Ikiryō, i Fantasmi dei vivi
Si ritiene che uno spirito vivente, chiamato Ikiryō (o Shoryo, Seirei o Ikisudama), sia l’emanazione dell’anima di una persona ancora in vita, capace di lasciare il corpo e spostarsi liberamente. Questo concetto ha radici antiche e molte narrazioni su spiriti viventi sono state tramandate attraverso opere letterarie e tradizioni culturali.
È importante notare che l’antitesi di uno spirito vivente è rappresentata da uno spirito morto. Le persone hanno creduto da tempi antichi nella capacità dell’anima umana di separarsi liberamente dal corpo, e questa credenza è stata tramandata attraverso varie storie e materiali tradizionali. Secondo il Kojien (un dizionario di lingua giapponese), uno spirito vivente è talvolta descritto come lo spirito vendicativo di una persona ancora in vita, capace di infliggere maledizioni. Tuttavia, esistono anche racconti di spiriti viventi che possiedono altri individui per motivi diversi dalla vendetta, compresi casi in cui persone prossime alla morte hanno sperimentato la manifestazione di uno spirito vivente o hanno visitato i propri cari.
Storia dei fantasmi Ikiryō
Nella letteratura classica giapponese, storie celebri come quella de Il racconto di Genji narrano di spiriti viventi o onryō che, per vari motivi, lasciano il corpo e influenzano gli eventi umani. Uno degli esempi è Rokujo Mishudokoro, amante di Genji, diventata uno spirito vivente che maledice Aoi no Ue, portandola alla morte. Questo tema è riflettuto anche nell’opera teatrale Noh Aoi no Ue. Le Noh sono opere scientifiche secolari che cercano temi tratti dal mondo reale e pongono maggiore enfasi su espressioni .basate su temi soprannaturali.
Un’altra storia del periodo Heian (794-1185) parla di uno spirito vivente della provincia di Omi che, giunto a Kyoto, provoca la morte delle persone. Si scopre successivamente che è il fantasma della moglie del capomarito, dimostrando che gli spiriti viventi possono influenzare la realtà.
Inoltre, ci sono storie di fantasmi giapponesi che possiedono persone amate anziché odiate. Ad esempio, il caso di Matsunosuke, figlio di Matsutoya Tokubei, che viene posseduto da una giovane innamorata di lui, portando a comportamenti strani e conversazioni con gli spiriti.
In una storia della raccolta Sorori Monogatari del periodo Kanbun (1661-1673), uno spirito femminile vaga con una testa decapitata, generando eventi inquietanti e fraintendimenti. Questi racconti riflettono la convinzione antica che i sogni potessero rivelare esperienze degli spiriti viventi mentre interagivano con il mondo umano.
I fantasmi Ikiryō nella cultura giapponese
In Giappone, esistono leggende diffuse secondo le quali le anime delle persone morenti diventano spiriti viventi. Nel distretto di Nishitsugaru, prefettura di Aomori, si parla di amabito, anime che escono poco prima della morte e visitano coloro che desiderano incontrare. Nella prefettura di Akita, la pratica simile è chiamata Hidamashi. In altre regioni, come la penisola di Noto, esiste la credenza Shininbo, secondo cui le anime si recano in un tempio prima di morire.
Il folclore giapponese racconta di Omaku nella regione di Tono, Iwate, dove immagini di vivi e morti si trasformano in illusioni visibili agli occhi umani. Un esempio narra di un’apparizione premonitrice al Tempio Koganji. Leggende simili si trovano anche in altre regioni, specialmente durante la guerra, quando si racconta che le anime dei caduti tornassero a salutare i loro cari.
Un racconto del 1940 da Umedoi, prefettura di Mie, parla di una palla di fuoco inseguibile, che si rivelò essere l’anima di una donna. Queste storie riflettono la ricca tradizione di credenze popolari e testimoniano la connessione tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti nella cultura giapponese.
Spiriti viventi considerati malati
Durante il primo periodo Edo (1603-1690), la comparsa degli spiriti viventi era temuta e considerata una sorta di malattia, identificata con i nomi Rikonbyo, Kage no Yamai e Kagewazurai. Esistono anche racconti di persone che hanno incontrato fantasmi identici a loro stesse, simili a doppelgänger di natura paranormale. Altri racconti narrano di individui il cui spirito si trova posseduto da fantasmi, consentendo loro di osservare la propria persona dall’esterno. Nel periodo Heian (794-1185), la figura dello spirito vivente in movimento era denominata Akugaru, e si ritiene che da qui derivi l’origine del termine Akugaru nel contesto amoroso, indicando un amore così intenso da far perdere la propria presenza mentale, come se ci si stesse avvicinando a qualcuno in uno stato di trance.
Pratiche e rituali sugli spiriti viventi
Ushi no Toki Mairi è un rituale in cui una persona, durante il periodo del bue, pianta un chiodo in un albero sacro. In questo rituale, diventa un demone mentre è ancora in vita e utilizza il potere del demone per lanciare maledizioni e portare sventure su chiunque abbia scontentato o disprezzato. A differenza degli spiriti viventi che si muovono inconsciamente, questo rituale viene eseguito consapevolmente come atto di maledizione, causando sofferenza all’altra persona. Nella prefettura di Okinawa, una maledizione che coinvolge l’intenzionale possesso di uno spirito vivente su un’altra persona o animale, causando danni, è nota come ichijama.
Allo stesso modo, testimonianze di esperienze pre-morte descrivono la separazione tra corpo e coscienza. Un’altra possibile interpretazione è la proiezione fuori dal corpo (OOBE, Out of body experience), fenomeno in cui la coscienza lascia il corpo come anima e osserva obiettivamente il proprio corpo. Si ritiene che le persone facilmente attaccabili, dipendenti o con rimpianti abbiano maggiori probabilità di essere possedute da spiriti viventi.
Jibakurei, Spiriti legati alla terra
Gli Jibakurei sono spiriti legati alla terra, entità che, a causa di circostanze come morti improvvise, sentimenti di risentimento, o suicidi, si trovano nella condizione di non riuscire ad accettare la propria morte. Questo concetto è stato coniato sempre da Toshiya Nakaoka, un’autorità giapponese nel campo degli spiriti. Secondo Nakaoka, coloro che muoiono in circostanze traumatiche o con sentimenti negativi persistono in uno stato di rifiuto della morte. Si ritiene che questi spiriti diventino “consapevoli della morte” solo dopo un periodo prolungato, durante il quale rimangono vicini alla terra, acquisendo la denominazione di “spiriti legati alla terra“.
In occidente li chiamiano fantasmi residui, noti nei paesi anglosassoni come restligeist, un termine tedesco in cui restlich significa “di un luogo o di un edificio”, e geist si riferisce a uno spirito o un fantasma.
Questo fenomeno è stato menzionato per la prima volta dall’archeologo e parapsicologo inglese T. C. Lethbridge (Thomas Charles Lethbridge, 1901-1971) nel suo libro Ghost and Ghoul del 1961, nel quale scrive che in determinati luoghi si verificano ripetutamente suoni misteriosi e strani eventi associati a una persona specifica, quasi come se fossero riprodotti ciclicamente come su un nastro.
Jikininki, Spettri mangiatori di uomini
Nella mitologia e nel contesto del buddismo giapponese, i Jikininki sono yūrei, ovvero fantasmi giapponesi, che hanno trascorso una vita mortale caratterizzata da meschinità, avidità ed egoismo. Dopo la morte, vengono maledetti e condannati a nutrirsi di resti umani. Questi spiriti sono spesso equiparati ai ghoul, creature mostruose presenti nel folclore arabo, note anche come goal o goli.
Caratteristiche dei Jikininki
I Jikininki sono creature legate al folclore giapponese che operano durante le ore notturne, cibandosi dei resti organici dei recentemente defunti. Si infiltrano nei luoghi di veglia per consumare le offerte di cibo lasciate in memoria dei defunti. A volte, oltre a nutrirsi dei cadaveri, rubano anche oggetti di valore per corrompere funzionari locali, cercando di ottenere un lasciapassare nella loro attività notturna. Queste creature, consapevoli della loro deplorevole condizione, provano disgusto per l’obbligo di nutrirsi ogni notte di carne umana.
I Jikininki assumono sembianze simili a cadaveri in decomposizione, con dettagli inumani come artigli affilati e occhi incandescenti. La loro apparizione è spesso descritta come orribile, inducendo il terrore in chiunque si trovi loro di fronte, paralizzandoli dalla paura. Diverse versioni della leggenda suggeriscono che i Jikininki possano mutare la propria forma, mimetizzandosi da esseri umani ordinari e persino condurre una vita normale durante il giorno.
Queste creature sono considerate Gaki (in giapponese) o Preta (in sanscrito), rientrando nel mondo del desiderio. A volte, vengono associati anche a concetti come rakshasa o gaki, ovvero fantasmi affamati. Secondo alcune versioni della leggenda, i Jikininki possono essere liberati dalla loro esistenza deplorevole attraverso i ricordi, le offerte o le preghiere di individui virtuosi e giusti, possessori di uno spirito puro e senza onorevole disonore familiare.
La leggenda del Jikininki
La leggenda del Jikininki è raccontata attraverso l’antico racconto giapponese del monaco buddista Musō Soseki (1275-1351), forse il monaco più famoso del suo tempo, conosciuto anche come Musō Kokushi (夢窓国師). Durante il suo viaggio solitario attraverso le montagne della prefettura di Mino, Musō si perse quasi al crepuscolo. Vedendo un vecchio anjitsu (un eremita) sulla cima di una collina, Musō chiese rifugio per la notte, ma il vecchio monaco eremita rifiutò aspramente, indicando un villaggio nelle vicinanze dove avrebbe potuto trovare cibo e alloggio.
Seguendo le indicazioni, Musō fu calorosamente accolto dal capo-villaggio, il quale gli fornì cibo e alloggio. Tuttavia, poco prima di mezzanotte, un giovane lo svegliò per informarlo della morte del padre, deceduto proprio quella mattina. Il giovane non aveva rivelato la notizia in precedenza per non mettere Musō in imbarazzo. Durante la notte, gli abitanti del villaggio si erano trasferiti altrove, lasciando il cadavere da solo, ma Musō si offrì di vegliare il defunto svolgendo la cerimonia di sepoltura.
E proprio durante quella veglia notturna, Musō fu testimone di un essere informe che entrò nella stanza, divorando il cadavere e le offerte. Al mattino, raccontò l’accaduto al giovane, il quale sembrava conoscere già la storia. Quando gli abitanti del villaggio tornarono, Musō rivelò che l’essere informe era proprio il vecchio anjitsu sulla collina. Tuttavia, il giovane negò l’esistenza di un monaco eremita nelle vicinanze.
Prima di partire, Musō tornò sulla collina dal vecchio monaco eremita, che questa volta lo lasciò entrare. Il vecchio anjitsu confessò di essere un jikininki, uno spirito destinato a nutrirsi di cadaveri a causa della sua vita egoista come sacerdote. Implorò Musō di eseguire una cerimonia Segaki per porre fine alla sua esistenza come jikininki. Il Segaki è una speciale cerimonia buddista celebrata per aiutare esseri che si crede siano entrati nella condizione di Gaki (Preta), ossia spiriti affamati. In un attimo, il vecchio monaco scomparve, lasciando Musō inginocchiato accanto a una tomba antica e coperta di muschio, che sembrava essere il luogo di riposo di un antico sacerdote.