Possessione Spiritica
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Possessione Spiritica

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Deficit nutrizionali

Un’altra spiegazione patologica della possessione spiritica, precedentemente diffusa nella letteratura antropologica e fino a poco tempo fa considerata, è la teoria della “carenza di nutrienti”. Questa teoria suggerisce che gli episodi di possessione spiritica, soprattutto in ambito femminile, si manifestino come risultato di, e in risposta a, una carenza prolungata di sostanze nutritive nel corpo umano. Si ipotizza che la mancanza di specifici nutrienti possa influenzare lo stato psicofisico delle persone, portando a esperienze percepite come manifestazioni di possessione spiritica. Questo approccio considera la malnutrizione come un fattore determinante nelle manifestazioni spirituali, suggerendo che un’adeguata nutrizione possa influenzare anche la prevalenza o la natura di tali esperienze.

Gli antropologi Alice Beck Kehoe e Dody H. Giletti si sono occupati di questi aspetti e le loro ricerche hanno portato alla pubblicazione di uno studio apparso su American Anthropologist nel 1981.

«C’è una forte correlazione tra le popolazioni che seguono diete povere di calcio, magnesio, niacina, triptofano, tiamina e vitamina D, e coloro che praticano la possessione spiritica; al contrario, le popolazioni segnalate come probabilmente con un’assunzione adeguata di questi nutrienti generalmente non presentano pratiche di possessione spiritica culturalmente autorizzate.»

Women’s Preponderance in Possession Cults: The Calcium-Deficiency Hypothesis Extended. Articolo di Alice Beck Kehoe e Dody H. Giletti apparso su American Anthropologist, Vol. 83, No. 3, 1981.

Kehoe e Giletti propongono che i culti di possessione spiritica rappresentino una forma di riconoscimento istituzionalizzato di sintomi tipici di carenza di nutrienti presenti in determinate classi sociali. Tuttavia, questa teoria è stata oggetto di diverse critiche, in quanto non sempre sembra sostenibile. Ad esempio, nella tradizione spiritista euro-americana moderna, si osservano situazioni che non concordano con questa ipotesi.

L’antropologa Erika Eichhorn Bourguignon (1924-2015), assieme ai colleghi Anna W. Bellisari e Scott McCabe, hanno fornito diversi contro-argomenti all’ipotesi della carenza di nutrienti; ad esempio, mettono in evidenza quanto segue:

«1) Una confusione tra la credenza nella possessione (emic) e il comportamento di trance da possessione (etica);
2) una confusione tra le regole “suntuarie” (cultura ideale), le diete (cultura reale), l’assunzione di nutrienti (costituenti biochimici degli alimenti) e lo stato nutrizionale;
3) sebbene resoconti impressionistici suggeriscano che spesso siano le donne a predominare nei culti di trance da possessione, l’equazione semplice donne = trance da possessione non è giustificata dai dati disponibili;
4) anche se si riuscisse a stabilire una coesistenza tra la partecipazione delle donne nei culti di possessione, le carenze nutritive delle donne e le regole suntuarie, la nostra comprensione dell’esplicazione culturale del comportamento di trance come possessione da parte di spiriti non sarebbe avanzata.»

Women, Possession Trance Cults, and the Extended Nutrient-Deficiency Hypothesis, articolo di Erika Eichhorn Bourguignon, Anna W. Bellisari e Scott McCabe del 1983, pubblicato su American Anthropologist, Vol. 85, No. 2.

IM Lewis ha criticato l’approccio di Kehoe e Giletti come eccessivamente riduttivo, sempre su American Anthropologist nel 1983.

Possessione Spiritica e Disturbo Dissociativo dell’Identità

Il confronto tra la possessione spiritica e il Disturbo Dissociativo dell’Identità (DDI), prima noto come disturbo di personalità multipla, è frequente nelle discussioni. Lo psicoterapeuta e scrittore accademico Adam Crabtree, definisce il DDI come l’emergere di «due o più personalità in un individuo», mentre il parapsicologo Douglas Scott Rogo (1950-1990) associa la «possessione spirituale, follia e molteplicità di personalità» a un confine indefinito.

Nell’articolo pubblicato su Journal of Nervous and Mental Disease nel 1991, il professore di psichiatria all’Harvard Medical School, Donald C. Goff, con i colleghi Daniel J. Kindlon, Andrew Brotman, Meredith Waites e Edward Amico, hanno indicato una connessione tra credere di essere posseduti e la psicosi cronica.

Tuttavia, è cruciale distinguere il DDI, con alterazioni di personalità associate a impatti negativi nella vita quotidiana, dalla medianità, che generalmente non arreca così gravi interferenze. Questa differenza potrebbe derivare da un processo di addomesticamento, in cui le sessioni regolari offrono spazio per l’espressione delle diverse personalità, lasciando alla personalità principale del medium la guida nella routine quotidiana. Se si considerassero la medianità e il DDI come fenomeni simili, lo sviluppo strutturato della medianità e le sessioni regolari potrebbero diventare risorse terapeutiche, fornendo un ambiente sicuro per l’emersione di varie personalità e migliorando la vita di coloro coinvolti.

Se volete approfondire l’argomento: La battaglia dell’anima: Possessione o malattia mentale?

Lo psichiatra Alexander Moreira-Almeida, con i colleghi Francisco Lotufo Neto ed Etzel Cardeña, hanno notato che in un confronto tra medium spiritisti brasiliani e pazienti con DDI in Nord America, i medium presentavano una migliore adattabilità sociale, una minore incidenza di disturbi mentali, meno richieste di servizi di salute mentale, l’assenza di assunzione di antipsicotici e una minore probabilità di aver subito abusi fisici o sessuali durante l’infanzia, episodi di sonnambulismo, caratteristiche secondarie del DDI e sintomi di personalità borderline, se comparati ai soggetti con DDI.

Elizabeth Roxburgh e Chris Roe, in uno studio confrontativo tra medium spiritisti e non medium nel Regno Unito, hanno concluso che non è appropriato considerare i medium come individui psicologicamente malsani o disfunzionali. Moreira-Almeida e colleghi hanno inoltre argomentato che una maggiore padronanza delle proprie abilità di possessione, possibilmente acquisita attraverso un allenamento più esteso o rigoroso, potrebbe caratterizzare una forma di possessione non patologica.

Ho letto un libro molto interessante edito in italia con il titolo Il diavolo in corpo: Sulla possessione spiritica del 2019, a cura di Moreno Paulon. Questo libro è ricco di contributi come quelli di Aihwa Ong, professoressa di antropologia presso l’Università della California, Jean-Pierre Olivier de Sardan, antropologo franco-nigerino, professore emerito di antropologia all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Marsiglia e Janet McIntosh, docente di antropologia alla Brandeis University. Il libro delinea un panorama affascinante delle manifestazioni della possessione in contesti culturali diversi, spaziando dalla Malesia al Niger, ed esamina gli stati alterati di coscienza sotto molteplici prospettive, esplorando le loro funzioni religiose, sociali, politiche e terapeutiche. L’ho letto e penso sia molto approfondito e coinvolgente, ma soprattutto, si concentra sulle varie forme della possessione spiritica, anche nel contemporaneo.

Pe concludere questo paragrafo, pur presentando delle somiglianze esterne con il Disturbo Dissociativo dell’Identità (DDI), la possessione spiritica non dovrebbe essere considerata una patologia in senso stretto, soprattutto quando questo stato è attivamente provocato come una pratica culturalmente rilevante, come avviene nella maggior parte delle tradizioni della medianità spiritica. In realtà, la medianità potrebbe offrire un vantaggio terapeutico ai suoi praticanti. Tale pratica, che consente alle personalità alternative di manifestarsi in contesti specifici come le sedute regolari, può persino favorire il benessere delle persone coinvolte, offrendo loro un ambiente sicuro e strutturato. Questo suggerisce un possibile ruolo terapeutico della medianità nell’ambito delle espressioni culturali.

La Possessione Spiritica come patologia

Molti studiosi di antropologia hanno sollevato seri dubbi sull’interpretazione della possessione spiritica come una condizione patologica. L’antropologo Ashwin Budden, in particolare, evidenzia come la diffusione globale della possessione dissociativa e degli stati di trance posseduti in molte culture, oltre alla profonda integrazione di tali esperienze nei contesti storici e culturali, suggeriscano che tale fenomeno sia molto distante dall’essere considerato anomalo o patologico.

Al contrario, in molte società, la capacità di manifestare queste esperienze può essere desiderata e addirittura premiata socialmente, conferendo a coloro che riescono a incorporare entità spirituali uno status sociale più elevato di quanto normalmente otterrebbero. Un esempio eloquente, narrato da Thomas Csordas, professore di antropologia medica e psicologica, si riferisce a una situazione nel contesto del Candomblé, una religione sincratica brasiliana. In tale circostanza, l’iniziazione a un individuo fu negata nonostante la sua partecipazione, poiché alcuni comportamenti mostravano segni che, anziché rievocare lo stato estatico associato alla religione, erano interpretati come indicatori di problematiche psicopatologiche. Questo episodio dimostra la consapevolezza acquisita dagli stessi praticanti della possessione spiritica, evidenziando la netta distinzione tra un’esperienza spirituale e uno stato patologico, confermando la loro capacità di discernimento attivo tra queste due condizioni.

Approcci cognitivi della Possessione Spiritica

L’approccio cognitivo alla possessione spiritica non la considera un fenomeno patologico, ma piuttosto come il risultato di processi mentali e categorie errate.

Secondo l’antropologa cognitiva Emma Cohen, autrice di The Mind Possessed: The Cognition of Spirit Possession in an Afro-Brazilian Religious Tradition e What is Spirit Possession? Defining, Comparing and Explaining Two Possession Forms, le somiglianze osservate nelle pratiche e nelle credenze sulla possessione spiritica tra le diverse culture derivano dai processi mentali innati dell’essere umano. Cohen si basa su contributi di studiosi della religione come l’antropologo cognitivo Pascal Robert Boyer e lo psicologo sperimentale Justin L. Barrett. Il suo modello suggerisce che la possessione spiritica coinvolge vari processi cognitivi, solitamente manifestandosi in due forme distinte: volontaria e involontaria. Cohen propone spiegazioni dettagliate per queste manifestazioni, analizzando i processi cognitivi sottostanti.

«I concetti esecutivi della possessione impiegano una vasta gamma di sistemi cognitivi, molti dei quali operano al di sotto del livello della consapevolezza conscia. La maggior parte delle inferenze fornite da questi sistemi passa inosservata, consentendo alle persone di gestire meccanismi, comandi e problemi semplici della vita quotidiana con facilità e automaticamente. Ad esempio, l’identificazione di persone che conosciamo bene, da un giorno all’altro e da un anno all’altro, è, nel complesso, un processo senza sforzo. In effetti, ci sono determinati processi cognitivi dedicati alla risoluzione di specifici tipi di problemi che funzionano in modo indipendente e persino resistono al controllo conscio. Il riconoscimento dei volti è uno di questi processi. (…) I concetti di possessione patogena derivano dall’operatività di strumenti cognitivi che si occupano della rappresentazione della contaminazione (sia positiva che negativa); la presenza dell’entità spirituale si manifesta tipicamente (ma non sempre) sotto forma di malattia. I concetti esecutivi della possessione mobilitano strumenti cognitivi che trattano il mondo degli agenti intenzionali; l’entità spirituale è tipicamente rappresentata come che prende il controllo esecutivo dell’ospite, o sostituisce la “mente” dell’ospite (o agenzia intenzionale), assumendo così il controllo dei comportamenti corporei.»

da What is Spirit Possession? Articolo di Emma Cohen – Ethnos, vol. 73:1, marzo 2008

Secondo Cohen, le pratiche e le credenze sulla possessione spiritica sono ampiamente diffuse poiché si basano su processi cognitivi normali, come il riconoscimento degli agenti, rendendole intuitive e comprensibili. Lei sostiene che queste idee si diffondano con successo perché trovano fondamento in capacità mentali condivise dall’umanità, utilizzate nel risolvere le sfide comuni della vita di tutti i giorni.

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