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Il concetto di Anima nella storia e nelle religioni

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Introduzione

L’Anima, un concetto tanto affascinante quanto misterioso, ha da sempre occupato un posto centrale nel pensiero umano. Questa entità impalpabile e invisibile, considerata la vera essenza dell’individuo, è stata oggetto di riflessione, dibattito e indagine in ogni angolo del mondo e in ogni epoca.

Nel corso della storia, l’anima è stata interpretata in modi diversi a seconda delle culture e delle religioni. Alcune vedono l’anima come un’entità immortale che sopravvive alla morte fisica, altre la considerano come la scintilla divina che dà vita e coscienza agli esseri viventi. Alcune tradizioni spirituali ritengono che l’anima possa evolvere e progredire attraverso le esperienze di vita, mentre altre sostengono che l’anima rimane immutabile nel tempo.

L’anima è stata al centro di molte discipline, dalla filosofia alla religione, dalla psicologia alla parapsicologia. Filosofi, teologi, mistici e scienziati hanno cercato di comprendere la sua natura, la sua origine e il suo destino. Queste ricerche hanno portato a una vasta gamma di teorie e credenze che riflettono la diversità e la complessità del pensiero umano.

Nelle religioni, l’anima è spesso vista come il legame tra l’individuo e il divino. È considerata la parte più sacra e preziosa dell’essere umano, quella che connette l’umano al trascendente. Molte pratiche religiose e spirituali sono volte alla purificazione, all’elevazione o alla liberazione dell’anima.

Nelle culture, l’anima è spesso al centro di racconti, miti e rituali. È vista come la fonte dell’amore, della creatività, della saggezza e della compassione. Le storie dell’anima, delle sue avventure e delle sue sfide, sono state raccontate e tramandate di generazione in generazione, arricchendo il patrimonio culturale dell’umanità.

Illustrazione indicativa del concetto di Anima

Nonostante le differenze nelle interpretazioni e nelle credenze, l’idea dell’anima testimonia una ricerca universale dell’umanità: la ricerca di un senso, di una finalità, di una connessione con il divino. Questa ricerca, che ha accompagnato l’umanità attraverso i secoli, continua ancora oggi, testimoniando la profondità e la grandezza dello spirito umano.

In questo articolo, vi guiderò attraverso un viaggio affascinante e profondo, esplorando le diverse concezioni dell’anima che emergono da vari contesti culturali e religiosi. Da millenni, l’umanità si interroga sulla natura dell’anima: cos’è veramente? Da dove viene? Qual è il suo destino finale? Attraverso i prossimi paragrafi esploreremo le diverse concezioni dell’anima, cercando di comprendere come ciascuna cultura e religione interpreta questo concetto. Esamineremo le somiglianze e le differenze tra queste interpretazioni, cercando di capire come ciascuna di esse rifletta la visione del mondo e i valori della cultura o della religione da cui proviene.

Spero che questo viaggio attraverso le diverse concezioni dell’anima vi offra nuovi spunti di riflessione e vi aiuti a comprendere meglio la ricchezza e la diversità del pensiero umano sull’anima. Buona lettura!

L’Anima nella Presistoria (200.000 a.C. – 50.000 a.C.)

Un uomo di mezza età e due giovani furono sepolti in maniera straordinaria circa 34.000 anni fa. Il loro abbigliamento funerario comprendeva oltre 13.000 perle di avorio di mammut, centinaia di canini di volpe forati e vari altri ornamenti. Queste sepolture, scoperte nel sito di Sungir in Russia negli anni Sessanta, contenevano anche lance, statuette e l’osso femorale cavo di una donna, imbevuto di ocra rossa. Gli archeologi hanno calcolato che solo la creazione delle perle di avorio avrebbe richiesto circa 2500 ore di lavoro. Non sapremo mai con certezza quali fossero le credenze specifiche di queste antiche civiltà. Tuttavia, l’elaboratezza e l’impegno temporale richiesto per queste sepolture suggeriscono fortemente che avevano una concezione dell’aldilà e delle forze spirituali. Quando gli antenati umani hanno iniziato a dedicare risorse ai morti e probabilmente a iniziare a concepire l’idea dell’anima?

Le prime tracce di fede nell’anima e nella vita dopo la morte possono essere riscontrate nelle cerimonie funebri degli Homo sapiens e dei loro predecessori. Queste usanze indicano che l’essere umano potrebbe aver iniziato a credere in una sorta di vita dopo la morte già 100.000 anni fa. Le inumazioni deliberate, spesso accompagnate da effetti personali o doni, sono tra le prime prove di una fede nell’anima o in una vita ultraterrena.

Sepoltura nella preistoria. Illustrazione di Jon Foster/Collezione Nat Geo Image
Illustrazione di Jon Foster/Collezione Nat Geo Image

Tuttavia, è complesso stabilire con precisione quando e come queste convinzioni si siano formate, dato che le pratiche e le credenze spirituali non lasciano sempre evidenze archeologiche dirette. Le interpretazioni delle testimonianze disponibili possono differire, ma è evidente che tali convinzioni sono profondamente radicate nella storia umana e hanno avuto un ruolo importante nelle culture di tutto il mondo fin dai tempi più remoti.

Lo studio antropologico basato sui rinvenimenti archeologici e fossili propongono che gli uomini primitivi potessero credere in fantasmi o spiriti. Secondo alcuni studi, l’istinto di sopravvivenza dell’uomo primitivo potrebbe spiegare la nostra fede in divinità e fantasmi. Questo istinto è radicato nella psicologia umana e si basa su due osservazioni fondamentali:

  1. Propensione all’agenzia: Quando si verificava un evento, gli uomini primitivi tendevano a attribuirlo a un essere vivente, presupponendo quindi un’agenzia dietro quell’evento. Ad esempio, il fruscio di un cespuglio o lo scatto di un ramo poteva essere causato dal vento, ma era molto più sicuro supporre che fosse un leone e fuggire. Questo istinto di attribuire rapidamente un’agenzia a un evento è stato trasmesso di generazione in generazione. Non solo un rumore o un suono, ma anche il riconoscere figure antropomorfe (che presenta somiglianze o affinità con l’uomo o con l’organismo umano) o zoomorfe (somiglianze o affinità con un animale) erano necessarie per poter correre ai ripari. Per questo motivo la il fenomeno psicologico della pareidolia (acustica o visiva), la tendenza istintiva e automatica del cervello, a trovare strutture ordinate e forme familiari in immagini disordinate. La pareidolia è oggi il tallone d’Achille della ricerca sul paranormale, perché a causa di programmi televisivi molto discutibili a tema fantasmi (con eco sui social netwrok), hanno radicato in molte persone affascinate dal paranormale, a riconoscere volti e figure come presenze spiritiche.
  2. Teoria della mente: Vivere insieme in tribù aveva molti vantaggi per la sopravvivenza nei tempi preistorici, ma comprendere il comportamento degli altri non era sempre semplice. Capire i pensieri e le convinzioni degli altri, specialmente quando potevano essere sbagliati a causa della mancanza di una conoscenza completa di una situazione, era fondamentale. Questo è noto come teoria della mente.

Questi meccanismi innati potrebbero aver portato agli inizi della fede in divinità, fantasmi e altre entità soprannaturali. Immaginate una pietra che cade nel retro di una caverna; il nostro “dispositivo di agenzia” ci dice che qualcuno lo ha causato. Senza nulla in vista, potrebbe essere stata una creatura invisibile o uno spirito? E perché dovrebbe aggirarsi proprio lì? Per scoprire segreti su di noi o per scoprire se siamo persone buone o cattive? Questi sono esempi molto semplificati, ma aiutano a illustrare come questi meccanismi hard-wired potrebbero portare agli inizi di una fede in entità soprannaturali. Ma questo non significa che tutto possa essere riconducibile solo ad una spiegazione a tutti i costi razionale, perché sarebbe comunque una forzatura scientista.

Sciamanesimo (Paleolitico) e Dualismo dell’Anima (XVII secolo)

Nelle tradizioni sciamaniche, si ritiene che gli spiriti siano la forza motrice dell’universo, precedendo persino le divinità. Gli spiriti risiedono in ogni forma di vita, e il loro status è direttamente proporzionale all’essere che abitano. Di conseguenza, con la morte, l’individuo entra in un piano spirituale, superiore a quello terreno, rendendo necessario rendere omaggio al defunto. Questo non solo per l’amore provato, ma soprattutto perché da quella posizione elevata, l’individuo defunto potrebbe benedire i viventi. Da qui deriva anche la paura dei morti: un individuo oppresso e maltrattato durante la sua vita potrebbe cercare una sorta di vendetta una volta raggiunto il piano superiore. A volte, un individuo potrebbe perdere la propria anima a seguito di eventi traumatici. Per recuperarla, lo sciamano potrebbe intraprendere un viaggio in altre dimensioni, un viaggio che non è esente da rischi, per riportarla indietro.

Il dualismo dell’anima, noto anche come pluralismo dualistico o anime multiple, è un concetto fondamentale nello sciamanesimo. Questa credenza sostiene che gli esseri umani possiedono più di un’anima, solitamente identificate come anima del corpo e anima libera. L’anima del corpo è associata alle funzioni fisiche e alla consapevolezza durante lo stato di veglia, mentre l’anima libera può viaggiare liberamente durante il sonno o in stati di trance.

Sciamano Tlingit che fa un rito ad una donna (fonte: Museo Nazionale di Storia Naturale/Case & Draper)
Sciamano Tlingit che fa un rito ad una donna (fonte: Museo Nazionale di Storia Naturale/Case & Draper)

Questo dualismo è evidente nelle tradizioni animistiche di vari popoli, tra cui gli austronesiani (un gruppo di popolazioni presenti in Oceania), i cinesi, i tibetani, la maggior parte delle popolazioni africane, i nativi nordamericani, gli antichi popoli dell’Asia meridionale, dell’Eurasia settentrionale e gli antichi egizi. Nelle tradizioni sciamaniche austronesiane, l’anima del corpo (o nawa), è associata al respiro, alla vita o allo spirito vitale e si trova nell’addome, spesso nel fegato o nel cuore. L’anima libera, al contrario, risiede nella testa e i suoi nomi derivano spesso dal termine proto-austronesiano qaNiCu, che significa fantasma o spirito dei morti.

Questa dualità è anche presente nelle pratiche curative sciamaniche, dove le malattie sono viste come una “perdita dell’anima”. Per curare il malato, è necessario “restituire” l’anima libera al corpo. Se l’anima libera non può essere restituita, l’individuo può morire o impazzire permanentemente. In questo modo, lo sciamano contribuisce a ristabilire l’armonia tra le anime, considerata segno di virtù, mentre il conflitto tra le anime è visto come indice di malvagità.

In alcune culture, come quella dei Tagbanwa (un’etnia delle Filippine) e degli Inuit (uno dei due gruppi principali di popolo artico insieme agli Yupik), si crede che una persona possa avere più di due anime. Ad esempio, i Tagbanwa ritengono che una persona abbia sei anime, tra cui l’anima libera, considerata l’anima “vera”, e cinque anime secondarie con funzioni diverse. Allo stesso modo, alcuni gruppi Inuit credono che una persona abbia più di un tipo di anima, una associata alla respirazione e l’altra che accompagna il corpo come un’ombra. In questi casi, le credenze sono spesso collegate alle pratiche sciamaniche del gruppo.

Antico Egitto (ca 4000 a.C.)

Nella cultura dell’antico Egitto, si riteneva che l’essenza spirituale dell’essere umano fosse formata da tre componenti soprannaturali: l’Akh, il Ba e il Ka. Questa antica religione egiziana sosteneva che un individuo fosse un insieme di elementi diversi, alcuni di natura fisica e altri di natura spirituale.

La stele di Kuttamuwa (Fonte: Dosseman/ Museo Archeologico di Gaziantep)
La stele di Kuttamuwa (Fonte: Dosseman/ Museo Archeologico di Gaziantep)

Queste concezioni trovano paralleli nelle antiche religioni assira e babilonese. Un esempio significativo è la stele di Kuttamuwa, una lapide funeraria dedicata a un alto funzionario del VIII secolo a.C. della città di Sam’al. Questa stele raffigura Kuttamuwa che invita i suoi compianti a celebrare sia la sua vita terrena che quella ultraterrena con feste in onore della sua anima, che risiede all’interno della stele stessa. La stele rappresenta uno dei primi riferimenti all’anima come entità distinta dal corpo. Questo importante reperto archeologico ha contribuito a far luce sulle antiche concezioni dell’anima e della vita dopo la morte.

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