Possessione Spiritica
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Possessione Spiritica

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L’approccio funzionalista sulla Possessione Spiritica

John Westerdale Bowker, sacerdote anglicano inglese e studioso pionieristico di studi religiosi, e l’antropologa canadese Janice Boddy, docente di antropologia all’Università di Toronto, hanno rilevato che, sebbene l’approccio funzionalista sia in grado di spiegare molti aspetti, non tiene conto del significato dell’esperienza personale per coloro che credono in questi fenomeni, né ammette la possibilità che esistano fenomeni autentici o Spiriti PSI. Questa prospettiva assume che gli oggetti delle credenze soprannaturali siano costruzioni culturali fondate su percezioni sbagliate, illusioni o truffe, ignorando il valore che tali credenze possono avere per coloro che le vivono.

Tuttavia, la pratica della medianità e l’abilità di accogliere entità spirituali possono offrire benefici sociali significativi a gruppi spesso emarginati, come le donne, gli omosessuali e gli operai. Il politologo Martin Luther Kilson Jr. (1931-2019) ha descritto come la medianità spiritica ha trasformato lo status delle donne nella società Ga in Ghana. Quando Kilson svolgeva il suo lavoro sul campo, le donne tra i Ga erano considerate inferiori agli uomini, spesso vivendo in condizioni di analfabetismo, senza sposarsi e, a volte, con difficoltà nel concepire figli, portando a uno status sociale molto basso.

Tuttavia, diventare medium spirituale ha permesso a queste donne di acquisire uno status che altrimenti sarebbe stato irraggiungibile, conferendo loro un ruolo sociale di rilievo, permeato da un’autorità soprannaturale. Questa trasformazione sociale è stata fondamentale per il loro ruolo nella comunità.

L’approccio idealista sulla Possessione Spiritica

Lo storico britannico Peter J. Wilson (1933-2005), con un approccio forse un po’ idealista, non concorda con l’interpretazione di Lewis che vede la possessione spiritica come una forma di protesta. Egli si pone delle domande critiche: all’interno di società dove uomini e donne operano in ambiti separati, non è certo che le donne si sentano necessariamente oppressate o trascurate. Wilson sottolinea il concetto che la privazione implica il rifiuto di qualcosa che è dovuto, e si chiede se in società tradizionalmente maschili, le donne abbiano mai preteso di accedere ai territori dominati dagli uomini. Quest’affermazione solleva questioni problematiche, ma mette in luce un possibile difetto nell’argomentazione di Lewis.

Un’alternativa al modello di protesta di Lewis emerge nell’analisi dell’antropologa americana Susan J. Rasmussen, che ha condotto un’ampia ricerca sul campo nelle comunità Kel Ewey Tuareg rurali e urbane del Niger settentrionale e del Mali e tra gli immigrati africani in Francia. Rasmussen sottolinea che le donne tuareg godono di uno status elevato e di prestigio nella loro società e quindi non si adattano al modello di protesta sociale.

Queste evidenti discrepanze tra la teoria di Lewis e la realtà etnografica hanno portato Kevin Donovan, docente che ha condotto studi in Africa, a suggerire che l’ipotesi di Lewis, sebbene possa applicarsi a molti culti di possessione spiritica, non debba essere considerata come una teoria completa, ma piuttosto integrata con altri approcci. In altre parole, mentre è innegabile che la possessione spirituale abbia varie funzioni sociali, questa non rappresenta necessariamente l’intera gamma di motivazioni e dinamiche dietro a tali pratiche.

Approcci terapeutici

La copertina di Intimacy and Ritual: A Study of Spiritualism, Mediums and Groups, libro di Vieda Skultans (1974)

Nel suo approfondimento sul circolo spirituale in una città gallese negli anni Sessanta, Vieda Skultans, esaminò da vicino i fattori terapeutici e di supporto presenti nello spiritismo, identificandoli come attrattiva principale per coloro che vi aderivano. Skultans ha interpretato la pratica e la fede nello spiritismo come un modo per le donne di “Welshtown” di affrontare i loro ruoli tradizionali come “moglie, madre e partner sessuale”. Secondo l’analisi di Skultans (letta nel libro Intimacy and Ritual: A Study of Spiritualism, Mediums and Groups, 1974), in sintonia con la teoria di Lewis, lo Spiritismo offriva a queste donne un’opportunità di fuga temporanea dalla monotonia della vita quotidiana, almeno durante le riunioni del circolo. La vera forza dello Spiritismo risiedeva, infatti, nel suo ruolo di supporto. Le pratiche settimanali di guarigione e gli scambi di messaggi “dall’Aldilà” costituivano un rituale di riconciliazione con una realtà che offriva poche alternative radicali.

Studi più recenti hanno esplorato il potenziale terapeutico delle pratiche medianiche per affrontare il lutto, specialmente nelle società occidentali. Queste indagini si concentrano sulla capacità delle pratiche spiritiche di fornire conforto e supporto a coloro che affrontano la perdita, offrendo un terreno di consolazione e connessione con il mondo spirituale, mentre navigano attraverso il dolore e l’elaborazione della perdita.

Negli studi attuali, c’è un notevole interesse nel comprendere come le pratiche medianiche possano offrire sostegno e conforto a coloro che affrontano il dolore della perdita, specialmente nelle società occidentali. Questa ricerca si pone l’obiettivo di esplorare come l’interazione con il mondo spirituale possa fornire un terreno di consolazione e comprensione a chi sta vivendo il lutto.

Una seduta della medium Margery con ectoplasma (1925)
Una seduta della medium Margery con ectoplasma (1925)

Le pratiche medianiche, come la comunicazione con spiriti o entità spirituali, vengono considerate da alcuni ricercatori come un mezzo per agevolare il processo di elaborazione del dolore. Esplorare questo fenomeno implica capire come tali pratiche possano fornire un senso di connessione con coloro che sono venuti a mancare, aprendo la possibilità di un dialogo emotivo e spirituale che aiuti a lenire il dolore e a dare un senso alla perdita.

Questo interesse crescente verso le pratiche medianiche nell’ambito del lutto mira a esaminare in che modo queste esperienze possano avere un impatto positivo sul benessere emotivo e psicologico di coloro che stanno affrontando la morte di una persona cara. La ricerca si concentra sulla comprensione di come tali pratiche possano fornire un senso di conforto, pace interiore e accettazione, facilitando così il processo di adattamento e guarigione.

Approcci analitici della mente e dell’inconscio

Il Dr. Richard J. Castillo, professore di antropologia psichiatrica all’Università di Harvard, nel suo trattato dal titolo Spirit Possession in South Asia, Dissociation or Hysteria? Part 1: Theoretical Background (1994), ha sottolineato che le prospettive patologiche nell’ambito dell’antropologia riguardo alla possessione spiritica tradizionalmente si sono orientate principalmente in tre direzioni chiave:

  • la prospettiva psicoanalitica freudiana;
  • la teoria della dissociazione proposta dal filosofo e psichiatra francese Pierre Janet (1859-1947);
  • la visione più ampia degli stati alterati di coscienza non considerati patologici.
Sigmund Freud
Sigmund Freud

Secondo la prospettiva psicoanalitica di Freud, la possessione spiritica è vista come un’espressione di isteria modellata culturalmente, legata a uno «stato emotivo irrazionale originato da desideri edipici repressi nell’inconscio». Altre interpretazioni psicoanalitiche riguardanti la possessione spiritica mettono in luce i “traumi e le angosce passate” vissute dai posseduti, suggerendo che i comportamenti e le sensazioni psicologiche legate allo stato di possessione siano sintomi simbolici della repressione inconscia di queste esperienze. Questi sintomi si trasformerebbero da manifestazioni psicologiche a fisiche attraverso un processo chiamato conversione o somatizzazione.

Un esempio significativo di approccio psicoanalitico alla possessione spiritica è rappresentato dallo studio condotto sui sacerdoti e sacerdotesse estatici nello Sri Lanka da Gananath Obeyesekere, professore emerito di antropologia all’Università di Princeton, New Jersey. Obeyesekere interpretava il fenomeno della possessione, o arude (possesso divino), insieme ad altri segni fisici evidenti come i capelli arruffati delle sacerdotesse, come simboli esteriori di esperienze negative relegate nell’inconscio. Le interpretazioni psicoanalitiche vedono le manifestazioni della possessione spiritica come manifestazioni culturalmente tollerate di una patologia sottostante, un’analisi approfondita della quale verrà esplorata nella sezione successiva.

La Possessione Spiritica e l’approccio clinico

La percezione della possessione spiritica come patologia è spesso vista da diverse prospettive, tra cui quella psicoanalitica, che tende a interpretare questi fenomeni come espressioni di disturbi psicologici o psichiatrici.

Secondo alcuni approcci psicoanalitici, la possessione spiritica può essere considerata una manifestazione di isteria o altre condizioni legate a traumi e conflitti interiori non risolti. In questa visione, i sintomi della possessione sono interpretati come espressioni simboliche di problemi psicologici o traumi repressi, come ad esempio, atteggiamenti, comportamenti e manifestazioni fisiche associati alla possessione spiritica potrebbero essere interpretati come il risultato di esperienze passate traumatiche o rese inconscie.

Possessione Spiritica come Isteria

Tambor de Mina, religione sincretica della possessione spirituale afro-brasiliana. Una "filha de santo" (membro del culto) entra in trance, posseduta da uno spirito.
Tambor de Mina, religione sincretica della possessione spiritica afro-brasiliana. Una “filha de santo” (membro del culto) entra in trance, posseduta da uno spirito.

Le prime indagini sulla possessione spiritica si concentravano sulla considerazione dello “stato anomalo” delle persone possedute, trovando somiglianze comportamentali con condizioni neurologiche note come isteria ed epilessia, appena identificate in quei tempi.

Questi approcci tendevano a mettere in relazione il comportamento del posseduto con sintomi caratteristici di disturbi neurologici come l’isteria e l’epilessia, in virtù di similitudini comportamentali osservate. Questa associazione ha contribuito a generare l’idea che la possessione fosse un fenomeno anormale o patologico, riconducibile a condizioni mediche o neurologiche identificabili all’epoca.

Il filosofo britannico Herbert Spencer (1820-1903), ad esempio, nel primo volume dei suoi Principi di sociologia (1855) scrive:

«Se, durante insensibilità di ogni genere, l’anima vaga e, al ritorno, fa sì che il corpo riprenda la sua attività – se l’anima può così non solo uscire dal corpo ma può rientrarvi; allora potrebbe forse il corpo essere occupato da un’altra anima? Il selvaggio pensa che possa accadere. Da qui l’interpretazione dell’epilessia. Il popolo del Congo attribuisce l’epilessia alla possessione demoniaca. Tra gli Africani Kast, la “malattia che fa cadere” è particolarmente diffusa; e Burton ritiene che abbia dato origine alla diffusa convinzione della possessione. Come esempio di razze asiatiche possiamo citare i Calmucchi: per questi nomadi gli epilettici sono considerati persone in cui sono entrati spiriti maligni. Che anche gli Ebrei spiegassero in modo simile i fatti è evidente; e la lingua araba ha la stessa parola sia per epilessia che per possessione di diavoli. È superfluo dimostrare che questa spiegazione è perdurata tra i civilizzati fino a tempi relativamente recenti.»

The Principles of Sociology (1896) di Herbert Spencer (pag. 227)

I primi osservatori delle pratiche di possessione spiritica tendevano a concludere che la persona posseduta fosse affetta, in realtà, da un disturbo psicologico noto come isteria. Questo tentativo di interpretazione riduceva profonde manifestazioni culturali e spirituali al livello di condizioni di malattia e disturbo.

Nel XIX secolo, pionieri nel campo della neurologia come Jean-Martin Charcot (1825-1893) presso l’ospedale Salpêtrière di Parigi, registrarono con grande precisione i sintomi dell’isteria. Utilizzarono anche la fotografia come strumento medico pionieristico, dimostrando così la natura profondamente corporea dei sintomi isterici. I segni distintivi dell’isteria si manifestavano in varie forme, comprese «amnesia, cecità, insensibilità, allucinazioni, comportamenti eccessivi o inappropriati, insieme a crisi e paralisi».

Questi sintomi si sovrappondevano in maniera così sorprendente alle esperienze presunte e ai comportamenti osservati nelle persone possedute che etnografi, antropologi e psicologi erano inclini a etichettare la possessione spiritica come un’altra manifestazione dell’isteria. Ad esempio, Stanley A. Freed (1927-2019), curatore emerito della Divisione di Antropologia dell’American Museum of Natural History (AMNH) di New York City e sua moglie Ruth, andarono oltre, suggerendo che «quasi tutti coloro che hanno scritto sulla possessione spiritica la considerano una forma di isteria.» (Da Spirit Possession as Illness in a North Indian Village del 1964, articolo di Stanley A. e Ruth S. Freed pubblicato sul Vol.III di Ethnology n.2).

La correlazione tra la possessione spiritica e le patologie è stata un tema costante sia nell’ambito dell’antropologia che della psicologia. Sebbene in molte culture la possessione spiritica, soprattutto quando è considerata spontanea o patogena, sia associata a condizioni di malattia, recenti studi neurofisiologici hanno evidenziato nette differenze nell’attività neurologica tra coloro che vivono la possessione come una pratica volontaria e l’insorgenza dell’epilessia.

L’approfondimento delle ricerche in questa direzione ha il potenziale di discernere tra condizioni patologiche e stati di trance collegati alle pratiche di possessione spiritica. Inoltre, potrebbe portare alla luce differenze neurofisiologiche specifiche tra diverse forme di medianità, come ad esempio le variazioni tra la lettura psichica e la comunicazione con gli spiriti senza corpo. Questo campo di indagine si apre verso la comprensione più approfondita delle distinzioni tra fenomeni neurologici e pratiche spirituali, gettando luce sulle varie manifestazioni della mente umana e sulle esperienze spirituali.

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