Fantasmi nell'Antico Egitto

Oltre la Morte: i Fantasmi nell’Antico Egitto

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La lettera ai morti di Shepsi (Ciotola nella Tomba Qau 7695)

Un esempio notevole è la ciotola Qau, ritrovata nella tomba Qau 7695, al termine di una camera funeraria. Questa ciotola è conservata presso il Petrie Museum di Londra, ed è datata al Primo Periodo Intermedio.

Ciotola nella Tomba Qau 7695
Ciotola nella Tomba Qau 7695

La ciotola Qau è un oggetto straordinario che contiene due lettere, scritte sia sul lato interno che su quello esterno del recipiente. Entrambe le lettere sono state composte da Shepsi, il quale rivolge una richiesta di aiuto a suo padre per una questione di eredità nella parte interna della ciotola e, sulla parte esterna, a sua madre per protezione dalla malattia. Questo esempio illustra la varietà di problemi affrontati attraverso queste Lettere ai Morti e la loro importanza nella vita quotidiana degli antichi egizi. La ciotola stessa funge da tramite tra i due mondi, dove il confine tra il terreno e il trascendente si fa più sottile.

«(riga 1) Shepsi parla con suo padre Iinekhenmut.
(riga 2) Questo è un ricordo del tuo viaggio nella prigione (?), nel luogo dove si trovava il figlio di Sen, Hetepu, quando portasti (riga 3) la zampa anteriore di un bue, e quando questo tuo figlio venne con Newaef, e quando ti disse: Benvenuti a tutti e due. Siediti e mangia (riga 4) carne! Devo essere offeso in tua presenza, senza che tuo figlio abbia fatto o detto nulla, da mio fratello? (Eppure) fui io a seppellirlo, lo trassi fuori dalla prigione (?), (riga 5) lo collocai fra i suoi sepolcri deserti, benché gli fossero dovute in prestito trenta misure di orzo raffinato, e un fascio di indumenti, sei misure di orzo pregiato, (riga 6) una palla (?) di lino e una coppa, anche se ho fatto per lui ciò che non era necessario fare. Ha fatto questo contro questo tuo figlio in modo malvagio, malvagio (riga 7) - ma tu avevi detto a questo tuo figlio: "Tutta la mia proprietà appartiene a mio figlio Shepsi insieme ai miei campi". Ora (riga 8) il figlio di Sher, Henu, è stato preso. Vedi, è con te nella stessa città. (riga 9) Ora devi andare in giudizio con lui, poiché i tuoi scribi sono con (te) nella stessa città. (riga 10) Può un uomo essere gioioso, quando le sue lance vengono usate [contro suo figlio (??)

Questi testi, scritti con cura e amore, rivelano la profonda spiritualità degli antichi egizi e la loro convinzione nella comunicazione tra i vivi e i morti. La ciotola in ceramica diventa un canale attraverso il quale Shepsi spera di ottenere l’assistenza e la protezione dei suoi genitori defunti nelle sfide della sua vita terrena.

Inoltre, questo esempio dimostra come le credenze egizie nell’aldilà abbiano influenzato le pratiche quotidiane, come la comunicazione con gli spiriti dei defunti. La ciotola in ceramica diventa un simbolo tangibile di questo legame speciale tra il mondo materiale e spirituale, evidenziando l’importanza di tali credenze nella vita dell’antico Egitto.

Petizione di un lavoratore del tempio di Amon (Papiro dell’Oracolo di Brooklyn)

Un altro esempio di questa pratica è rappresentato dal Papiro dell’Oracolo di Brooklyn, un documento straordinario dell’antico Egitto che rivela la petizione di un uomo di nome Pemou a nome di suo padre, Harsiese. Questo straordinario documento getta luce sulle intricate pratiche religiose e burocratiche che regolavano il servizio sacerdotale nei templi egizi.

Harsiese, un sacerdote al servizio del potente dio Amun-Ra a Karnak, aveva un desiderio insolito. Egli aspirava a lasciare il servizio di Amun-Ra e unirsi al sacerdozio del tempio di Montu-Re-Horakhty, situato nelle vicinanze. Tuttavia, poiché il personale di un tempio era considerato come una sorta di “proprietà” della divinità a cui serviva, qualsiasi cambiamento nel servizio sacerdotale richiedeva il consulto della divinità stessa. Pemou, figlio di Harsiese, si rivolse al dio in nome di suo padre, in cerca di consiglio. Il dio, in un evento straordinario, rispose favorevolmente alla richiesta di Harsiese. Per commemorare questa decisione divina, Pemou fece redigere e decorare il Papiro dell’Oracolo di Brooklyn.

Questo antico manoscritto offre una preziosa finestra su un antico rito religioso e sulle cerimonie legate a questo evento. Il papiro stesso raffigura la processione di un’immagine di Amon-Ra, la cui importanza è testimoniata dai frammenti del suo santuario visibili sopra i pali portanti, portati con devozione dai sacerdoti. Due ventagli di piume di struzzo sovrastano l’immagine di Amon-Ra, proteggendolo dai raggi solari.

Immagine del Papiro dell'Oracolo di Brooklyn tratto dal libro A Saite Oracle Papyrus from Thebes
Papiro dell’Oracolo di Brooklyn

Nella rappresentazione, i membri di alto rango del sacerdozio tebano sfilano in processione, indossando maestosi costumi di pelle di leopardo e mostrando i loro rispettivi nomi e titoli scritti sulle cinture delle spalle. In particolare, Montuemhat, il quarto profeta di Amon-Ra, figura prominente nella processione. Montuemhat era non solo un alto sacerdote, ma anche il sindaco di Tebe, posizione di grande potere nell’antico Egitto. Il suo status è ulteriormente evidenziato dalle sue numerose e straordinarie sculture, così come dalla grandezza della sua tomba nella necropoli tebana.

La figura con le piume di struzzo in testa è il sommo sacerdote lettore, incaricato di recitare il rito processionale registrato sul rotolo di papiro che tiene davanti a sé. Il visir Nespeqashuty, il funzionario più importante dell’antico Egitto, svolge un ruolo significativo nella rappresentazione, indossando un costume ufficiale che include una caratteristica gonna alta con spalline allacciate alla caviglia. Dopo la stesura del papiro, ben cinquanta sacerdoti, che avevano assistito ai fatti, apposero le loro firme. Questo frammento contiene le firme, i titoli e le genealogie di sei di questi funzionari, tra cui quelli di Montuemhat e Nespeqashuty. Ogni funzionario ha scritto la propria annotazione, il che spiega la varietà di stili di scrittura presente in questa sezione del papiro.

Il Papiro dell’Oracolo di Brooklyn è quindi un documento di straordinario valore storico, che ci offre uno sguardo in profondità nelle complesse cerimonie religiose e amministrative dell’antico Egitto e testimonia la stretta interazione tra il mondo umano e quello divino.

Lettera di un vedovo per placare l’ira della moglie defunta (Coppa di Berlino 22573)

Le Lettere ai Morti gettano luce su una parte affascinante della vita e delle credenze degli antichi egizi, mostrando come il rapporto tra i vivi e i morti fosse intriso di profonda spiritualità e interconnessione tra i due mondi. Questi antichi documenti sono testimonianze preziose della complessità della cultura egizia antica e della sua straordinaria concezione del mondo.

Un singolare e celebre esempio di infestazione spirituale nell’antico Egitto è rivelato in una toccante lettera, la cui autenticità è stata riscontrata all’interno di una tomba del periodo del Medio Regno. Questo antico documento rivela una storia che affonda le radici nell’amore e nel lutto di un vedovo, la cui anima era legata in modo inestricabile a quella della moglie defunta.

La coppa di Berlino rappresenta un’autentica gemma tra le epistole dedicate ai defunti. Se si escludono i casi rari, come una lettera scritta sul retro di una stele, essa costituisce l’unico reperto in cui il testo è abbinato a un’importante componente iconografica. Il testo inciso sulla coppa di Berlino, con la sua elegante semplicità, sollecita delle profonde riflessioni sul complesso rapporto tra i vivi e i defunti, una tematica che, senza dubbio, doveva caratterizzare il culto degli antenati nell’antico Egitto.

Scritte Coppa di Berlino 22573
Scritte Coppa di Berlino 22573

In questo affascinante resoconto, il vedovo, con il cuore colmo di affetto e rimpianto, scrive una lettera indirizzata direttamente allo spirito della sua amata moglie. La tomba stessa si presenta come un ponte tra i due mondi: il mondo dei vivi e l’aldilà, un luogo dove gli spiriti dei defunti si ritrovano a risiedere. È in questo contesto che il vedovo decide di condividere con sua moglie le sue emozioni, speranze e preoccupazioni, poiché credeva sinceramente che l’aldilà fosse una dimensione in cui lo spirito della moglie potesse ricevere e comprendere il suo messaggio.

Nella lettera, il vedovo esprime il profondo dolore causato dalla perdita della moglie e il suo desiderio di mantenere un legame spirituale con lei nell’aldilà. Manifesta il desiderio di mantenere un dialogo, una connessione continua tra i due mondi. La lettera rivela un’intima comprensione delle credenze egizie, secondo le quali l’anima del defunto poteva mantenere una presenza attiva e interattiva nel mondo dei vivi.

Ecco cosa scrive:

«Che cosa malvagia ti ho fatto per arrivare a questo passo malvagio? Cosa ti ho fatto? Ma quello che mi tu hai fatto è avermi messo le mani addosso, anche se non avevo nulla di male nei tuoi confronti. Da quando ho vissuto con te come tuo marito fino ad oggi, cosa ti ho fatto da dover nascondere? Quando ti ammalasti, feci chiamare un maestro medico... Ho passato otto mesi senza mangiare e senza bere come un (normale) uomo. Ho pianto molto insieme alla mia famiglia davanti alla tua salma. Ti ho dato delle vesti di lino per avvolgerti e non ho tralasciato alcun beneficio che dovesse essere compiuto per te. Ed ora ecco, ho passato tre anni da solo senza entrare in una casa, anche se non è giusto che uno come me debba farlo. Questo ho fatto per amor tuo. Ma ecco, tu non distingui il bene dal male.»

La testimonianza del vedovo svela anche una profonda fiducia nella forza delle emozioni e nella continuità dell’amore anche oltre la morte. Si ritiene che gli antichi egizi credessero che il potere dell’amore e dell’affetto fosse così forte da superare la barriera tra la vita e la morte stessa, consentendo agli spiriti di ritornare e confortare i loro cari. Questa lettera è un affascinante esempio di come le credenze sull’aldilà e la comunicazione con gli spiriti abbiano plasmato le vite e le relazioni delle persone nell’antico Egitto. Rappresenta un tributo alla forza dell’amore e della connessione umana, e come tali sentimenti potessero superare il velo tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti nell’antico Egitto. La lettera testimonia la profonda spiritualità e la visione unica del rapporto tra il mondo dei vivi e l’aldilà che caratterizzavano la cultura egizia.

Testo della Coppa di Berlino 22573
Testo della Coppa di Berlino 22573

L’uomo sembrava aver affrontato una serie di difficoltà e sofferenze che, a suo avviso, potevano essere spiegate soltanto attraverso l’intervento della sua defunta moglie. Nell’antico Egitto, le malattie e la sfortuna erano spesso attribuite a diverse cause, tra cui l’azione degli dei, che potevano infliggere tali prove per insegnare una lezione o punire per qualche peccato commesso. Allo stesso modo, si credeva che spiriti maligni potessero causare problemi, e la rabbia o il risentimento dei morti potessero anche influire negativamente sulla vita dei vivi.

In questo specifico caso, il vedovo asseriva di aver rispettato in modo impeccabile il legame con la sua defunta moglie anche dopo la sua morte. Egli arrivò persino a sostenere di aver evitato di frequentare luoghi come i bordelli nei tre anni successivi alla sua scomparsa. È importante notare che i bordelli erano praticamente inesistenti in Egitto prima del periodo tardo, pertanto il riferimento del vedovo potrebbe essere associato a luoghi simili, come bar o taverne, dove potevano essere presenti donne con ruoli simili a quello delle prostitute. Tuttavia, in generale, vi sono poche prove concrete dell’esistenza della prostituzione nell’antico Egitto.

Questo contesto fornisce un’interessante prospettiva sulla mentalità e sulle credenze dell’epoca, poiché il vedovo attribuiva le sue difficoltà personali alla possibile interferenza degli spiriti o degli dei, e faceva del suo meglio per onorare la memoria della sua defunta moglie, seguendo scrupolosamente le norme sociali dell’epoca. In una situazione simile, in cui un individuo si trovava ad affrontare difficoltà o sofferenze inspiegabili, la pratica comune nell’antico Egitto era quella di rivolgersi a un sacerdote o a una donna saggia, una sorta di veggente, per cercare un intervento divino. In alternativa, la persona poteva decidere di recarsi in un tempio, dove si credeva potesse avvicinarsi agli dei o ai propri parenti defunti per ottenere una visione del futuro o dei consigli.

Ann Rosalie David
Ann Rosalie David

Ann Rosalie David, un’autorità nell’ambito degli studi sull’antico Egitto, osserva che alcuni templi erano noti per essere centri di incubazione dei sogni. In queste strutture speciali, i devoti avevano l’opportunità di passare la notte con l’obiettivo di comunicare con gli dei o con i propri antenati defunti, sperando di ricevere una visione o una rivelazione divina che potesse offrire soluzioni ai loro problemi o ai loro interrogativi futuri. Tuttavia, quando queste opzioni non portavano i risultati desiderati o quando le circostanze lo richiedevano, i vivi potevano ricorrere alla scrittura di una lettera. Questa pratica era un tentativo di stabilire una comunicazione con il mondo degli spiriti o con gli dei, fornendo loro una testimonianza scritta delle proprie richieste, preghiere o preoccupazioni.

Queste lettere ai morti o agli dèi erano considerate un mezzo per cercare aiuto e guida divina quando la comunicazione diretta non era possibile o aveva fallito. In generale, questa serie di pratiche riflette l’importanza dell’interazione tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti o degli dei nell’antico Egitto, dove la ricerca di consigli, conforto o soluzioni per i problemi era un aspetto significativo della vita quotidiana.

«Un importante mezzo di contatto con coloro che erano passati all’aldilà era fornito dalle cosiddette “lettere ai morti”. Le persone che ritenevano di aver subito un’ingiustizia potevano scrivere una lettera ai morti, chiedendo loro di intercedere a favore dello scrittore. Se una persona vivente con dei problemi non aveva un patrono potente in questo mondo, poteva chiedere l’aiuto dei morti. Tuttavia, relativamente
poche di queste lettere sono sopravvissute (meno di venti in un periodo di circa mille anni), anche se è possibile che si tratti solo di una piccola parte della società alfabetizzata.

È possibile che esistesse una tradizione orale molto più ampia per trasmettere gli stessi sentimenti ai morti. Le lettere erano collocate nella cappella della tomba, a lato del tavolo, dove lo spirito del defunto le avrebbe trovate quando veniva a prendere il cibo. Le richieste contenute nelle lettere sono varie: alcuni chiedevano aiuto contro nemici vivi o morti, in particolare nelle controversie familiari; altre chiedevano assistenza legale a sostegno di un richiedente che doveva comparire davanti al tribunale divino nel Giorno del Giudizio; altri ancora implorano benedizioni o benefici speciali.»

– Ann Rosalie David, egittologa (da Religion and Magic in Ancient Egypt, 2002)

Nell’antico Egitto, la concezione dell’aldilà era tale che i morti erano considerati una parte ancora attiva e influente del mondo spirituale. In questa visione, i defunti non cessavano di esistere una volta passati a miglior vita, ma continuavano a mantenere una presenza significativa nell’aldilà. Questo concetto, radicato nelle credenze religiose e culturali egizie, aveva profonde implicazioni per la vita dei vivi e le loro pratiche quotidiane.

William Kelly Simpson
William Kelly Simpson

Poiché i morti erano visti come esseri ancora presenti nell’aldilà, i vivi sentivano di poterli contattare in qualsiasi momento ne avessero bisogno. La separazione tra il mondo terreno e l’aldilà non rappresentava una barriera insuperabile; al contrario, si credeva che fosse possibile instaurare una comunicazione con gli spiriti dei defunti. La dimensione fisica della morte non implicava la fine dell’esistenza dell’anima, ma piuttosto una trasformazione e un passaggio a una forma spirituale.

Questo concetto profondamente radicato nella cultura egizia ha ispirato una serie di pratiche, tra cui l’invocazione degli spiriti degli antenati per ottenere consigli, guida o protezione. Si poteva pregare o rivolgersi ai defunti attraverso cerimonie religiose o offerte, chiedendo il loro intervento o cercando la loro benevolenza. L’idea che i morti potessero essere presenti nell’aldilà e interessati alle vicende dei vivi era un elemento chiave nelle credenze e nelle pratiche dell’antico Egitto, che ha avuto un impatto profondo sulla vita quotidiana e sul modo in cui le persone affrontavano i problemi e le sfide.

«La morte per il defunto egizio che aveva subito i riti della beatificazione, era un prolungamento della vita e, come indica la pratica dei banchetti festivi nelle cappelle delle tombe, il rapporto tra i vivi e i morti non è sempre stato un affare tetro. I vivi potevano comunicare con i morti per mezzo di lettere, e nell’Insegnamento di Amenemhet, il re defunto viene concepito come un re morto che dà consigli al figlio e al suo successore. I fantasmi egizi non erano tanto esseri inquietanti, ma personalità alle quali i vivi reagivano in modo pragmatico.»

– William Kelly Simpson (1928-2017), tratto da The Literature of Ancient Egypt, 1972

Secondo quanto riportato da Archaeology, c’è un’altra “lettera” di un vedovo di nome Butehamun, che chiese alla bara della sua defunta moglie Ikhtay di fungere da intermediaria con lo spirito della consorte. Sebbene non siano chiari i dettagli specifici dei problemi di Butehamun, emerge chiaramente che credeva che la causa potesse essere la defunta moglie, forse perché si era risposato dopo la sua morte. Questa convinzione che gli spiriti dei defunti potessero influire negativamente sulla vita dei vivi gettava un’ombra di preoccupazione e incertezza sull’aldilà egizio e le relazioni tra i vivi e i morti.

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