
Il matematico danese Piet Hein (1905-1996) diceva «Un po’ oltre la portata della percezione a volte credo di vedere che la Vita è due scatole chiuse, ciascuna contenente la chiave dell’altra».
C’è un fenomeno, alquanto bizzarro, che è sicuramente capitato a ciascuno di noi… Quello degli oggetti che non si trovano più o che, a volte, si ritrovano dopo un po’ di tempo, oppure si ritrovano in un luogo diverso da dove ci ricordavamo, spesso con assoluta certezza. Certo, in moltissimi casi è colpa della distrazione, a volte siamo così certi di averlo poggiato lì, proprio lì, pochi istanti prima, ma di quell’oggetto non c’è più traccia. E così inizi a cercarlo… E più lo cerchi e più non lo trovi. A volte ti impazientisci e ti domandi dove diavolo sia finito. Ripercorri le stesse azioni… Ma niente, quell’oggetto non c’è più! Poi… quando meno te lo aspetti… Rieccolo! Era lì, com’è che prima non l’ho visto?? Oppure, nella peggiore delle ipotesi: l’oggetto è sparito, per sempre!
La prima spiegazione da prendere in considerazione è la possibilità più comune e cioè che la persona abbia semplicemente smarrito l’oggetto o dimenticato dove l’avesse messo. Questa è, infatti, la causa della stragrande maggioranza di questi strani fenomeni. Ad esempio, se una donna mette gli orecchini sempre nello stesso contenitore in camera, e poi gli orecchini non sono più al loro posto, è possibile che, per qualche distrazione, la donna abbia potuto posare quegli orecchini su un altro piano in un’altra stanza e, poi cercandoli, li troverà lì. Ma se l’oggetto ha una solita ed unica ubicazione, come ad esempio lo spazzolino da denti, nel momento in cui non sono nel solito posto, si cercherà lì attorno e non altrove. Perché mai avrebbe dovuto trovarsi in cucina, ad esempio? Eppure cose del genere probabilmente accadono più spesso di quanto immaginiamo. Se dopo aver cercato ovunque in casa, ci ritroviamo lo spazzolino nello stesso posto dove lo mettiamo abitualmente, restiamo basiti e a meno che non abbiamo avuto una cecità temporanea, bisognerà considerare altre possibilità.
Una possibilità è che qualche componente della famiglia potrebbe aver spostato l’oggetto, a meno che si vive da soli e quindi decade questa opzione. Ma se le cause non sono la nostra distrazione o qualcuno che ha spostato l’oggetto, quali sono quelle restanti? E qui entriamo nell’argomento dell’insolito, del paranormale, anche se a me non piace definirlo così. Elencherò le ipotesi più gettonate fino a quelle più particolari e che meritano, forse, più attenzione perché introducono un discorso più ampio; ma andiamo per ordine.

Qualcuno ha dato due nomi a questo fenomeno con relativi acronimi inglesi: il primo è DOP (Disappearing Object Phenomenon), ovvero, il Fenomeno dell’oggetto che scompare, e il secondo è JOTT, coniato dalla parapsicologa inglese Mary Rose Barrington (1926-2020) che è stata alla presidenza alla Oxford University Society e si è unita alla Society for Psychical Research (SPR) nel 1957, diventando membro del Consiglio nel 1962 e vicepresidente nel 1995. Fatta la presentazione della Barrington, veniamo al suo termine JOTT, che è l’acronimo di Just One of That Things (tradotto: Solo una di quelle cose), classificando i fenomeni come una discontinuità spaziale, seppur la Barrington definiva JOTT le «cose che inspiegabilmente vanno e vengono, anche se più spesso vanno e possono o non possono tornare, sia nella loro posizione originale che altrove». Perché dalla sua vasta raccolta di casi sosteneva che, mentre molti di questi incidenti possono essere attribuiti ad una «distrazione mentale, allucinazioni o personalità dissociativa», alcuni sfidano ogni spiegazione e costituiscono una categoria simile ad altri fenomeni psico-fisici più ampiamente riportati e studiati, come effetti poltergeist, telecinesi e materializzazione, i cosiddetti apporti.

Il termine è stato scelto anche per via delle due categorie alle quali la Barrington ha catalogato i fenomeni: Jottles che significa scossa, non nel senso elettrico, più simile ad uno scossone, in cui gli oggetti vengono spostati tramite teletrasporto, o simili ad un effetto poltergeist… Avete presente Patrick Swayze (1952-2009) nel film Ghost del 1990, quando tenta di spostare una lattina vuota con la forza del pensiero? Ricorderete che fallisce finché lo spettro della metropolitana, interpretato da Vincent Schiavelli (1948-2005), gli spiega come lui ci riesce. Sarà davvero così? Questo è solo un film di fantasia. E al di là della capacità di spostare gli oggetti, se così fosse, quanta forza ci vorrebbe per portarli in un luogo più distante? E quando gli oggetti scompaiono, dove vanno a finire? Come può un oggetto materiale finire in una dimensione eterea? In questo caso devo accennare anche all’ipotesi di altri piani di esistenza, così come chi ha una mentalità più spirituale, chiama i luoghi in cui possono risiedere gli spiriti e altre forme di realtà.
Ma torniamo alla Barrington, lei identificava sei tipi di JOTT:
- Comeback (ovvero Ritorno): quando un oggetto cessa di essere presente in un luogo e viene successivamente ritrovato in quello stesso luogo o molto vicino.
- Walkabout, che potremmo tradurre nella Passeggiata: quando un oggetto cessa di essere presente in una posizione nota e viene successivamente trovato in una posizione diversa seppur nello stesso luogo.
- Il terzo tipo è il Flyaway, l’oggetto che vola via: nel quale un oggetto che si trova solitamente in un determinato luogo, cessa di essere presente e (ad oggi) rimane introvabile.
- Il Turn-up, il cosiddetto oggetto trovato per caso di cui non si conosce la provenienza.
- Windfall, dall’inglese, la Manna: quando un oggetto di provenienza sconosciuta risulta essere inspiegabilmente presente e utile al momento giusto.
- E infine l’effetto Trade-in, l’oggetto permuta: quando questi svanisce inspiegabilmente dal suo posto e viene ritrovato in un secondo tempo un oggetto simile, ma non quello, nello stesso luogo del primo.
Oltre a questi sei casi, la Barrington menziona gli oggetti ODDJOTT, da Odd, che significa bizzarro, per classificare un’anomalia ambientale in cui il trasferimento non è la caratteristica principale, come ad esempio quel copripiumino infilato in lavatrice con la cerniera aperta che a lavaggio concluso viene ritrovato al rovescio e con la cerniera completamente chiusa.
Dunque, cosa succede in quel momento? Dov’è finito l’oggetto? Perché è “scomparso”? Perché talvolta viene ritrovato e altre volte no? Ci sono delle forze all’opera in questo fenomeno estremamente strano ma relativamente così comune?
Mary Barrington aveva una teoria: quella della Mente Cosmica collettiva, che abbraccerebbe tutti noi in una rete telepatica e, le anomalie (i JOTT), si verificherebbero principalmente quando i nostri recettori telepatici sarebbero stanchi o distratti dall’intrusione di materiale telepatico dalla rete collettiva. L’oggetto si sposterebbe senza muoversi dal recettore distratto e verrebbe poi ricollocato da chi si riallinea. Complesso, ma non impossibile da comprendere.

Oltre al libro della Barrington, JOTT: when things disappear… and come back or relocate – and why it really happens (letteralmente: JOTT: quando le cose scompaiono… e tornano o si spostano – e perché succede davvero), se vi interessa l’argomento, vi suggerisco anche quelli del ricercatore statunitense Charles Fort (1874-1932), che si occupò per moltissimi anni di questi fenomeni.
E se gli oggetti scomparissero per un’invisibilità temporanea?
Naturalmente non esiste un’ipotesi scientifica che permetta a un oggetto di diventare invisibile e, dopo un po’ di tempo, che torni di nuovo visibile. Se così fosse ci sarebbero altre domande: come o per quale motivo un oggetto specifico diventa invisibile? Lì effetto ha qualcosa a che fare con l’uso regolare o intimo dell’oggetto da parte della persona? È un effetto fisico prodotto da qualche meccanica sconosciuta della mente umana?
Nel caso psicologico, l’oggetto è fisicamente lì, ma la nostra attenzione è così deviata che letteralmente non lo vediamo. È un esempio dell’attenzione selettiva, nella quale il soggetto di fronte a un ambiente complesso e ricco di stimoli, seleziona alcuni stimoli-oggetti per trascurarne altri, e questo per raggiungere uno scopo e attuare un comportamento preciso. Quindi in quel momento di attenzione verso qualcosa, perdiamo la concentrazione sull’oggetto che poi non troviamo.
Un’altra ipotesi cade inevitabilmente sul cosiddetto poltergeist, un termine che avrete sicuramente già sentito. In tedesco significa spirito rumoroso. E gli effetti del poltergeist sono descritti solitamente come colpi sui muri (raps), oggetti lanciati come da mani invisibili, mobili ritrovati spostati e altri eventi simili. Tuttavia, molte ricerche sul paranormale, hanno affermato che il poltergeist potrebbe non avere nulla a che fare con fantasmi o spiriti, ma con fenomeni di Psicocinesi spontanea ricorrente (RSPK, Recurrent Spontaneous PsychoKinesis).
Se restiamo alla causa spiritica, quindi sulla teoria che a spostare o a sottrarre quell’oggetto sia opera dello spirito di un defunto, ci sarebbe da capire come riuscirebbero a farlo. Forse vogliono darci la prova della loro esistenza? Nelle varie testimonianze sul Fenomeno degli oggetti scomparsi, quelli che riguardano oggetti importanti da un punto di vista affettivo, magari legati alla famiglia o alla persona defunta, una volta scomparsi non vengono più ritrovati. Sarebbe la risposta più semplice, ma che implica una serie di ulteriori riflessioni. E torniamo alla domanda di prima: come farebbero a spostare questi oggetti?
Come potete vedere è troppo semplice poter dire che li hanno presi gli spiriti. Certo, noi non conosciamo se e come funzionano le leggi spiritiche, però quando operano su questo piano fisico dovrebbero entrare in gioco le leggi fisiche che conosciamo su questo mondo, no?
«Avendo consacrato tutta la mia vita alla Scienza più razionale possibile, lo studio della materia, posso dirvi almeno questo a proposito delle mie ricerche sull’atomo: la materia come tale non esiste! Tutta la materia non esiste che in virtù di una forza che fa vibrare le particelle e mantiene questo minuscolo sistema solare dell’atomo. Possiamo supporre al di sotto di questa forza l’esistenza di uno Spirito Intelligente e cosciente. Questo Spirito è la ragione di ogni materia».
Il premio Nobél, Max Planck (1858-1947), fisico tedesco.
Forte, non è vero? Quando elaborò questa riflessione era il 1944, tre anni prima che morisse. In pratica voleva dire che la materia è composta nel suo infinitamente piccolo da atomi che sono composti al 99,99% da spazio vuoto.Circa una quarantina di anni prima, nel 1905, ci fu un giovane promettente chiamato Albert Einstein (1879-1955), lo conoscete? Egli dimostrò per la prima volta l’esistenza degli atomi, affermando che «hanno un comportamento alquanto strano, quasi contraddittorio». Gli atomi sono così piccoli, che il loro diametro è di circa un decimo di milionesimo di millimetro. Per intenderci, un nostro capello ha un diametro di circa un milione di atomi. Ma l’atomo è un “guscio vuoto”, se non fosse per alcuni elettroni che sfiorano, ma da lontano, il suo nucleo.

Facciamo finta che l’atomo sia un pallone da calcio… L’elettrone, in questo caso, si troverebbe a circa un chilometro di distanza. Quindi, se dovessimo rimuovere tutto lo spazio vuoto negli atomi di un essere umano, noi non saremmo più grandi di un granello di sale. E se dovessimo rimuovere tutto lo spazio vuoto negli atomi di tutti gli esseri umani sulla Terra, potremmo stare tutti insieme dentro il diametro di una mela. Pazzesco, vero?? Questa scoperta non è così recente come forse starete pensando, ma avvenne nel 1909 alla Manchester University che in quel periodo aveva nella facoltà il promettente chimico Ernest Ruatherford (1871-1937), considerato il padre della fisica nucleare e il precursore della teoria orbitale dell’atomo. Il coraggio di Rutherford fu sorprendente, perché annunciare alla comunità scientifica che l’atomo era principalmente vuoto, contraddicendo le leggi della fisica di allora, era da folli… o, direi, da veri geni! Vi lascio immaginare il terremoto che scatenò la sua affermazione.
Quindi, dato che per spiegare il misterioso vuoto dell’atomo, gli scienziati hanno dovuto gettare a mare tutto ciò che avevano creduto fosse vero nei due secoli precedenti, pensarono di inventare una scienza completamente nuova, che ora chiamiamo meccanica quantistica.

Ma ora veniamo alla parte più singolare… il principio di indeterminazione del fisico tedesco Werner Karl Heisenberg (1901-1976). In poche parole, questo principio afferma che gli atomi sono in più posti contemporaneamente fino al momento in cui un osservatore li guarda. Cioè, se nessuno sta guardando gli atomi che, so, della tua mano, quegli atomi sono effettivamente sparsi in tutto l’Universo. Invece, nel momento in cui guardi la tua mano, gli atomi si fondono istantaneamente nella forma simile a una mano che ci è familiare. Ora, questo è un esempio assolutamente estremo, ma è ciò che avviene. Quindi la nostra vera coscienza non esisterebbe nel nostro cervello o nei nostri corpi e quindi vivremmo l’illusione che i nostri corpi siano individuali e indipendenti l’uno dall’altro. Complesso, ma calzante!
Ora, fatta tutta questa premessa, come spiegare il Fenomeno dell’oggetto che scompare attraverso le teorie dei multiversi. Non sappiamo quanti universi potrebbero esserci, semmai ci fossero, ma supponiamo che due di essi siano molto vicini e simili, ma non del tutto, perché magari due eventi hanno propagato una successione di differenti eventi da divenire totalmente diversi. Faccio un esempio: mi trovo nell’universo che definisco A, ho 2 biscotti sul tavolo. Mi assento dalla cucina, ritorno e manca un biscotto. Finestre chiuse, nessuno l’ha toccata, non ho cani, non ho gatti… vivo solo… ma il biscotto non c’è più. Adesso immaginiamo che ci sia un altro universo, molto vicino, che definisco B, ma dove ho deciso di mangiare quel biscotto e l’altro lasciarlo sul tavolo. L’oggetto “rimbalzerebbe” nell’indeterminazione quantistica, ed è allora che può entrare in uno stato in cui è più determinato a esistere nell’Universo B, cioè nella pancia della mia controparte e dove inspiegabilmente non trovo più il biscotto nell’Universo A.
Ci tengo a precisare che gli universi paralleli non sono una teoria all’interno della fisica, ma piuttosto una conclusione che deriva da varie teorie all’interno della fisica stessa. E l’ipotesi è dettata dal fatto che non abbiamo assolutamente motivo di supporre che il nostro universo osservabile sia tutto ciò che esiste. Lo so, è un argomento che merita più approfondimento, quindi verrà approfondito in altri articoli.