Dèmoni e Demòni
L’ossessione moderna sui demoni continua a essere fonte di intrattenimento e speculazione. La maggior parte delle persone ha un’idea confusa su cosa siano effettivamente i demoni, e nonostante in rete, soprattutto nei social network, vi siano sempre più persone che affermano di averli visti, credo che l’influenza sia soprattutto imputabile al cinema horror e alla letteratura gotica.
La parola ebraica (שֵׁד) è usata due volte nell’Antico Testamento: Deuteronomio 3:17 e Salmo 106:37. È tradotto nella Settanta come δαιμονίοις, che si traduce come demoni/diavoli.
Questo pone la domanda: cosa sono i demoni?
L’esistenza di demoni e l’attività paranormale degli stessi, è menzionata in documenti storici risalenti a migliaia di anni fa, dalla Bibbia, al Corano e alla Torah. Si tratta di documenti che hanno assunto nel tempo un valore strettamente religioso, divenendo testi ufficiali su cui ciascun movimento teologico depone la propria fede. Accanto a questi riferimenti esiste una documentazione di presunti casi di possessione da parte di demoni.
Il Lexicon manuale hebraicum et chaldaicum in Veteris Testamenti libros dell’orientalista tedesco Heinrich Friedrich Wilhelm Gesenius (1786-1842), un dizionario ebraico-caldaico di duplice interesse in cui trovare l’esatta pronuncia dei nomi angelici e divini, l’autore afferma che «gli ebrei consideravano gli idoli come demoni, che si lasciavano adorare dagli uomini». Gli idoli sono menzionati frequentemente nell’Antico Testamento, soprattutto perché ci sono termini tradotti teologicamente come tali. La parola ebraica שָׂעִיר (in Levitico 17:7) viene talvolta tradotta come Satiri (CEI 1974 e CEI 2008), falsi dèi rappresentati sotto forma di capri demoni caprini (Bibbia Interconfessionale) e vanitosi nella versione in graco.
Nonostante tutto, il tema dei demoni è molto controverso. Mentre molte persone credono nella loro esistenza o almeno nella possibilità della loro esistenza, altre negano con forza l’affermazione che i demoni esistono realmente nel mondo di oggi. Avendo seguito degli studi teologici ed essendomi documentato a livello storico, mi sembra doveroso scrivere su questo argomento e di certo non basterà un solo articolo per spiegare i molti aspetti che riguardano la fenomenologia. Quindi questo è il primo di una serie di articoli dedicata al tema dei demoni.
Cosa sono i demoni?

Inizio con affermare che non sono nulla di ciò che vi è stato insegnato. Quel poco che si sa è prova di paure e superstizioni. La maggior influenza demoniaca è la paura di essere posseduti da entità che in realtà sono solo frutto di fantasie della mente umana. Con questo non intendo dire che le possessioni non esistono, ma che non sono da attribuire ad esseri immondi così come il cristianesimo ha raccontato e racconta tutt’oggi nel XXI secolo.
Dividerò questo tema sui demoni, in più articoli. Il primo sulla loro storia, il secondo sulla demonologia cristiana, la terza sul controllo demoniaco della mente (possessioni) e la quarta ed ultima sul rapporto tra fantasmi e demoniaco.
I demoni vengono descritti in molti modi e in molte forme, ma hanno in tutte le culture un unico denominatore, ovvero sono in sostanza esseri o forze negativi. C’è chi segue la tradizione secondo cui i demoni sono in realtà angeli caduti e seguaci di Lucifero, in quanto era l’angelo reputato di aver guidato una rivolta contro Dio e quindi sono stati cacciati dal cielo dall’Arcangelo Michele e dal suo esercito. Durante la caduta dal regno di Dio furono trasformati in creature dall’aspetto orribile che divennero l’incarnazione del loro stesso peccato: aver tradito Dio.
In 1 Re 22:19–23 (CEI 2008) c’è una storia sul Dio con tutto l’esercito del cielo intorno a Lui. Chiede chi sedurrà il re Acab (935 a.C.-852 a.C.), uno dei sovrani del regno d’Israele, a salire il monte Ramoth Galaad, un’antica città sulle montagne di Galaad in Transgiordania. Secondo la Bibbia ebraica, questa città fu a lungo conteso tra Israele e Aram e i re d’Israele combatterono lì contro gli aramei. Acab verrà ucciso lì e suo figlio Joram verrà ferito. Lo spirito ingannatore che attirò Acab era un demone? Qualuno pensa si trattasse di Satana, ma il nome, se lo si vuole attribuire ad una figura, compare solo nei primi due capitoli di Giobbe e successivamente in 1 Cronache 21 e Zaccaria capitolo 3. Satana è un demone?
Nonostante le traduzioni, non esiste una parola in ebraico equivalente alla parola demone, né alcuna parola che comunichi lo stesso significato di un essere malevolo al servizio del diavolo per distruggere gli umani.

Quell’idea oggi è stata modellata dall’immaginazione degli scrittori medievali e resa popolare nella chiesa moderna in termini di esseri malvagi contro i quali i cristiani devono condurre una guerra spirituale. Tuttavia, gli antichi israeliti vivevano in un mondo in cui quella visione dei demoni non faceva parte della loro cultura o del loro modo di pensare.
Questa disparità tra le nostre nozioni moderne e ciò che sta dietro i termini e i concetti ebraici, porta spesso a fraintendere il punto del testo biblico e ciò che comunica. È sempre una buona idea leggere ciò che il testo biblico dice effettivamente su un argomento, così da comprendere il passaggio sullo sfondo sociale e culturale dell’antico Israele e della chiesa primitiva, prima di imporre troppi dei nostri moderni presupposti e preconcetti sul significato alla Scrittura.
Quello che vedremo è come la descrizione dei demoni diventi quella di esseri putridi e abomini innaturali con la specifica missione di corrompere gli esseri umani. Un’altra credenza, soprattutto di chi preferisce lasciare fuori gli aspetti religiosi sui demoni, è quella in cui queste creature sono essenzialmente basse e di altri piani, ma concordano sulla loro natura malevola. Ma la verità è che la loro origine è mesopotamica ed è forse il caso di iniziare con il capire alcune differenze prima di raccontare la loro origine.
La differenza fra dèmoni e demòni
Dèmone

Dal greco antico dáimōn (δαίμων), il dèmone non è altro che un essere divino. Nella filosofia e cultura religiosa greca politeista, i demoni sono una via di mezzo fra uomini e divinità, facendone da ponte. Secondo Omero erano dèi, mentre per Plutarco erano esseri spiritici inferiori agli dèi.
Secondo il poeta greco Esiodo invece, per volere di Zeus, i demoni vennero sulla Terra per proteggere gli umani, quali mortali, dispensando per loro ricchezze e salute, altro che vessazioni e possessioni. Quindi la maggior parte dei demoni nelle liste di demonologia, sono stati interpretati da antiche divinità mesopotamiche.
Così gli “angeli custodi” dell’uomo inviati dal dio Zeus, divengono gli “angeli caduti” avversari di Dio nel cristianesimo, un vero e proprio mutamento di significato del termine e delle figure mitologiche antiche. Dopo una ricerca più storica ed etimologica si può concludere che i dèmoni erano spiriti ed erano collocati nella sfera celeste e vi erano dèmoni buoni, più elevati, e dèmoni cattivi, più bassi. Forse da qui l’idea che i dèmoni siano “entità basse”.
Infatti nella cultura giudaica i dèmoni erano esseri celesti, gli angeli, ovvero messaggeri e quindi creature spirituali, inteso proprio come spiriti, intermedie fra Dio e l’uomo. Per i greci agivano in modo autonomo e come esseri, mentre per i giudei erano entità sottomessa a Dio. In un modo o nell’altro, i dèmoni non sono mai stati visti come esseri esclusivamente sinistri e malvagi.
Il concetto di spiriti maligni attribuito ai dèmoni è nato solamente intorno al pre-cristianesimo, ed è in quel periodo che nasce il demònio come sinonimo di diavolo, ma l’interpretazione è errata. Numerosi riferimenti si trovano negli scritti antichi come ad esempio il termine Asura che in sanscrito si riferisce a spiriti buoni o cattivi e deriva dall’induismo antico.
Demònio

Per gli antichi greci il demònio era la forza promanata dal dèmone, quindi lo spirito del demòne. Nell’antica lingua ebraica e in altre lingue del Medio Oriente, non esiste un termine sinonimo ed equivalente a demònio.
Nella cultura giudaica, a differenza dei dèmoni che erano visti come angeli, i demòni invece erano creduti come spiriti/anime di defunti, persone decedute per morte violenta ed improvvisa resterebbero sul nostro piano vagando in cerca di soluzione.
Questa cultura influenzò più tardi quella romana. Ma la cultura giudaica era stata influenzata comunque da quella mesopotamica, quindi gira e rigira si ritorna sempre ai demoni assiro babilonesi, esseri divini, geni sovrumani che con estrema giustizia aiutavano e punivano gli uomini, non molto diversi del dio biblico cristiano.
Ed è qui che iniziano a nascere le varie demonologie. In Palestina furono esclusi i rapporti fra pagani e spiriti di defunti, in quanto le negromanzia fu proibita con pena di esilio. Nonostante tutto, veniva praticata ugualmente e un esempio lo troviamo nell’Antico Testamento in I Samuele con l’episodio di Re Saul e la negromante che evoca lo spirito del profeta Samuele. Potete leggere questa storia e capire cosa realmente potrebbe essere accaduto, in un articolo dedicato ai Fantasmi nella Bibbia.
Idoli e dèmoni: il linguaggio interpretato della Bibbia
Un buon punto di partenza per stabilire come gli antichi idoli siano divenuti demòni, quali esseri temuti perché in combutta con il diavolo, è senz’altro il passaggio biblico in:
יַקְנִאֻ֖הוּ בְּזָרִ֑ים בְּתוֹעֵבֹ֖ת יַכְעִיסֻֽהוּ׃ ¹⁶
יִזְבְּח֗וּ לַשֵּׁדִים֙ לֹ֣א אֱלֹ֔הַ אֱלֹהִ֖ים לֹ֣א יְדָע֑וּם חֲדָשִׁים֙ מִקָּרֹ֣ב בָּ֔אוּ לֹ֥א שְׂעָר֖וּם אֲבֹתֵיכֶֽם׃ ¹⁷
Deuteronomio 32:16-17 (AT in ebraico)
che tradotto diventa:
¹⁶ Lo hanno fatto ingelosire con dèi stranieri e provocato all’ira con abomini.
Deuteronomio 32:16-17 (CEI 2008)
¹⁷ Hanno sacrificato a dèmoni che non sono Dio, a dèi che non conoscevano, nuovi, venuti da poco, che i vostri padri non avevano temuto.
La parola ebraica tradotta in dèmoni nel versetto 17 (שׁד, seme) ricorre qui al plurale con la preposizione a e vocalizzata con l’articolo determinativo il“(לשּׁדים, lassedim), che ci dà la frase a dèmoni.
È importante essere consapevoli del fatto che la traduzione non è una questione di trovare una sola parola in una lingua che traduce un’altra parola in un’altra lingua. La traduzione è più spesso quella di idee e concetti piuttosto che di semplici parole, e raramente c’è una corrispondenza biunivoca di singole parole tra le lingue. Ciò è particolarmente vero per le lingue separate da tremila anni di storia e cultura.

Inoltre, ci sono altre caratteristiche del linguaggio oltre alle sole parole che influenzano la traduzione. Le parole non hanno un significato fisso o intrinseco in nessuna lingua. Il contesto storico e culturale in cui vengono utilizzati, le caratteristiche letterarie che li accompagnano, gli argomenti che vengono utilizzati per affrontarle, anche chi parla o scrive le parole, possono influenzarne il significato, ciò che un termine comunica e come deve essere capito.
Ci sono molte parole in italiano soggette a omonimia e polisemia che possono assumere significati diversi in circostanze diverse, o che possono essere usate come termini tecnici in un contesto e, tuttavia, assumere un significato più comune in un altro contesto.
Prendete ad esempio termini come campo: potrebbe riferirsi a un campo di grano, oppure a un campo di gioco o, ancora, che non si sia campo per poter telefonare con uno smartphone. Ci sono molte parole con più significati: radice (quella matematica o quella di una pianta), appunto (può essere un’annotazione o usato come avverbio), riso (pietanza o risata), albero (l’asta delle navi, o una pianta, oppure quello genealogico), lira (strumento musicale o moneta italiana), verso (inteso come direzione oppure come metro poetico), squadra (quale strumento tecnico oppure un gruppo di persone), etc.
Il parallelismo: termini tradotti con più significati
Anziché complicarne il significato, in molti punti delle Scritture Ebraiche, alcuni di questi aspetti ci aiutano effettivamente a capire meglio il significato di un termine, indipendentemente dalla parola in un’altra lingua corrente che usiamo per tradurla. C’è una caratteristica unica e importante della scrittura ebraica che è particolarmente utile nel fornire un contesto per il significato delle parole. È noto come parallelismo, in cui le idee sono correlate ed enfatizzate dal raggruppamento di sinonimi o contrari.
Insieme al termine tradotto demoni, nell’ebraico di Deuteronomio 32:16-17 ci sono tutta una serie di termini con significato simile che ci aiutano a capire come lo scrittore stia usando il termine שׁד (seme). In questi due versetti ci sono altri quattro termini e frasi paralleli che vengono usati con la parola tradotta come demoni:
- divinità strane o straniere (זרים, zariym)
- cose abominevoli (תועבת, to’eybot)
- dèmoni (לשּׁדים, lashshediym)
- dèi [che non conoscevano] (אלהים, elohiym)
- nuovi [venuti di recente {di cui} i vostri padri non avevano paura] (חדשים, chadashim)
Il primo di questi termini paralleli è semplicemente la parola strano (o straniero). È più spesso usata per cose che rappresentano una minaccia per la comunità, come persone straniere che sono nemiche (Os 7:9, Is 1:7, Ger 5:19, etc.), prostitute (strane donne, Pr 2:16), o cose che violano la consuetudine o la legge, vedi strano fuoco (Lv 10:1 e Nm 3:4) e strano incenso (Es 30:9).
Da notare come nelle più recenti traduzioni sia stato omesso l’aggettivo strano. Il termine straniero è usato anche per riferirsi agli dèi di popoli stranieri che rappresentano una minaccia per il giusto culto di Dio (Sal 44:21, Is 43:12, Ger 2:25, etc.).
Lo stesso vale per le cose aberranti. Questa terminologia è spesso usata per riferirsi in generale all’intera pratica del culto di Baal che includeva oggetti di culto come idoli domestici, immagini, pali sacri, alberi e luoghi elevati, nonché pratiche sessuali della religione della fertilità, che erano tutte “ripugnanti” o “offensive” per gli Israeliti (Lv 18:22, Dt 7:25, 1Re 14:24, etc.).
Da Baal a Belzebù: le antipatie fra i popoli strasformano idoli in creature diaboliche
Baal (o Ba’al, Bael), che in ebraico biblico è menzionato con בעל, è stato considerato uno dei sette principi dell’Inferno nella demonologia cristiana. È ampiamente menzionato nell’Antico Testamento come il principale idolo pagano dei Fenici, spesso associato alla dea pagana Ashtaroth. Il suo nome è una parola e un titolo semitico nordoccidentale che significa maestro o signore, che è usato per vari dèi tra cui gli Hadad (o Siri) che erano padroni delle città del Levante e dell’Asia Minore, affine all’accadico Bēlu.
A volte Baal viene associato alla singola divinità Hadad (Iškur in sumerico), il dio della tempesta e della pioggia nelle religioni della cananea e mesopotamica antica. Tuttavia, pochi o nessun uso biblico di Baal si riferisce ad Hadad, tant’è che nella Bibbia ebraica è considerato in quel contesto come un “falso dio”.
Il principe Baal, il “Maestro”, il Dio guaritore di Ekron, molto popolare e ben conosciuto in diverse città in tutto il medio oriente, divenne Ba‘ al Zebub, Belzebù, il Signore delle Mosche… E le mosche, si sa, sanno fastidio e sono attratte dagli escrementi, quindi finendo col rappresntare il male e l’idolatria nel Nuovo Testamento.

Quindi, questa associazione agli dèi di Cananea con i quali gli israeliti erano entrati in contatto solo dopo il loro ingresso nel paese. In questo senso erano divinità “nuove” che il popolo “non conosceva” prima.
Sembra ovvio in questo contesto, da questi termini paralleli, che la parola demoni si riferisca anche agli dèi dei popoli circostanti che costituivano una minaccia per il culto di Yahweh da parte di Israele. In un passaggio del Deuteronomio, il contesto più ampio è un appello, sotto forma di racconto del fallimento di Israele nell’adorare Dio, e della loro pratica di adorare gli idoli di Cananea, fino ad adorare Dio correttamente come l’unico Dio.
Anche il contesto immediato dell’uso di שׁד (seme) qui è importante. Solo pochi versi più avanti in questo passaggio, c’è una chiara affermazione che questi demoni o strani dèi (o cose aberranti), di cui le persone sono così tentate di elevare a divinità e usare per sostituire Yahweh, in realtà non sono affatto dèi:
«Mi resero geloso con ciò che non è Dio, mi irritarono con i loro idoli vani;
Dt 32:21 (CEI 2008)
io li renderò gelosi con uno che non è popolo, li irriterò con una nazione stolta.»
Ciò porta alla conclusione che la parola tradotta come demoni non si riferisce a nulla di simile a ciò che noi moderni consideriamo demòni, ma è un termine peggiorativo per riferirsi agli idoli dell’adorazione di Baal che sono dichiarati essere il nulla (vedi Is 44:6-20, dove lo scrittore prende in giro gli dèi di Cananea definendoli nient’altro che legno e pietra). Ciò che viene sottolineato è che non sono “nessun dio”!
Il termine “seme” diviene “demoni”
Tornando al libro del Deuterenomio, potremmo notare che il versetto 17 in ebraico può essere tradotto in due modi. La frase che in ebraico è «hanno sacrificato ai demoni, non a Dio», dovrebbe essere inteso che hanno sacrificato “ai demoni” invece di sacrificare a Dio. Tant’è che nelle traduzioni in italiano troviamo la frase: «Hanno sacrificato a dèmoni che non sono Dio».
Tuttavia, la costruzione del versetto 17 è identica a quella del versetto 21: «Mi resero geloso con ciò che non è Dio», il che significa che potrebbe essere facilmente tradotto con «essi sacrificarono a demoni che non sono dio», il che sottolineerebbe ulteriormente l’uso peggiorativo del termine שׁד (seme).
In ogni caso, uno sguardo più attento alla parola שׁד (seme), in ebraico sottolinea che si riferisce in modo negativo agli idoli e alle divinità cananee. In realtà, il termine שׁד (seme, tradotto con demoni) non ha nemmeno origine in ebraico. È presa in prestito dall’Assiria, dalla parola assira šędu. Questa parola in assiro si riferisce alle creature mitologiche che avrebbero dovuto custodire la sfinge-colosso di Assur, la divinità principale degli assiri (nella mitologia occidentale sono chiamati grifoni).
La parola in ebraico, quindi, originariamente si riferiva a creature mitologiche associate a divinità assire. Lo scopo stesso dell’uso del termine, e del loro parallelo con altri termini per idoli e divinità pagane, sembra essere quello di sottolineare che le divinità pagane non sono qualcosa da temere perché non sono affatto dèi. Nel pensiero ebraico, ciò equivale a dire che non esistono, o non hanno alcun potere o importanza di cui temere.

È istruttivo, quindi, notare che le bibbie traducono שׁד (seme) del Deuteronomio 32:17 con δαιμονίοις (daimoniois, ovvero, demoni – vedi confronto con la versione in greco), non nel contesto di “poteri demoniaci” o servitori del diavolo, come vogliamo sentire il termine, o anche nel contesto dell’uso del Nuovo Testamento, ma nel contesto di creature mitologiche che sono specificatamente dichiarate essere “non-dio” (ου θεω, ou theo).
In altre parole, anche se la traduzione greca usa un termine che suona molto più vicino alla nostra parola demoni, il significato non è ciò che quella parola significa per noi in italiano, ma piuttosto ciò che comunica il termine ebraico.
Inoltre, la parola שׁד (seme) ricorre solo due volte nell’Antico Testamento: per l’appunto in Deuteronomio 32:17 e nel Salmo 106:36-37. Non è un caso che il contesto nel Salmo sia esattamente lo stesso del passo del Deuteronomio; cioè, la condanna degli israeliti per aver adorato gli idoli di divinità straniere.
³⁶ Servirono i loro idoli e questi furono per loro un tranello. ³⁷ Immolarono i loro figli e le loro figlie ai falsi dèi. ³⁸ Versarono sangue innocente, il sangue dei loro figli e delle loro figlie, sacrificàti agli idoli di Cananea, e la terra fu profanata dal sangue.
Salmo 106:36-37 (CEI 2008)
Ancora una volta, il parallelismo ci dà qualche indicazione sul significato della parola. La parola ebraica שׁד (seme) nel versetto 36 è parallela alla parola עצבים (‘atsabim ), idoli o immagini gravi, e nel versetto 38, il termine עצבי כנען (‘atsabey kená’an), viene tradotto con idoli di Cananea. Chiaramente, שׁד (seme) è imparentato con gli dei dei Cananei) per descrivere questi falsi dèi dei Cananei, come è chiaro dall’ultima parte del versetto.
Quindi, si può concludere che il termine ebraico שׁד (seme) è un prestito dalla mitologia dei popoli circostanti. In origine, si riferiva alle creature mitologiche della religione cananea e assira che erano rappresentazioni di vari dèi. Nell’uso biblico, diventa sinonimo di idolo, un modo peggiorativo per riferirsi alle divinità cananee.
Demoni caprini e Satiri
In altri luoghi, anche altri termini ebraici sono a volte tradotti come demoni. Tuttavia, in ogni caso, il contesto del termine è un attacco alle pratiche idolatriche del culto di Baal, o un riferimento negativo alla mitologia cananea. Ad esempio, in 2 Cronache 11:15, un resoconto delle pratiche pagane introdotte da Geroboamo nel Regno del Nord, la Bibbia CEI traduce il termine con saturi.
¹⁵ Geroboamo aveva stabilito suoi sacerdoti per le alture, per i satiri e per i vitelli che aveva eretto.
2 Cronache 11:15 (CEI 2008)
Questo versetto appare differenze sia nella Bibbia di re Giacomo (KJV: King James Version), sia nella Nuova Versione Standard Rivista (NRSV: New Revised Standard Version), entrambe molto usate nei paesi anglosassoni:
¹⁵ E lo ordinò sacerdote per gli alti luoghi, e per i demoni, e per i vitelli che aveva fatti.
(Bibbia di Re Giacomo, KJV)
¹⁵ e aveva costituito i suoi sacerdoti per gli alti luoghi, per i demoni caprini e per i vitelli che aveva fatto.
(Nuova Versione Standard Rivista, NVSR)
Qui la parola ebraica tradotta con satiri o demoni caprini è שׂעיר (sa’iyr). Il significato più comune della parola שׂעיר (sa’iyr) è infatti capra, in particolare “capro” o cervo (per esempio in Lv 4:24) e appare ben 53 volte dell’Antico Testamento. Una forma femminile della parola ricorre due volte per riferirsi a capra (Lv 4:28 e 5:6). La radice di questa parola in ebraico è שׂער (se’ar), che significa pelo, sia di animali (Gen 25:25) che di persone (Gdc 16:22). Un altro affine derivato di questa parola è שׂערה (se’orah), che di solito è tradotto con peloso, cioè un ciuffo di pelo o di barba.

La connotazione di שׂעיר (sa’iyr) è quella di un animale peloso, il che è appropriato poiché molte capre in Medio Oriente sono a pelo lungo o capre d’angora. Tuttavia, ci sono quattro occorrenze nel testo ebraico in cui il termine שׂעיר (sa’iyr) assume una sfumatura di significato leggermente diversa, ovvero sàtiri: (2 Cronache 11:15 che abbiamo già visto, Lv 17:7, Is 13:21 e 34:14), mentre allo stesso tempo conservano il significato fondamentale di capro.
Levitico 17:7 recita:
⁷ Essi non offriranno più i loro sacrifici ai satiri, ai quali sogliono prostituirsi. Questa sarà per loro una legge perenne, di generazione in generazione”.
Levitico 17:7 (CEI 2008)
⁷ affinché non offrano più i loro sacrifici ai demoni caprini. a cui si prostituiscono. Questo sarà uno statuto perpetuo per loro di generazione in generazione.
Levitico 17:7 (Nuova Versione Standard Rivista)
Il contesto qui è la regolamentazione dell’uccisione e del consumo di carne, proibendo specificamente l’uccisione di animali nei campi aperti o anche all’interno del campo senza sussumere la morte sotto il culto del patto di Dio. Direttamente proibita nel versetto 7 è l’offerta di sacrifici ai satiri o demoni caprini invece che a Yahweh. Diventa chiaro, allora, che il capro non è solo un comune caprone, ma si riferisce a qualcosa che è un falso oggetto di culto, specialmente con il termine prostituta che è comunemente usato nell’Antico Testamento per descrivere, con un’immagine chiara, l’infedeltà del popolo nell’adorare divinità pagane.
In 2 Cronache 11:15, שׂעיר (sa’iyr ) è collegato a vitelli e alti luoghi che sono entrambi associati a pratiche religiose cananee pagane. Allo stesso modo, in Levitico 17:7, capro si riferisce a immagini idolatriche, rappresentate fisicamente o parte della mitologia cananea.
Le altre due ricorrenze di שׂעיר (sa’iyr) sono entrambe in Isaia, dove i sàtiri si trovano nelle versioni italiane CEI (13:21; 34:14) e i demoni caprini nelle versioni inglesi NVSR (13:21; 34:14). Sebbene in un contesto diverso con un’enfasi diversa, il significato è simile in entrambi i casi.
Nel versetto 34:14 viene menzionata anche Lilith. In entrambi i passaggi in Isaia, l’accento è posto sugli animali selvatici che abitano i luoghi desolati del deserto. Questi versetti sono descrizioni altamente poetiche della desolazione della terra sotto il giudizio di Dio, in particolare Babilonia ed Edom. L’immagine è quella di città così completamente distrutte e ricoperte di spine che solo gli animali selvatici possono viverci.
Tra gli animali selvatici, il testo ebraico si riferisce a שׂעיר (sa’iyr). Seppure si potrebbe sostenere che il termine si riferisca alla capra comune, questo era un animale addomesticato nei tempi biblici. Anche se vagava per le colline, in realtà non era un animale “selvaggio”. In altre parole, capra non si adatta alle immagini descritte per simboleggiare una terra devastata e inabitabile.
Cos’è un Satiro
Come abbiamo visto, alcune versioni della Bibbia traducono la parola ebraica שׂעיר (sa’iyr) come diavoli, demoni, spiriti maligni o come “capri”. Altre, soprattutto le versioni più recenti, traducono il termine come sàtiro. Ma cos’è un sàtiro?
Il sàtiro è una creatura leggendaria che compare nelle mitologie di varie culture del mondo antico come custode di luoghi sacri o divinità, oppure come personificazione della dissolutezza e della baldoria. Era raffigurato come mezzo umano e mezzo animale, di solito con i piedi, la coda e le orecchie di una capra o di un cavallo a pelo lungo, e il busto, la testa e le braccia di un uomo.
Nella mitologia greca, i satiri erano gli accompagnatori, i guardiani e i compagni del dio Dioniso, il dio dell’allegria, del vino e della baldoria. Si pensava che abitassero le campagne, in particolare le aree desolate e le rovine. Il dio greco Pan, ad esempio, era spesso raffigurato nei dipinti come un satiro. Nella religione e nella mitologia greca, Pan è il dio della natura selvaggia, dei pastori e delle greggi, della natura delle montagne selvagge, della caccia e della musica rustica, e compagno delle ninfe. La sua figura è simile a quella del fauno.

Gran parte di ciò che sappiamo sui satiri nella mitologia antica proviene da fonti greche e romane. Tuttavia, sembra esserci qualche connessione tra l’idea di שׂעיר (sa’iyr) nell’antico Medio Oriente e il satiro nella mitologia occidentale. Alcuni hanno persino suggerito una connessione linguistica tra i termini. In ogni caso, il termine ebraico שׂעיר (sa’iyr), nei versetti esposti nel paragrafo precedente, sembra riferirsi a creature mitologiche della religione cananea, falsi idoli che il popolo adorava al posto di Yahweh.
Ci sono sfumature nei passaggi di Isaia delle creature mitologiche associate a queste particolari figure, ad esempio l’idea del satiro dietro l’uso di שׂעיר (sa’iyr). Tuttavia, il vero punto è che Isaia sta usando le creature come simboli metaforici di desolazione, di distruzione, di totale devastazione che si traduce in un luogo adatto solo a creature selvagge, reali o mitologiche, che abitano i luoghi umanamente inabitabili della terra.
Questo raccoglie le sfumature del “vuoto” che è associato agli idoli altrove (vedi gli esempi che farò più sotto). Cercare di collegare il termine con l’idea moderna dei demoni significa fraintendere drasticamente la funzione del linguaggio poetico (a volte chiamato linguaggio mitopoietico, cioè relativo alla creazione di mit.) negli oracoli profetici.
Un passaggio interessante nel secondo libro dei Re 23:8 può essere ulteriormente istruttivo a questo punto:
⁸ Fece venire tutti i sacerdoti dalle città di Giuda, rese impure le alture, dove i sacerdoti offrivano incenso, da Gheba a Bersabea; demolì l’altura dei satiri, che era all’ingresso della porta di Giosuè, governatore della città, a sinistra di chi entra per la porta della città.
2 Re 23:8 (CEI 2008)
Il contesto di questo passaggio sono le riforme religiose di Giosia in cui demolì gli altari e gli idoli pagani in risposta alla scoperta del libro della legge nel tempio. Il testo ebraico qui recita “alti luoghi delle porte” (השּׁערים, hashshe’ariym, “le porte”). Tuttavia, la traduzione in “cancelli” non si adattava al significato di questo versetto. La maggior parte degli studiosi testuali suggerisce che la lettera ebraica שׁ (sh) nel testo massoretico, dovrebbe essere corretta nella lettera ebraica שׂ (s). Suggeriscono che la lettura della lettera iniziale שׂ (s), così come שׁ (sh), fu influenzata all’occorrenza ripetuta della parola שׁער (sha’ar), ovvero, porta (porta di Giosuè, porte della città).
Con questa correzione, allora sì, la parola diverrebbe sàtiri: השּׂערים (hasse’iriym). Quindi, una migliore traduzione di questo passaggio sarebbe: «…ha abbattuto le alture dei sàtiri che erano all’ingresso della porta di Giosuè, il governatore della città…».
Quindi ancora una volta l’uso di שׂעיר (sa’iyr) indica un riferimento a un idolo pagano che veniva adorato impropriamente come simbolo della divinità cananea. Questa comprensione rende 2 Cronache 11:15 ancora più chiaro. Il contesto è il peccato di Geroboamo I nel bandire il sacerdozio levitico dal Regno del Nord e costruire idoli di tori e capre affinché il popolo li adorasse. In effetti, questa idolatria di Geroboamo I nel creare immagini di animali per rappresentare gli dei dei Cananei, divenne un paradigma nella teologia israelita del sovrano peccatore che rifiutò Yahweh per seguire i falsi dèi della terra (vedi 1 Re 12:25-33; 16:25-26).

È da notare che la versione dei Settanta di questi versetti. In 2 Cronache 11:15, invece di tradurre semplicemente la parola ebraica שׂעיר (sa’iyr) con un’altra parola, i traduttori tentano di tradurre il “concetto” o il significato. Questo dimostra che la Bibbia teologica è un’interpretazione che varia a seconda della dottrina cristiana di riferimento.
La lettura greca per שׂעיר (sa’iyr) è gli idoli e gli inutili (και τοις ειδωλοις και τοις ματαιοις, kai tois eidolois kai tois mataiois). Ciò indica chiaramente che la comprensione del termine era riferito agli idoli pagani. Particolarmente interessante qui è l’uso dell’aggettivo nominale ματαιοις (mataiois, vanità, vuoto o cose senza valore) per descrivere questi idoli, intendendo che sono cose vuote, senza valore, impotenti! Notare l’uso della forma nominale di questa parola in Efesini:
¹⁷Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri…
Efesini 4:17 (CEI 2008)
È con questa comprensione che notiamo che la parola שׂעיר (sa’iyr) in Levitico 17:7 è tradotta nella Versione dei Settanta unicamente dalla parola τοις ματαιοις (tois mataiois):
⁷ καὶ οὐ θύσουσιν ἔτι τὰς θυσίας αὐτῶν τοῖς ματαίοις …
Levitico 17:7 (La versione greca: i Settanta – LXX)
che letteralmente si traduce:
⁷ E non offriranno più sacrifici al vuoto…
traduzione in italiano dal greco
Eppure, nelle varie traduzioni troviamo tradotto vuoto con sàtiri, dèmoni e demòni, questi ultimi nella versione Riveduta del 2020.

Tutto ciò indica chiaramente che questa parola שׂעיר (sa’iyr) non è usata nelle Scritture Ebraiche per indicare qualcosa di simile alla nostra idea di poteri demoniaci, ma esclusivamente per riferirsi agli idoli delle divinità pagane che erano riconosciute come il nulla o il vuoto, privi di qualsiasi potere. Questa connotazione negativa dell’immagine del capro può ben essere messa in relazione con l’uso di un capro nel sistema sacrificale israelita come portatore dei peccati del popolo:
²¹ Aronne poserà entrambe le mani sul capo del capro vivo, confesserà su di esso tutte le colpe degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li riverserà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, lo manderà via nel deserto.
Levitico 16:21-22 (CEI 2008)
²² Così il capro porterà sopra di sé tutte le loro colpe in una regione remota, ed egli invierà il capro nel deserto.
Nonostante tutto, è praticamente impossibile sapere da che parte sia arrivata l’influenza linguistica. Si può discutere se gli israeliti vedessero questi idoli in termini ontologici o se si sarebbero mai chiesti della reale esistenza di questi dèi. Molto probabilmente non avrebbero posto una domanda del genere, poiché quelle categorie di realtà ultima erano estranee al mondo antico. Tendevano piuttosto a esprimere le cose in termini funzionali (cosa possono fare), piuttosto che in termini ontologici (se esistono).
Tuttavia, è chiaro che le tradizioni bibliche non consideravano שׁד (seme) o שׂעיר (sa’iyr) come qualcosa da temere. Rappresentavano semplicemente gli idoli dei Cananei, che erano impotenti e potevano essere trattati come il vuoto o il nulla. Nel pensiero ebraico, questo si avvicina a ciò che oggi intendiamo per dire che qualcosa non esiste.
Conclusioni
In fondo, nell’Antico Testamento non esistono davvero i “demoni” così come li intendiamo oggi. Non c’è una parola ebraica che corrisponda esattamente a quel concetto moderno: niente corna, zolfo o possessioni infernali. Piuttosto, si parla di spiriti, idoli o esseri mitologici che fanno parte del contesto culturale e religioso con cui gli antichi israeliti si trovavano a dialogare. Ma attenzione: i termini vengono usati non per accettare quelle visioni, ma per respingerle. Gli autori biblici riprendono concetti animisti o cananei solo per dire: «No, non funziona così. Il vero Dio è uno solo e ha il controllo su tutto.»
Quindi sì, c’erano credenze popolari tra gli israeliti su fantasmi, spiriti e mostri mitologici, ma la Bibbia fa un’altra scelta narrativa e teologica: quella di un Dio sovrano, unico, che non condivide il potere con nessuno. Niente battaglie epiche tra il bene e il male come in un fumetto. Niente eserciti infernali. Solo l’affermazione continua che tutto il resto — spiriti, idoli, dèi stranieri — è vuoto e senza potere.
E qui, permettetemi una riflessione personale.
Credere nei demoni come spiriti maligni e intelligenti, oggi, è un vero e proprio atto di fede. Perché se si crede nei demoni, allora si accetta tutto il “pacchetto all inclusive” delle figure bibliche: angeli, paradiso, inferno, Satana, arcangeli e compagnia bella.
Personalmente, per il mio percorso di studio tra religioni, mitologie e storia della spiritualità, mi risulta difficile credere davvero nell’esistenza né dei demoni né degli angeli. E vi dirò di più: approfondire la storia della demonologia mi ha fatto capire che molte di queste figure sono diventate “maligne” perché la religione lo ha deciso, non perché lo fossero davvero. In alcuni casi, sono entità senza nemmeno una vera mitologia dietro, create quasi a tavolino per rappresentare il male.
Basta pensare a Pazuzu, che tanti conoscono solo grazie a L’Esorcista del 1973: nella Mesopotamia era un dio protettore, temuto ma anche venerato, e le sue statuette venivano portate al collo come talismani contro altri demoni.
Con l’avvento delle religioni monoteiste, però, molti di questi dèi sono stati demonizzati, letteralmente. Si è passati da un mondo complesso, popolato da forze molteplici, a uno schema binario: bene contro male, Dio contro Diavolo. Ma questo non è un fatto universale. È una scelta storica, culturale e teologica.