Fantasmi nella tradizione indiana

Fantasmi nella tradizione Indiana

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I Preta nel buddismo

Nella tradizione buddhista, un Preta è generalmente considerato come una delle sei possibili forme di esistenza in cui una persona può rinascere dopo la morte. Queste sei forme includono Dèi, Semi-dèi, esseri umani, animali, fantasmi ed esseri infernali.

Come abbiamo già visto, in Giappone il termine Preta è tradotto come Gaki, che significa fantasma affamato ed è stato adottato dal cinese medio nga H kjwɨj X (餓鬼) che ha lo stesso significato.Dal 657, alcuni buddisti giapponesi commemorano un giorno speciale a metà agosto per ricordare i Gaki. Attraverso offerte e rituali di ricordo noti come segaki, si crede che gli spiriti affamati possano essere liberati dal loro stato di tormento. Interessante notare che nella lingua giapponese moderna, la parola gaki è spesso usata per riferirsi a un bambino viziato o un monello.

Fantasma affamato nella cultura giapponese
Fantasma affamato nella cultura giapponese

In Thailandia, i Preta (in lingua Thai: เปรต) sono descritti come anormalmente alti e sono noti per emettere un suono molto acuto da una piccola bocca, che può essere udito solo da un monaco o da uno sciamano. Molte persone anziane spesso mettono in guardia i loro figli contro il maledire o dire cose cattive ai loro genitori, poiché si crede che ciò possa portare a una rinascita come Preta nell’aldilà.

Nella cultura dello Sri Lanka, così come in altre culture asiatiche, si crede che se le persone hanno desideri insaziabili nella loro vita terrena, possono rinascere come Preta (noti come peréthaya) con lo stomaco così grande che la loro piccola bocca non può mai soddisfare il loro appetito. Questo concetto sottolinea il desiderio e l’avidità come cause della rinascita come un Preta.

In sintesi, mentre sia i Bhoota che i Preta rappresentano tipi di fantasmi induisti e buddisti spesso considerati erranti, specificamente legati a un comportamento egoista e al desiderio insaziabile. Entrambi gli spiriti sono spesso oggetto di rituali religiosi finalizzati a placare le loro anime inquiete o ad aiutarli a raggiungere la liberazione.

Eidolon

Come già scritto nell’articolo Viaggiando nell’Aldilà: Rivelazioni sui Fantasmi nell’Antica Grecia, gli Eidolon sarebbero dei demoni o spiriti capaci di possedere gli esseri viventi. Nella cultura indiana però prendono nomi diversi e per capirne il significato bisogna fare alcune premesse.

Il Kamaloma, uno dei tre piani dimensionali

Kamaloka
Kamaloka

Innanzitutto va chiarito il concetto di Kamaloka, che nella teosofia rappresenta un piano semi-materiale, soggettivo e invisibile ai nostri sensi, uno stato post-mortem intrigante e misterioso, noto come il mondo del desiderio. È un luogo dove le anime sperimentano i loro desideri, sentimenti e passioni, sia quelli piacevoli che spiacevoli. Qui, il defunto rivive tutte le emozioni e le esperienze (positive e negative) che ha suscitato in tutte le persone conosciute durante la sua vita terrena. È il regno in cui le “personalità” disincarnate, costituite dal corpo astrale dopo la morte del corpo fisico, persistono finché le forme astrali, conosciute come Kamarupa, svaniscono gradualmente. Questo avviene quando gli effetti delle emozioni e dei desideri umani che hanno dato origine a questi Eidolon emotivi si esauriscono completamente.

Il Kamaloka è il corrispettivo di diverse concezioni dopo la morte in varie tradizioni culturali. Può essere paragonato all’Ade nella mitologia greca, all’Amenti degli antichi Egizi, o alla Terra delle Ombre Silenziose. Nelle dottrine esoteriche, il Kamaloka è la prima delle divisioni nei Trailokya, che rappresentano tre regioni o sette piani o gradi. Ogni regione è approssimativamente caratterizzata da una delle tre caratteristiche principali: Kama(-loka), Rupa(-loka) ed Arupa(-loka). Queste suddivisioni si applicano anche agli esseri celesti, fornendo un quadro complesso del cosmo e dei piani dimensionali.

Ecco i tre piani dimensionali:

  1. Il primo piano, Kamaloka è la regione del desiderio, dove le passioni, gli impulsi emotivi e i desideri umani trovano espressione e realizzazione. Qui, le anime esplorano la sfera delle emozioni, vivendo le conseguenze delle loro inclinazioni emotive e cercando di comprendere meglio i legami tra pensieri e desideri.
  2. Il secondo piano, Rupaloka, è associato alla forma ed è il regno in cui le entità si concentrano sulla natura fisica e le forme tangibili. Qui, la manifestazione e l’esperienza della forma fisica giocano un ruolo significativo, e gli esseri cercano di sviluppare una comprensione più profonda della realtà attraverso la percezione delle forme.
  3. Il terzo piano, Arupaloka, rappresenta il mondo senza forma. In questo piano, l’esperienza va al di là della forma e della materia, concentrandosi sull’aspetto più astratto dell’esistenza. Le entità cercano una comprensione più elevata della realtà e delle dimensioni spirituali.

Queste divisioni nei Trailokya offrono una visione dettagliata delle diverse sfaccettature del cosmo e delle esperienze umane e spirituali. Rappresentano una guida per esplorare e comprendere il mondo invisibile e le influenze che modellano la nostra esistenza. In alcune tradizioni cristiane, potrebbe essere chiamato Limbo, mentre i Cabalisti lo conoscono come la Dimora dei Gusci.

Il Kamarupa, la forma astrale del corpo umano

Scultura di leone del IX-X secolo che rappresenta il potente Kamarupa-Palas
Scultura di leone del IX-X secolo che rappresenta il potente Kamarupa-Palas

Il Kamarupa rappresenta il quarto principio umano, una componente essenziale dell’essere umano situata in basso nell’ordine dei principi. Si tratta del corpo del desiderio e delle passioni, la forma astrale del corpo umano. Questo aspetto dell’essere umano è intrinsecamente legato alla vita nella materia e alle esistenze animali. In termini simbolici, il Kamarupa corrisponde all’antico egizio Seb, l’anima atavica, portando con sé una serie di attributi e caratteristiche connesse alle emozioni e ai desideri.

Il Kamarupa è essenzialmente una forma soggettiva che ciascun individuo crea costantemente nel corso della sua vita. Al momento della morte, il Kamarupa si proietta nel mondo astrale, portando con sé gli impulsi emotivi e i desideri accumulati durante la vita terrena. Questa proiezione si verifica quando il corpo fisico non è più in grado di sostenere questa componente astrale. Il Kamarupa sopravvive alla morte del corpo fisico e continua a esistere in un piano astrale.

Seb, divinità egizia
Seb, divinità egizia

Dopo la morte, tre dei sette principi (o piani) sui quali si basano gli istinti e l’ideazione umana, rimangono sulla Terra. Questi tre sono il corpo, il suo prototipo astrale e la vitalità fisica, che non hanno più utilità dopo la morte. Gli altri tre principi superiori vengono assorbiti nello stato di Devachan, dove l’Ego Superiore risiede fino al momento di una nuova incarnazione. Il Kamarupa, che rappresenta una sorta di “fantasma” della personalità dell’individuo, rimane solo nel suo nuovo stato astrale.

Nel mondo astrale, questa copia dell’individuo può persistere per un periodo di tempo variabile, a seconda della quantità di elementi materiali al suo interno, che è determinata dalla vita passata dell’individuo. Privata della sua mente superiore, dello spirito e dei sensi fisici, questa forma astrale è lasciata ai propri dispositivi senza alcuna guida o scopo definito. Gradualmente, essa si sbiadisce e si disintegra, in quanto perde il legame con il mondo fisico.

Tuttavia, se il Kamarupa viene trascinato indietro verso il mondo fisico da forti desideri o invocazioni, o se è coinvolto in pratiche di negromanzia, può prolungare la sua esistenza al di là del periodo di vita naturale del suo involucro astrale. In queste circostanze, l’entità astrale può diventare un vampiro energetico, noto in India come Pisacha. Questi esseri sono temuti per la loro capacità di assorbire la vitalità di coloro che sono desiderosi della loro compagnia.

Eidolon indiano

Le storie che narrano la possessione da parte degli Eidolon ci portano in viaggi attraverso diverse ambientazioni, da una vivace Atene all’antica India del I secolo d.C.. Queste narrazioni ruotano attorno alla figura centrale di Apollonio di Tiana (Απολλώνιος), un profeta pagano di notevole importanza in quel periodo storico. Apollonio gioca un ruolo fondamentale nelle storie di possessione da parte degli Eidolon, il che aggiunge un fascino unico e intrigante alle narrazioni.

Busto di Lucio Flavio Filostrato
Busto di Lucio Flavio Filostrato

Nel III secolo d.C., il celebre scrittore Lucio Flavio Filostrato, noto anche come Filostrato d’Atene (Φλάυιος Φιλόστρατος) o Filostrato II, vissuto tra il 172 e il 247 d.C., ci regala un racconto avvincente all’interno della Vita di Apollonio di Tiana. Questo testo delinea una storia affascinante che coinvolge un messaggero proveniente dall’India, una madre ansiosa e suo figlio posseduto per ben due anni da un enigmatico Eidolon, una sorta di fantasma o spirito.

La madre spiega che il demone (daimon), il quale si manifesta attraverso il ragazzo, ha un carattere beffardo e mendace. Un saggio presente, naturalmente, vuole comprendere il motivo di questo possesso e chiede alla madre di spiegare la situazione. La madre racconta la sua angoscia descrivendo il figlio come incredibilmente bello, e l’Eidolon si è invaghito di lui, impedendogli di condurre una vita normale. Il ragazzo è stato privato della possibilità di frequentare la scuola, apprendere l’arte dell’arco o persino di rimanere a casa. Invece, è costretto a vagare in luoghi deserti. Ancora più strano, il ragazzo ha perso la sua voce, ora parla con una voce profonda e oscura, completamente diversa da quella di un adolescente.

L’Eidolon ha cambiato il comportamento del giovane a tal punto che non riconosce nemmeno sua madre. Quest’ultima decide di cercare aiuto da Apollonio di Tiana, ma il demone la minaccia, dicendole che ucciderà suo figlio se cercherà aiuto e così, seppur spaventata e impotente, si rivolge con molto coraggio ai saggi.

Un saggio dimostra grande coraggio e offre alla madre una lettera indirizzata all’Eidolon. Questa lettera sembra contenere minacce di tipo allarmante, con l’obiettivo di convincere il demone a smettere di tormentare il giovane posseduto. La madre, rassicurata dalle parole del saggio, si prepara ad affrontare l’Eidolon. «Prendi coraggio, perché non lo ucciderà quando avrà letto questo», le disse il saggio.

Questo affascinante racconto non solo getta luce sulle credenze legate agli Eidolon e alle possessioni nell’antichità, ma evidenzia anche l’importanza del coraggio e dell’intervento dei saggi in un mondo in cui le forze soprannaturali potevano avere un impatto tangibile sulla vita quotidiana.

Conclusioni

In conclusione, i fantasmi indiani, noti come Bhoota e Preta, costituiscono una parte ricca e complessa del folklore e delle credenze dell’India e di altre regioni dell’Asia. Queste entità spettrali rappresentano una fusione affascinante di antiche tradizioni culturali, mitologie e credenze religiose. Attraverso le generazioni, queste figure hanno assunto una varietà di forme e connotazioni, diventando esseri benevoli o malevoli, portatori di messaggi o spiriti affamati in cerca di soddisfazione.

L’interpretazione e la percezione dei fantasmi indiani variano notevolmente a seconda delle regioni e delle tradizioni locali. Alcuni li vedono come entità divinizzate o eroi mitici, mentre altri li temono come spiriti maligni. Questa diversità di punti di vista riflette la complessità delle culture indiane e della loro eredità spirituale.

Rappresentazione teatrale del Bhoota Aradhane
Rappresentazione teatrale del Bhoota Aradhane

Inoltre, le credenze nei fantasmi indiani sono spesso intrecciate con aspetti religiosi, come l’induismo e il buddismo, che influenzano profondamente la comprensione e l’interazione con queste entità spettrali. Le pratiche religiose, i rituali e le cerimonie svolgono un ruolo significativo nella gestione dei fantasmi indiani, con l’obiettivo di pacificarli o liberarli dalle sofferenze.

Infine, le storie e le leggende che coinvolgono questi fantasmi offrono una finestra affascinante sulla ricca tradizione narrativa dell’India. Questi racconti spesso rappresentano non solo un veicolo per esplorare il soprannaturale, ma anche per affrontare temi universali come la morte, la rinascita, il karma e la moralità.

In definitiva, i fantasmi indiani sono parte integrante dell’identità culturale dell’India e della regione dell’Asia meridionale, e le loro storie continuano a catturare l’immaginazione e a trasmettere le ricche tradizioni spirituali e narrative di questa parte del mondo.

Bibliografia per questo articolo

Per questo articolo ringrazio gli autori dei libri e degli articoli che cito di seguito:

  • Allied Chambers transliterated Hindi-Hindi-English dictionary (1993) di Henk W. Wagenaar e S. S. Parikh;
  • Antara Sejarah dan Mitos: Sejarah Melayu & Hang Tuah dalam Historiografi Malaysia (2016) di Ahmat Adam;
  • Anthropos, Volume 57 (Libro Zaunrith del 1962);
  • Census of India (1961, Vol. 8, Ed. 6, Parte 9) dell’Ufficio del Registro Generale Indiano;
  • Contemplating the suffering of hungry ghosts (articolo);
  • Death and Digestion: The Symbolism of Food and Eating in North Indian Mortuary Rites (1985) di Jonathan Parry;
  • Destination Saigon: Adventures in Vietnam (2010) di Walter Mason;
  • East of Indus: My Memories of Old Punjab (2007) di Gurnam Singh Sidhu Brard;
  • Failed desires conjure Shyam Selvadurai’s The Hungry Ghosts (articolo del 2013 di David Chau)
  • Folklore Notes (due volumi del 1989) di R.E. Enthoven;
  • Forming an Identity: A Social History of the Jats (1999) di Nonica Datta;
  • Garuda Purana (tratto dal Mahāpurāṇa dell’Induismo);
  • Ghosts, Monsters and Demons of India (2020) di Rakesh Khanna assieme e J. Furcifer Bhairav;
  • How the hungry ghost mythology reconciles materialism and spirituality in Thai death rituals (2015) di Rungpaka Amy Hackley e Chris Hackley;
  • Imagine Being a Preta: Early Indian Yogācāra Approaches to Intersubjectivity (2016) di Roy Tzohar;
  • In Malay forests (1925) di Sir George Maxwell;
  • Indian Journal of Traditional Knowledge vol 7 (aprile 2008);
  • Intransitive Predication (1997) di Leon Stassen;
  • Lucknow, Fire of Grace: The Story of Its Revolution, Renaissance and the Aftermath (1967) di Amaresh Misra;
  • Myth = Mithya (2006) di Devdutt Pattanaik;
  • Reproducing Inequality: Spirit Cults and Labor Relations in Colonial Eastern India (1986) di Prakash Gyan;
  • Seminar – Edizioni 525-529 (2003) di R. Thapar;
  • Students’ Britannica India (5 volumi, 2000) di Dale Hoiberg;
  • The Doctrine of Karma and Śrāddhas (1985), Annali del Bhandarkar Oriental Research Institut;
  • The Popular Religion and Folk-lore of Northern India, Volume 1 (1896) di William Crooke;
  • The Terror in Kashmir & Other Stories (2001) di Yashwant Mande;
  • Time, Being, and Soul in the Oldest Sanskrit Sources (2001) di William H. Snyder;
  • Ultimate Ambiguities: Investigating Death and Liminality (2015) di Peter Berger e Justin Kroesen;
  • World Shaman: Encountering Ancient Himalayan Spirits in Our Time (2003) di Ellen Winner.
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