Fantasmi nell'Antica Grecia
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Fantasmi nell’Antica Grecia

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L’Obolo sotto la Lingua

Il passaggio attraverso il regno di Caronte non era gratuito. Secondo la credenza greca, così come nell’Antica Roma, sorse la tradizione di porre una moneta sotto la lingua del defunto prima della sepoltura. Questa usanza persistette fino a epoche relativamente recenti e aveva radici antiche. Alcuni autori suggeriscono che il pagamento richiesto fosse costituito da due monete, posizionate sugli occhi del defunto o collocate sotto la lingua.

Questo rituale aveva l’obiettivo di assicurare che l’anima del defunto avesse i mezzi necessari per coprire il pedaggio richiesto da Caronte durante il suo viaggio attraverso il fiume Acheronte. Senza questo pagamento, l’anima era condannata a una sorte inquietante, circondata dalle ombre dei non sepolti.

Cerbero, l’Inquietante guardiano dell’Aldilà

All’arrivo alle porte dell’Ade, le anime avrebbero fatto la conoscenza di Cerbero (Κέρβερος), il famigerato cane a tre teste (secondo alcuni autori come Esiodo (Ἡσίοδος), potrebbe addirittura avere cinquanta teste) con serpenti che si contorcevano fuori dal suo corpo. Questa terrificante creatura aveva il compito di sorvegliare le anime, ma non tanto per impedire loro di uscire, quanto per assicurarsi che non scappassero. Era un simbolo dell’ambiguità dell’Ade, che non era sempre un luogo di tormento e sofferenza, ma spesso semplicemente il luogo di riposo finale per le anime.

Ecate: La Traghettatrice delle Anime

Mentre Caronte svolgeva un ruolo chiave nel trasporto delle anime verso l’aldilà, un’altra figura mitologica emergeva come una guida ancora più inquietante e misteriosa: Ecate. Originaria dell’Asia Minore, Ecate divenne oggetto di culto in Grecia, dove la sua iconografia triforme, con tre teste e tre corpi, simboleggiava le sue tre diverse sfere di influenza: la celeste, rappresentata da Artemide (Ἄρτεμις); la terrestre, incarnata da Demetra (Δημήτηρ); e la Ctonia (Χθονία), associata a Ecate stessa.

Ecate era la signora del regno infero, della magia e del sortilegio. I suoi simulacri venivano eretti non solo nei templi, ma anche all’interno delle case, alle porte delle città, nei trivii e nei quadrivii, le arti liberali. Ma il ruolo più intrigante di Ecate era la sua partecipazione nel famoso episodio del ratto di Persefone. In questo contesto, Ecate non solo era presente, ma aveva la responsabilità di accompagnare Persefone (Περσεφόνη) agli inferi. Da quel momento, Ecate acquisì un nuovo ruolo come Regina Ecate, diventando colei che precedeva e seguiva Persefone nei suoi viaggi tra il mondo dei vivi e dei morti. Questo la trasformò in una guida e protettrice delle anime defunte, aggiungendo un aspetto più ampio e generale al suo status come traghettatrice di anime.

Il ruolo dei traghettatori di anime e la loro importanza nella transizione tra il mondo dei vivi e dei morti, hanno lasciato un’impronta indelebile nella cultura e nella storia. La loro presenza è un ricordo persistente delle antiche credenze sulla vita, la morte e l’aldilà.

Storie di fantasmi nell’antica Grecia

Non c'è salvezza all'inferno (1485) di Hans Memling
Non c’è salvezza all’inferno (1485) di Hans Memling

Nell’Antica Grecia, le credenze e le rappresentazioni dei fantasmi erano variegate e spesso non coerenti. La natura stessa di questi spiriti era oggetto di diverse interpretazioni all’interno della cultura greca, portando a una molteplicità di descrizioni e rappresentazioni.

I Greci antichi descrivevano i fantasmi in una gamma di forme e colori, da quelli pallidi e trasparenti a quelli oscuri come il pece. Questa varietà di rappresentazioni visive rifletteva la complessità delle credenze e delle interpretazioni personali in merito al regno degli spiriti. Alcuni li vedevano come figure evanescenti e luminescenti, mentre altri li immaginavano come oscure presenze avvolte nell’oscurità.

Inoltre, il vocabolario utilizzato per riferirsi a questi esseri soprannaturali era altrettanto diversificato. I termini come daimōn (δαίμων) e phasma (φάσμα) erano utilizzati per indicare qualsiasi manifestazione soprannaturale, che potesse riferirsi ai fantasmi o agli stessi dèi. Questa ambiguità semantica illustra l’ampia gamma di esperienze soprannaturali che gli antichi Greci erano disposti a esplorare, dalla comunicazione con gli spiriti dei defunti all’interazione con le divinità o le entità divine.

Elpenore e i fantasmi nell’epica omerica

Busto di Omero
Busto di Omero

I due massimi poemi epici della letteratura greca, l’Iliade (Ἰλιάς) e l’Odissea (Ὀδύσσεια), scritti dal cantore Omero (Ὅμηρος), rappresentano alcuni dei primi e più influenti esempi di storie di fantasmi nella letteratura occidentale. Nei suoi scritti, Omero dipinge un mondo dell’aldilà ricco di mistero e potere, in cui gli spiriti dei defunti hanno un ruolo significativo.

Nella sua straordinaria odissea nell’aldilà, Ulisse (Οδυσσεύς) si ritrova a interagire con un assortimento di spiriti. Tra questi c’era il suo compagno, Elpenore (Ἐλπήνωρ), che era morto in circostanze tragiche, cadendo da un tetto mentre era ubriaco. Tuttavia, uno degli incontri più toccanti fu con lo spirito di sua madre, Anticlea (Ἀντίκλεια). Il desiderio di Ulisse di abbracciarla testimoniava la sua profonda affettuosità, ma la natura dei fantasmi nell’immaginario di Omero rendeva impossibile qualsiasi contatto fisico. Questo momento incarna la percezione greca che gli spiriti dei morti fossero presenti nell’aldilà, in grado di ascoltare i vivi e ricevere le loro offerte, ma incapaci di interagire con il mondo dei vivi, a meno che non fossero nutriti con il sangue degli uomini vivi, come Ulisse fece durante il suo incontro con gli spiriti.

All’interno di questo panorama spettrale, Ulisse aveva una missione chiara: consultare il veggente Tiresia (Τειρεσίας). Questo incontro con uno spirito profetico è emblematico del ruolo fondamentale che i fantasmi e gli spiriti giocavano nell’Antica Grecia. Ulisse cercava saggezza e visione del futuro dall’aldilà, dimostrando come il mondo dei morti fosse considerato un luogo di conoscenza e rivelazione.

Ulisse fa cremare il corpo di Elpenore
Ulisse fa cremare il corpo di Elpenore

Nel corso del suo viaggio negli inferi, Ulisse fece incontri con una vasta gamma di spiriti, inclusi «spose, uomini non sposati, ragazze vergini e uomini uccisi in battaglia che indossavano ancora le loro armature insanguinate». Questi spiriti rappresentavano una varietà di esperienze umane e ponevano l’accento sulla complessità delle credenze riguardo ai fantasmi nell’Antica Grecia. Alcuni spiriti sembravano essere legati ai loro stati terreni, mantenendo le caratteristiche fisiche che avevano in vita, mentre altri erano influenzati dai loro destini o dalle circostanze della loro morte.

«Quivi ti prego che tu di me ti ricordi, o signore,
sí che, partendo, senza sepolcro non m’abbia a lasciare,
senza compianto: per me non ti segua lo sdegno dei Numi.
Bensí con l’armi, quante n’ho indosso, mi brucia sul rogo,
e un tumulo m’innalza sul lido spumoso del mare,
che giunga anche ai venturi notizia di questo infelice.
Questo per me devi compiere. E il remo sul tumulo infiggi,
ond’io fra i miei compagni remigar solevo da vivo».

Odissea di Omero (canto XI – 70-75)

Il fatto che il corpo di Elpenore non avesse ancora ricevuto i giusti riti funebri lo aveva intrappolato in una condizione di transizione, rendendolo uno spirito vagante nell’aldilà. In questo stato ambiguo, Elpenore si rivolse a Ulisse, poiché aveva bisogno di aiuto per garantire il suo passaggio nell’aldilà. Questo episodio mette in luce l’importanza cruciale della sepoltura nell’Antica Grecia e le convinzioni profondamente radicate riguardo all’aldilà.

Elpenore rappresenta un caso emblematico di come una morte prematura o sprovvista di adeguati riti funebri potesse generare una sorta di inquietante “incompletezza” per l’anima del defunto. La sua apparizione nell’Odissea sottolinea quanto le pratiche rituali funebri fossero fondamentali nella visione del mondo greca, in cui l’aldilà era considerato un’estensione significativa della vita terrena.

Le tavole della maledizione

Una delle tavole della maledizione. (fonte: Jessica Lamont)
Una delle tavole della maledizione. (fonte: Jessica Lamont)

Inoltre, la narrazione di Ulisse e dei fantasmi mette in discussione se i Greci credessero realmente nel ritorno e nell’ira dei fantasmi o se piuttosto stavano rendendo omaggio ai loro defunti attraverso questi racconti. Sebbene la mancanza di fonti precise renda difficile una conferma definitiva, la credenza nei fantasmi era diffusa nell’antico mondo greco, con evidenti esempi di pratiche magiche come le tavole della maledizione. Queste tavolette venivano usate per invocare l’aiuto delle anime o dei cosiddetti dèi ctoni, gli spiriti legati agli inferi, come Ade (Ἅιδης) ed Ermete (Ἑρμῆς) per realizzare le maledizioni. Questa dimostrazione di interazione con gli spiriti, nonostante sia indiretta, suggerisce una connessione profonda con il mondo degli spiriti e l’aldilà.

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