapponese, dove la pietra prende vita e si trasforma in custode, protettore e consolatore.
Zashiki-warashi, gli Spiriti dei bambini
Nella prefettura di Iwate, lo Zashiki-warashi è uno yōkai che si dice sia uno spirito, quasi una divinità, che vive in un salotto o in un magazzino, e ci sono leggende secondo cui farebbe male ai membri della famiglia “maledetta”, ma porterebbe fortuna a coloro che lo vedono. Vengono chiamati anche bambini da salotto o zashiki bokko (座敷ぼっこ, ragazzo da salotto).
Caratteristiche dei Zashiki-warashi

In genere, queste entità presentano una corporatura simile a quella di un bambino, un viso arrossato e capelli lunghi, con un’età che va da circa tre a quindici anni. La loro acconciatura varia tra un taglio a caschetto e capelli molto corti. Sono stati avvistati sia maschi che femmine. Si dice che i maschi indossino abiti scuri con un motivo a kasuri (un tessuto con fibre tinte da vari disegni e immagini), mentre le femmine indossano un gilet rosso (chanchanko), un kosode (un indumento giapponese a maniche corte e il diretto predecessore del kimono) e talvolta un furisode (uno stile di kimono distinguibile dalle sue maniche lunghe). Alcuni di loro hanno un aspetto poco chiaro, rendendo difficile identificarne il genere. A volte più di uno si stabilisce contemporaneamente in una casa, come un ragazzo e una ragazza. Ci sono anche leggende che parlano di alcuni che sembrano una bestia nera e altri che sembrano guerrieri.
Questi esseri hanno un’inclinazione a causare danni; si racconta che lascino cenere o polvere decolorante su piccole impronte e, di notte, emettano suoni simili a quelli di un arcolaio che gira. Si dice che producano anche suoni all’interno delle stanze, simili a quelli di una performance di Kagura (un tipo di danza cerimoniale rituale shintoista). Le leggende narrano di quando qualcuno cuciva da solo in famiglia, si sentivano rumori simili al fruscio di carte o a qualcuno che sbuffava, ma quando si apriva la porta di legno, non c’era nessuno. Si narra che durante la notte facciano scherzi come salire sui futon nelle camere degli ospiti e girare i cuscini per disturbare il sonno delle persone; quando si cerca di fermarli, la loro forza è così grande da non essere influenzati da nessuno. A volte giocano anche con i bambini.
Origini dei Zashiki-warashi
Il folclorista giapponese Kizen Sasaki (1886-1933), conosciuto anche come il Grimm giapponese, ha osservato che gli zashiki-warashi potrebbero essere gli spiriti dei bambini uccisi e sepolti in casa, un’usanza comune nella regione di Tōhoku per ridurre il numero di persone da nutrire. Questi spiriti sono spesso associati ai luoghi dell’infanticidio. Oltre a questo, gli zashiki-warashi sono spesso legati a leggende di case che cadono in rovina dopo l’uccisione di un pellegrino buddista, suggerendo un legame con le parti oscure della comunità del villaggio.
Nel libro Clairvoyance and Thoughtography, il parapsicologo Tomokichi Fukurai (1869-1952), racconta di una presunta medium di nome Sadako Takahashi, rinomata per le sue presunte capacità psichiche, inclusa la nensha (l’abilità di proiettare immagini su pellicola solo con la forza del pensiero). La sua storia ha ispirato il personaggio di Sadako Yamamura, l’antagonista principale nella serie di romanzi Ring di Koji Suzuki e nei relativi film. Secondo la presunta medium, gli zashiki-warashi che nascono da maledizioni legate a falegnami e fabbricanti di tatami. Infine, ci sono molte teorie che suggeriscono che la vera identità degli zashiki-warashi sia quella di un kappa, una creatura mitologica che vive nelle profondità dell’acqua.




Il fenomeno degli zashiki-warashi è associato a varie credenze e teorie. Si pensa che la loro somiglianza ai bambini sia influenzata dalla figura dei gōhō-warashi, divinità irate che proteggono il Buddismo e assumono sembianze infantili. Secondo alcune interpretazioni, i bambini fungono da tramite tra gli dèi e gli umani, mentre altri vedono nella figura infantile una manifestazione della divinità stessa. Lo studioso Kunio Yanagita (1875-1962) associa gli zashiki-warashi alla venerazione degli spiriti delle persone appena defunte e alla loro trasmissione di divinità agli umani. Inoltre, il folclorista Kazuhiko Komatsu analizza il ruolo degli zashiki-warashi nell’antropologia culturale, collegandoli alla circolazione della ricchezza e alla spiegazione dei cambiamenti nella fortuna sociale. Infine, nel racconto Hinpuku-ron di Ueda Akinari (1734-1809), viene menzionato uno spirito del denaro che potrebbe essere interpretato come un’antica forma di zashiki-warashi.
Fantasmi antenati
Nell’antica cultura giapponese, si credeva fermamente nella trasformazione degli individui in spiriti dopo la morte, dando vita a pratiche di venerazione degli antenati di grande importanza. Onorare gli spiriti dei predecessori era considerato essenziale per mantenere un legame con il mondo degli spiriti e assicurare il benessere della famiglia. Questa venerazione avveniva attraverso preghiere e l’offerta di piccoli tributi posti in appositi santuari costruiti per questo scopo all’interno delle case familiari.
La mancata onoranza e il ricordo degli spiriti degli antenati erano visti come una pratica pericolosa, poiché si credeva che potesse portare alla trasformazione di tali spiriti in gaki (o gakki) di cui ho accennato qualche paragrafo precedente, conosciuti come spiriti affamati. Questi spiriti affamati erano descritti come esseri perpetuamente affamati e assetati, caratterizzati da pance ingenti. Si riteneva che, nel tormentare i vivi, potessero causare sfortuna e malattie. Pertanto, la venerazione degli antenati non solo preservava il legame con il passato, ma anche proteggeva la comunità dai pericoli associati agli spiriti affamati.
Contestualmente, si diffuse la credenza che gli antenati potessero diventare protettori delle fortune dei vivi. Tra le molteplici storie tramandate, quelle che coinvolgevano le madri decedute che continuavano a prendersi cura dei loro figli ancora vivi erano particolarmente comuni. Questi racconti narravano di legami affettivi che persistevano oltre la morte, in cui gli spiriti materni agivano come guardiani benevoli, contribuendo a preservare la prosperità e il benessere della discendenza.
Kappa

Anche le sorgenti d’acqua erano popolate da entità soprannaturali, tra cui gli spiriti dell’acqua noti come kappa. Questi spiriti erano spesso immaginati come piccoli diavoletti infantili, caratterizzati da un aspetto unico con scaglie blu-verdi, mani e piedi palmati. Un tratto distintivo del kappa era l’incavo sulla sommità della testa, utilizzato per contenere l’acqua che era vitale per la loro sopravvivenza quando si allontanavano da un corso d’acqua.
Inoltre, i kappa erano noti per la loro ambivalenza nei confronti dell’umanità. Mentre potevano diventare aggressivi, attaccando e divorando le loro vittime, in particolare concentrandosi sul fegato, esisteva anche la possibilità che offrissero aiuto al passante. Un metodo insolito per evitare danni da parte di un kappa consisteva nell’offrirgli un inchino molto basso. In questo modo, il kappa, rispondendo con un inchino di ritorno, versava l’acqua dalla sua testa, diventando così troppo debole per recare alcun danno.
Questa interazione con il kappa rifletteva l’importanza della cortesia e dell’etichetta nelle leggende giapponesi, suggerendo che il rispetto reciproco poteva trasformare una situazione potenzialmente pericolosa in un atto di benevolenza da parte degli spiriti dell’acqua.
Oni

Gli Oni, sono creature malevole diffuse in vari luoghi, prive di morale e inclini a causare danni e disastri. Tuttavia, la credenza suggerisce che essi possano essere convertiti sulla retta via. L’incremento del numero di Oni si registrò notevolmente dopo l’introduzione del buddismo in Giappone a partire dal VI secolo d.C. Queste creature sono divise in due categorie: gli Oni che dimorano negli inferi e quelli che risiedono nei cieli.
Gli Oni degli inferi presentano spesso un corpo rosso o verde, con teste che ricordano cavalli o buoi, e sono spesso associati a un carro fiammeggiante. Il loro compito principale è trasportare le anime verso l’inferno. Altri Oni, privi di forma fisica, possono essere uditi quando parlano, cantano o fischiano. Celebri per la loro abilità con la spada, gli Oni, in particolare il loro re Sojobo, allenarono nell’arte il famoso guerriero del XII secolo d.C. Minamoto no Yoshitsune (1159-1189).
Alcuni Oni erano collegati a specifiche malattie, mentre si credeva che altri possedessero animali, come la volpe o il procione, trasmettendo poi questa influenza alle persone. Si riteneva anche che le donne governate dalla gelosia o prive di sentimenti potessero trasformarsi in demoni. Gli Oni e molti altri esseri soprannaturali, tuttavia, potevano offrire doni e insegnare abilità alle persone. Pertanto, potevano anche essere sconfitti o allontanati mediante incantesimi e rituali eseguiti da coloro che detenevano la conoscenza necessaria.
Tengu

Nell’antica concezione giapponese, le foreste erano ritenute l’habitat degli spiriti maligni noti come tengu. Questi folletti (goblin) avevano la reputazione di lanciare incantesimi su coloro che non prestarono attenzione ai loro passi. Caratterizzati da un corpo umanoide con ali e un becco minaccioso sulla faccia rossa, i tengu erano considerati presenze temibili e ingannevoli. Le maschere tradizionali dei tengu sono ancora indossate in occasioni come le festività shintoiste, in cui svolgono il ruolo simbolico di guardiani del tempio. Questi esseri mitologici sono particolarmente associati a pratiche spirituali e rituali nelle foreste, dove la loro presenza era temuta.
La leggenda narra che i tengu fossero inclini a rapire bambini e tendere agguati ai preti buddisti. In particolare, cercavano di sedurre i monaci fuori dal sentiero della fede buddhista, tentandoli di allontanarsi dalla loro devozione e convertirli allo shintoismo. Questo aspetto della loro mitologia mette in luce il ruolo dirompente dei tengu nel contesto religioso, contribuendo a sottolineare la loro ambivalenza come entità spirituali che potevano influenzare la fede e la pratica religiosa delle persone.
Altre categorie di fantasmi giapponesi
Esistono altre sottocategorie di fantasmi giapponesi, meno noti, anche meno menzionati, ma che rientrano nella tradizione.
Supekutoru

Un altro insieme di spiriti comprende i Supekutoru (侍の幽霊, Spettri di Samurai), spiriti di guerrieri o interi eserciti che hanno perso la vita in battaglia. Un esempio di questo genere di fantasmi giapponesi è legato alla disastrosa sconfitta del clan Taira e del giovane imperatore Antoku nella battaglia di Dannoura nel 1185 d.C., durante la guerra Genpei. La leggenda narra che il fantasma di un guerriero samurai sia riapparso sul luogo della battaglia e abbia chiesto a un suonatore di liuto cieco, noto come Hoichi, di eseguire per lui l’Heike Monogatari, un racconto epico che narra la storia di quella specifica battaglia.
In questa storia, Hoichi suonò per il fantasma del guerriero samurai per diverse notti, inconsapevole del fatto che non avesse un pubblico visibile. Solo quando un abate seguì il suonatore di liuto, si scoprì che Hoichi, sotto la pioggia, si esibiva accanto a una lapide commemorativa dedicata ai caduti, suggerendo che il fantasma del guerriero era presente spiritualmente, ascoltando la melodia dedicata alla storia della battaglia.
Sugawara no Michizane
Una categoria aggiuntiva di spiriti comprende individui che hanno subito ingiustizie durante la loro vita. Un esempio notevole di questi spiriti “irrequieti” è quello del politico Sugawara no Michizane, noto anche come Tenjin (845-903 d.C.), uno studioso che fu vittima di maltrattamenti a corte e successivamente esiliato. Dopo la sua morte, si verificarono incendi devastanti e un’epidemia nella capitale imperiale, eventi che molti interpretarono come segni di vendetta da parte di Tenjin.

In risposta a questi eventi, nel 905 d.C. fu eretto l’imponente santuario Kitano Temmangu a Kyoto in onore di Tenjin. Col tempo, Tenjin divenne il dio protettore della borsa di studio e dell’istruzione. Questa storia sottolinea un tema comune nel folclore giapponese, che suggerisce che gli spiriti non erano necessariamente malvagi per natura, ma piuttosto erano spesso animati da un senso di ingiustizia subita durante la loro vita. La tradizione giapponese spesso include la possibilità di placare questi spiriti attraverso onori e riti appropriati. Questa concezione riflette una comprensione più sfumata del soprannaturale, in cui il rispetto per gli spiriti, anche se tormentati da ingiustizie passate, poteva portare alla loro tranquillità e persino al loro sostegno.
Altri tipi di fantasmi giapponesi
Oltre ai luoghi comuni associati ai fantasmi, come templi e cimiteri, numerosi altri luoghi in Giappone, tra cui foreste e fiumi, erano considerati potenziali ambienti in cui si poteva imbattersi in spiriti maligni. La tradizione marinara, nota per le sue superstizioni, includeva una particolare figura spettrale in Giappone che talvolta seguiva pescatori e imbarcazioni in mare. Questo fantasma avrebbe richiesto ai marinai un secchio senza fondo e, in mancanza di tale offerta, minacciava di far affondare la barca. Un esempio che ho già accennato sono i Funayūrei.
Anche sulla terraferma, si credeva che gli spiriti di coloro che morivano in montagna potessero infestare i pendii e attirare gli scalatori verso il loro destino tragico. Queste credenze riflettevano una visione del mondo antico giapponese in cui il pericolo e il soprannaturale erano intrinsecamente legati, con creature come ghoul e goblin che sembravano celarsi dietro ogni angolo. Navigare in questo mondo richiedeva molta attenzione, poiché era essenziale evitare di restare intrappolati nei piani di queste entità, volte a sconvolgere l’ordine naturale della vita quotidiana.
Conclusioni
I fantasmi giapponesi, o Yūrei, non sono solo figure spettrali che appaiono nelle notti nebbiose per farci sobbalzare. Sono molto di più: riflettono tutta la complessità della cultura giapponese, intrecciando Buddhismo, Shintoismo e folclore in un’unica, affascinante visione del mondo invisibile. Le loro storie, spesso tristi, misteriose o inquietanti, continuano a influenzare l’arte, la letteratura, il cinema e persino i videogiochi, lasciando un’impronta fortissima nell’immaginario collettivo nipponico.
Gli Yūrei ci ricordano da dove veniamo: sono ponti tra passato e presente, tra chi eravamo e chi siamo ora. Sono simboli del rispetto per i defunti e della consapevolezza che tutto è impermanente, come insegna il pensiero buddhista. Ma allo stesso tempo, ci parlano di paure universali, come quella dell’ignoto, della morte, dell’irrisolto. E queste paure, beh… sono le stesse in ogni parte del mondo.

Approfondire il mondo degli Yūrei non significa solo parlare di fantasmi, ma anche entrare in contatto con le tensioni sociali, i traumi storici e le speranze che hanno attraversato il Giappone. Ogni racconto spiritico, ogni leggenda, è una finestra sul cuore di una cultura, uno specchio che ci riflette – a volte in modo disturbante, altre in modo profondamente umano.
In un’epoca come la nostra, dove tutto sembra correre e omologarsi, fermarsi a conoscere queste figure ci ricorda quanto sia importante dare valore alle diverse visioni del soprannaturale. Gli Yūrei, con la loro ricchissima storia e la loro forte risonanza culturale, sono un tassello fondamentale di questo dialogo tra mondi e culture.
Perché sì, magari non tutti crediamo ai fantasmi… ma capire quelli degli altri ci aiuta a capire un po’ meglio anche noi stessi.


