L’Anima, un concetto tanto affascinante quanto misterioso, ha da sempre occupato un posto centrale nel pensiero umano. Questa entità impalpabile e invisibile, considerata la vera essenza dell’individuo, è stata oggetto di riflessione, dibattito e indagine in ogni angolo del mondo e in ogni epoca.
Nel corso della storia, l’anima è stata interpretata in modi diversi a seconda delle culture e delle religioni. Alcune vedono l’anima come un’entità immortale che sopravvive alla morte fisica, altre la considerano come la scintilla divina che dà vita e coscienza agli esseri viventi. Alcune tradizioni spirituali ritengono che l’anima possa evolvere e progredire attraverso le esperienze di vita, mentre altre sostengono che l’anima rimane immutabile nel tempo.
L’anima è stata al centro di molte discipline, dalla filosofia alla religione, dalla psicologia alla parapsicologia. Filosofi, teologi, mistici e scienziati hanno cercato di comprendere la sua natura, la sua origine e il suo destino. Queste ricerche hanno portato a una vasta gamma di teorie e credenze che riflettono la diversità e la complessità del pensiero umano.
Nelle religioni, l’anima è spesso vista come il legame tra l’individuo e il divino. È considerata la parte più sacra e preziosa dell’essere umano, quella che connette l’umano al trascendente. Molte pratiche religiose e spirituali sono volte alla purificazione, all’elevazione o alla liberazione dell’anima.
Nelle culture, l’anima è spesso al centro di racconti, miti e rituali. È vista come la fonte dell’amore, della creatività, della saggezza e della compassione. Le storie dell’anima, delle sue avventure e delle sue sfide, sono state raccontate e tramandate di generazione in generazione, arricchendo il patrimonio culturale dell’umanità.

Nonostante le differenze nelle interpretazioni e nelle credenze, l’idea dell’anima testimonia una ricerca universale dell’umanità: la ricerca di un senso, di una finalità, di una connessione con il divino. Questa ricerca, che ha accompagnato l’umanità attraverso i secoli, continua ancora oggi, testimoniando la profondità e la grandezza dello spirito umano.
In questo articolo, vi guiderò attraverso un viaggio affascinante e profondo, esplorando le diverse concezioni dell’anima che emergono da vari contesti culturali e religiosi. Da millenni, l’umanità si interroga sulla natura dell’anima: cos’è veramente? Da dove viene? Qual è il suo destino finale? Attraverso i prossimi paragrafi esploreremo le diverse concezioni dell’anima, cercando di comprendere come ciascuna cultura e religione interpreta questo concetto. Esamineremo le somiglianze e le differenze tra queste interpretazioni, cercando di capire come ciascuna di esse rifletta la visione del mondo e i valori della cultura o della religione da cui proviene.
Spero che questo viaggio attraverso le diverse concezioni dell’anima vi offra nuovi spunti di riflessione e vi aiuti a comprendere meglio la ricchezza e la diversità del pensiero umano sull’anima. Buona lettura!
L’Anima nella Presistoria (200.000 a.C. – 50.000 a.C.)
Un uomo di mezza età e due giovani furono sepolti in maniera straordinaria circa 34.000 anni fa. Il loro abbigliamento funerario comprendeva oltre 13.000 perle di avorio di mammut, centinaia di canini di volpe forati e vari altri ornamenti. Queste sepolture, scoperte nel sito di Sungir in Russia negli anni Sessanta, contenevano anche lance, statuette e l’osso femorale cavo di una donna, imbevuto di ocra rossa. Gli archeologi hanno calcolato che solo la creazione delle perle di avorio avrebbe richiesto circa 2500 ore di lavoro. Non sapremo mai con certezza quali fossero le credenze specifiche di queste antiche civiltà. Tuttavia, l’elaboratezza e l’impegno temporale richiesto per queste sepolture suggeriscono fortemente che avevano una concezione dell’aldilà e delle forze spirituali. Quando gli antenati umani hanno iniziato a dedicare risorse ai morti e probabilmente a iniziare a concepire l’idea dell’anima?
Le prime tracce di fede nell’anima e nella vita dopo la morte possono essere riscontrate nelle cerimonie funebri degli Homo sapiens e dei loro predecessori. Queste usanze indicano che l’essere umano potrebbe aver iniziato a credere in una sorta di vita dopo la morte già 100.000 anni fa. Le inumazioni deliberate, spesso accompagnate da effetti personali o doni, sono tra le prime prove di una fede nell’anima o in una vita ultraterrena.

Tuttavia, è complesso stabilire con precisione quando e come queste convinzioni si siano formate, dato che le pratiche e le credenze spirituali non lasciano sempre evidenze archeologiche dirette. Le interpretazioni delle testimonianze disponibili possono differire, ma è evidente che tali convinzioni sono profondamente radicate nella storia umana e hanno avuto un ruolo importante nelle culture di tutto il mondo fin dai tempi più remoti.
Lo studio antropologico basato sui rinvenimenti archeologici e fossili propongono che gli uomini primitivi potessero credere in fantasmi o spiriti. Secondo alcuni studi, l’istinto di sopravvivenza dell’uomo primitivo potrebbe spiegare la nostra fede in divinità e fantasmi. Questo istinto è radicato nella psicologia umana e si basa su due osservazioni fondamentali:
- Propensione all’agenzia: Quando si verificava un evento, gli uomini primitivi tendevano a attribuirlo a un essere vivente, presupponendo quindi un’agenzia dietro quell’evento. Ad esempio, il fruscio di un cespuglio o lo scatto di un ramo poteva essere causato dal vento, ma era molto più sicuro supporre che fosse un leone e fuggire. Questo istinto di attribuire rapidamente un’agenzia a un evento è stato trasmesso di generazione in generazione. Non solo un rumore o un suono, ma anche il riconoscere figure antropomorfe (che presenta somiglianze o affinità con l’uomo o con l’organismo umano) o zoomorfe (somiglianze o affinità con un animale) erano necessarie per poter correre ai ripari. Per questo motivo la il fenomeno psicologico della pareidolia (acustica o visiva), la tendenza istintiva e automatica del cervello, a trovare strutture ordinate e forme familiari in immagini disordinate. La pareidolia è oggi il tallone d’Achille della ricerca sul paranormale, perché a causa di programmi televisivi molto discutibili a tema fantasmi (con eco sui social netwrok), hanno radicato in molte persone affascinate dal paranormale, a riconoscere volti e figure come presenze spiritiche.
- Teoria della mente: Vivere insieme in tribù aveva molti vantaggi per la sopravvivenza nei tempi preistorici, ma comprendere il comportamento degli altri non era sempre semplice. Capire i pensieri e le convinzioni degli altri, specialmente quando potevano essere sbagliati a causa della mancanza di una conoscenza completa di una situazione, era fondamentale. Questo è noto come teoria della mente.
Questi meccanismi innati potrebbero aver portato agli inizi della fede in divinità, fantasmi e altre entità soprannaturali. Immaginate una pietra che cade nel retro di una caverna; il nostro “dispositivo di agenzia” ci dice che qualcuno lo ha causato. Senza nulla in vista, potrebbe essere stata una creatura invisibile o uno spirito? E perché dovrebbe aggirarsi proprio lì? Per scoprire segreti su di noi o per scoprire se siamo persone buone o cattive? Questi sono esempi molto semplificati, ma aiutano a illustrare come questi meccanismi hard-wired potrebbero portare agli inizi di una fede in entità soprannaturali. Ma questo non significa che tutto possa essere riconducibile solo ad una spiegazione a tutti i costi razionale, perché sarebbe comunque una forzatura scientista.
Sciamanesimo (Paleolitico) e Dualismo dell’Anima (XVII secolo)
Nelle tradizioni sciamaniche, si ritiene che gli spiriti siano la forza motrice dell’universo, precedendo persino le divinità. Gli spiriti risiedono in ogni forma di vita, e il loro status è direttamente proporzionale all’essere che abitano. Di conseguenza, con la morte, l’individuo entra in un piano spirituale, superiore a quello terreno, rendendo necessario rendere omaggio al defunto. Questo non solo per l’amore provato, ma soprattutto perché da quella posizione elevata, l’individuo defunto potrebbe benedire i viventi. Da qui deriva anche la paura dei morti: un individuo oppresso e maltrattato durante la sua vita potrebbe cercare una sorta di vendetta una volta raggiunto il piano superiore. A volte, un individuo potrebbe perdere la propria anima a seguito di eventi traumatici. Per recuperarla, lo sciamano potrebbe intraprendere un viaggio in altre dimensioni, un viaggio che non è esente da rischi, per riportarla indietro.
Il dualismo dell’anima, noto anche come pluralismo dualistico o anime multiple, è un concetto fondamentale nello sciamanesimo. Questa credenza sostiene che gli esseri umani possiedono più di un’anima, solitamente identificate come anima del corpo e anima libera. L’anima del corpo è associata alle funzioni fisiche e alla consapevolezza durante lo stato di veglia, mentre l’anima libera può viaggiare liberamente durante il sonno o in stati di trance.

Questo dualismo è evidente nelle tradizioni animistiche di vari popoli, tra cui gli austronesiani (un gruppo di popolazioni presenti in Oceania), i cinesi, i tibetani, la maggior parte delle popolazioni africane, i nativi nordamericani, gli antichi popoli dell’Asia meridionale, dell’Eurasia settentrionale e gli antichi egizi. Nelle tradizioni sciamaniche austronesiane, l’anima del corpo (o nawa), è associata al respiro, alla vita o allo spirito vitale e si trova nell’addome, spesso nel fegato o nel cuore. L’anima libera, al contrario, risiede nella testa e i suoi nomi derivano spesso dal termine proto-austronesiano qaNiCu, che significa fantasma o spirito dei morti.
Questa dualità è anche presente nelle pratiche curative sciamaniche, dove le malattie sono viste come una “perdita dell’anima”. Per curare il malato, è necessario “restituire” l’anima libera al corpo. Se l’anima libera non può essere restituita, l’individuo può morire o impazzire permanentemente. In questo modo, lo sciamano contribuisce a ristabilire l’armonia tra le anime, considerata segno di virtù, mentre il conflitto tra le anime è visto come indice di malvagità.
In alcune culture, come quella dei Tagbanwa (un’etnia delle Filippine) e degli Inuit (uno dei due gruppi principali di popolo artico insieme agli Yupik), si crede che una persona possa avere più di due anime. Ad esempio, i Tagbanwa ritengono che una persona abbia sei anime, tra cui l’anima libera, considerata l’anima “vera”, e cinque anime secondarie con funzioni diverse. Allo stesso modo, alcuni gruppi Inuit credono che una persona abbia più di un tipo di anima, una associata alla respirazione e l’altra che accompagna il corpo come un’ombra. In questi casi, le credenze sono spesso collegate alle pratiche sciamaniche del gruppo.
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Antico Egitto (ca 4000 a.C.)

Nella cultura dell’antico Egitto, si riteneva che l’essenza spirituale dell’essere umano fosse formata da tre componenti soprannaturali: l’Akh, il Ba e il Ka. Questa antica religione egiziana sosteneva che un individuo fosse un insieme di elementi diversi, alcuni di natura fisica e altri di natura spirituale.
Queste concezioni trovano paralleli nelle antiche religioni assira e babilonese. Un esempio significativo è la stele di Kuttamuwa, una lapide funeraria dedicata a un alto funzionario del VIII secolo a.C. della città di Sam’al. Questa stele raffigura Kuttamuwa che invita i suoi compianti a celebrare sia la sua vita terrena che quella ultraterrena con feste in onore della sua anima, che risiede all’interno della stele stessa. La stele rappresenta uno dei primi riferimenti all’anima come entità distinta dal corpo. Questo importante reperto archeologico ha contribuito a far luce sulle antiche concezioni dell’anima e della vita dopo la morte.
Antica Grecia (IX – VI secolo a.C.)
Nell’antica Grecia, i riti misterici dell’orfismo (un movimento religioso che ha avuto origine intorno al VI secolo a.C., e che ruota attorno alla figura di Orfeo, considerato il fondatore), vedevano il corpo fisico come una «prigione» per l’anima. Questo concetto era enfatizzato dall’assonanza tra i termini σῶμα (soma) che significa corpo, e σῆμα (sema) che significa tomba. L’anima doveva liberarsi da questa prigione attraverso i riti iniziatici, altrimenti sarebbe rimasta in uno stato di non-esistenza, condannata alla trasmigrazione. Altri culti misterici con un focus sulla salvezza furono i Misteri di Eleusi e i Misteri dionisiaci.
- I Misteri di Eleusi, celebrati annualmente nel tempio dedicato a Demetra nella storica città greca di Eleusi, erano cerimonie religiose misteriche. Questi riti avevano radici in un antico culto agricolo e si ritiene che derivassero dalle pratiche religiose dell’era micenea. I misteri illustravano il mito del rapimento di Persefone da parte di Ade, il re dell’oltretomba, un evento che la madre Demetra ha vissuto con grande dolore. Questo mito si sviluppava in tre fasi: la discesa (perdita), la ricerca e l’ascesa. Gli iniziati vedevano nella rinascita di Persefone un simbolo dell’eternità della vita che si perpetua di generazione in generazione, e credevano di ricevere una ricompensa nell’aldilà.
- I Misteri Dionisiaci, d’altra parte, erano focalizzati su Dioniso, il dio delle piante, del vino e della sublimazione. Dioniso era considerato dai greci un dio di origine straniera, con il suo culto che si pensava provenisse principalmente dalla Tracia, una regione a nord-est della Grecia. Il culto di Dioniso era caratterizzato da una religiosità estatica e orgiastica. Dioniso, nel suo delirio mistico, incarnava la scintilla primordiale e istintiva presente in ogni essere vivente. Nei misteri eleusini, Dioniso era identificato con Iacco. Strettamente legato alle origini del teatro, Dioniso è forse il dio della mitologia greca che ha avuto la maggiore influenza sulla cultura contemporanea.
Prima dell’arrivo di Socrate (ca 470-399 a.C.), i filosofi tendevano a concentrarsi su questioni relative al mondo o alla natura. La nozione di anima aveva connotazioni esclusivamente mitologiche, come si può vedere negli autori epici come Omero (VIII secolo a.C.) e Virgilio (70-19 a.C.), dove l’anima era vista come un soffio che lascia il corpo al momento della morte. Si credeva che l’anima avesse solo la consistenza di un’ombra, capace di sopravvivere nell’Ade ma senza più poter esprimere la sua energia vivificante.
Tuttavia, con Socrate e il suo successore Platone (ca 428-348 a.C.), il termine psyché (anima) viene utilizzato per indicare il mondo interiore dell’uomo, a cui viene ora riconosciuta piena dignità.

I filosofi greci, come Socrate, Platone e Aristotele (ca 384-322 a.C.), comprendevano che l’anima (ψυχή psykhḗ) doveva possedere una facoltà logica, la cui pratica era considerata l’azione più divina dell’uomo. Nel suo discorso di difesa, Socrate riassunse i suoi insegnamenti come un’esortazione ai suoi concittadini ateniesi a eccellere nelle questioni dell’anima, poiché tutti i beni materiali dipendono da tale eccellenza (Apologia 30a–b). Aristotele riteneva che il corpo e l’anima di un uomo fossero rispettivamente la sua materia e la sua forma: il corpo è un insieme di elementi e l’anima è l’essenza.
L’anima o psiche (ψυχή psykhḗ, da ψύχειν psýkhein, respirare) include le capacità mentali di un essere vivente: ragione, carattere, libero arbitrio, sentimento, coscienza, qualia, memoria, percezione, pensiero, etc. A seconda del sistema filosofico, un’anima può essere mortale o immortale. Gli antichi greci usavano la parola animato per rappresentare il concetto di essere vivo, indicando che la prima visione filosofica occidentale sopravvissuta credeva che l’anima fosse ciò che dava la vita al corpo. L’anima era vista come il soffio incorporeo o spirituale che anima (da animale) l’organismo vivente.
Il filosofo contemporaneo e storico italiano Giovanni Reale (1931-2014) scrisse:
«Il concetto di psiche inventato da Socrate e codificato da Platone è centrale a questo proposito: Socrate diceva che il compito dell’uomo è la cura dell’anima: la psicoterapia, potremmo dire. Che poi oggi l’anima venga interpretata in un altro senso, questo è relativamente importante. Socrate per esempio non si pronunciava sull’immortalità dell’anima, perché non aveva ancora gli elementi per farlo, elementi che solo con Platone emergeranno. Ma, nonostante più di duemila anni, ancora oggi si pensa che l’essenza dell’uomo sia la psyche. Molti, sbagliando, ritengono che il concetto di anima sia una creazione cristiana: è sbagliatissimo. Per certi aspetti il concetto di anima e di immortalità dell’anima è contrario alla dottrina cristiana, che parla invece di risurrezione dei corpi. Che poi i primi pensatori della Patristica abbiano utilizzato categorie filosofiche greche, e che quindi l’apparato concettuale del cristianesimo sia in parte ellenizzante, non deve far dimenticare che il concetto di psyche è una grandiosa creazione dei greci. L’Occidente viene da qui.»
Storia della filosofia antica (1975) di Giovanni Reale
Nel decimo capitolo delle Leggi, un’opera incompiuta di Platone risalente al IV secolo a.C., l’autore sostiene che l’anima è immateriale, incorporea e formata dalla sostanza divina. Un altro lavoro fondamentale di Platone è il Timeo, scritto intorno al 360 a.C. Quest’opera ha avuto un impatto significativo sia sulla filosofia che sulla scienza, grazie alla sua profondità metafisica e alla sua rilevanza per la storia del pensiero scientifico. Il Timeo introduce il concetto di un’Anima del mondo, che dà origine alle anime individuali. Questa Anima del mondo è suddivisa in tre funzioni: loghistòn (razionale), thumoeidès (volitiva-irascibile) ed epithymetikòn (concupiscibile). Queste tre funzioni rappresentano le diverse attività dell’anima secondo la visione platonica.

Aristotele intende l’anima come entelechia indistinta dal corpo, coincidente con la sua forma: l’anima, così, rappresenta la capacità di realizzare le potenzialità vitali del corpo, pertanto, non è disgiungibile da questo. Essa, allora, è mortale, benché un principio di eternità alberghi nell’anima intellettiva, operante senza il sostegno di un organo corporeo.
Plotino (ca 205-270 a.C.), poi, sdoppia l’anima in superiore, originaria e legata al divino, esente dalla corruzione, ed inferiore, preposta al governo del cosmo, in “commercio” con la materia o, nel caso degli individui, al governo del corpo. L’anima originaria non è mai oggetto di “caduta” e non discende mai nel mondo materiale. Eppure, la psyché dei Greci non corrisponde né all’anima cristiana né alla psiche della psicoanalisi!
Panspichismo (ca V secolo a.C.)
Il panpsichismo è una visione filosofica che suggerisce che ogni entità nell’universo, vivente o non vivente, possieda una sorta di coscienza o anima. Questo concetto è stato sostenuto da antichi filosofi come Talete (ca 640-545 a.C.) e Platone, così come da pensatori moderni come Thomas Nagel e David Chalmers.

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Secondo il panpsichismo, la coscienza non è limitata agli esseri umani o agli animali con cervelli complessi, ma è intrinseca alla stessa materia. Questo implica che anche oggetti inanimati, come un granello di sabbia, potrebbero avere qualche forma di esperienza interna.
Negli ultimi anni, il panpsichismo ha attirato crescente interesse da parte di neuroscienziati e filosofi come una possibile spiegazione per il fenomeno della coscienza, che continua a essere uno dei grandi enigmi sia della scienza che della filosofia.
Zoroastrismo (V secolo a.C.)
Nello Zoroastrismo persiano, l’idea dell’anima e del giudizio post-mortem era ben radicata, tanto che si riteneva che le anime dovessero attraversare un ponte estremamente sottile, noto come Cinvat. Secondo la tradizione zoroastriana, la vita è considerata uno stato temporaneo in cui si prevede che un mortale si impegni attivamente nella lotta incessante tra Asha e Druj.
- Asha è un principio zoroastriano con una serie di significati complessi e sfaccettati. È solitamente sintetizzato in base alle sue implicazioni contestuali di verità, giustizia, ordine e funzionamento corretto. Questo concetto riveste un’importanza cruciale per la teologia e la dottrina zoroastriana. Il suo opposto nell’Avesta (l’insieme dei testi sacri della religione mazdea, ovvero il Zoroastrismo).
- Al contrario, Druj simboleggia il male, l’inganno o la falsità. In un contesto morale, si presenta all’uomo la scelta di seguire il cammino del Male (druj = inganno) o il cammino della Retitudine (asha = verità). Seguire il cammino del Male porta alla sofferenza e, infine, all’Inferno. Seguire il cammino della Retitudine conduce alla pace e alla felicità eterna in Paradiso.
Questi due concetti costituiscono la dualità essenziale nello Zoroastrismo, riflettendo la lotta senza fine tra il bene e il male, la verità e l’inganno.

Prima dell’incarnazione di un individuo, che avviene al momento della nascita, l’Urvan (l’Anima) è ancora legata al suo Fravashi (Spirito personale/superiore). Quest’ultimo esiste fin dalla creazione dell’universo da parte di Ahura Mazda, riconosciuto come l’unico dio supremo, responsabile della creazione sia del mondo fisico che di quello metafisico. Il suo nome è tradotto come “lo spirito che crea attraverso il pensiero”. Secondo le interpretazioni contemporanee, Ahura Mazda è visto come il Signore Pensante, con un riferimento a un pensiero magico che sarebbe il mezzo della sua creatività. Prima della separazione dell’Urvan, il Fravashi contribuisce al mantenimento della creazione sotto la guida di Ahura Mazda.
Durante la vita di un individuo, il Fravashi svolge un ruolo di ispirazione per compiere azioni virtuose e funge da protettore spirituale. I Fravashi degli antenati culturali, spirituali ed eroici, legati a famiglie nobili, sono oggetto di venerazione e possono essere invocati per assistere i viventi. Questo approfondimento sul concetto di anima nello Zoroastrismo persiano offre una visione più ampia e dettagliata della sua importanza e del suo ruolo all’interno di questa antica tradizione religiosa.
Induismo (ca 1500 a.C.)
Nell’Induismo e nelle sue religioni correlate, l’anima, o Anupadaka, è vista come l’elemento più puro e sottile dell’essere umano. Questa entità incorporea è il principio vitale che caratterizza l’evoluzione di un individuo e non ha barriere che la separano dal resto dell’universo. L’ego, o il senso di sé, è solo un riflesso limitato di questa potente energia.
Le esperienze accumulate attraverso le diverse vite vissute da un individuo, a causa della reincarnazione, diventano parte dell’anima, che ha la capacità di ricordarle tutte. La mancanza di memoria delle vite passate può indicare la distanza che si crea tra l’ego e la vera natura dell’anima. Solo gli iniziati e i maestri, che si identificano con il principio unificante piuttosto che con l’ego inferiore, riescono a ricordare le vite precedenti, grazie alla loro perfetta sintonia con l’anima.

Le pratiche dello Yoga e molte filosofie e religioni orientali mirano alla liberazione dall’ego, visto come un’illusione (maya) che causa sofferenza e si perpetua nel ciclo delle reincarnazioni (samsara).
Nel contesto esoterico, si parla di anima individuale (Jiva) e anima suprema (Ātman). Lo Yoga mira alla fusione del Jiva con l’Ātman, o l’unione del sé individuale con il sé supremo (Brahman impersonale o Bhagavat personale), per raggiungere la realizzazione spirituale e la fine della sofferenza. L’Ātman, che significa letteralmente “respiro”, può essere interpretato sia come “anima del mondo” che come principio dell’anima individuale.
Ātman, una parola sanscrita che significa sé interiore o anima, è considerato il primo principio nella filosofia indù, in particolare nella scuola Vedanta, una delle sei scuole ortodosse dell’Induismo. Questa scuola di pensiero si concentra sull’interpretazione dei testi vedici, in particolare le Upanishad, i Brahma Sutra e la Bhagavad Gita. Il termine “Vedanta” deriva dal sanscrito e significa “la fine dei Veda”, indicando sia la conclusione dei testi vedici che l’apice della conoscenza vedica. Per raggiungere la liberazione (moksha), un individuo deve realizzare che il proprio vero sé (Ātman) è identico al sé trascendente Brahman, secondo l’Advaita Vedanta, una tradizione filosofica e spirituale il cui termine “Advaita” significa “non due” in sanscrito, sottolineando l’idea di non dualità o monismo.
Buddhismo (VI secolo a.C.)
La centralità della dottrina buddhista sull’anima, il sé e l’ego si articola attorno alla loro mancanza di esistenza come entità permanenti e separate. Concetti fondamentali come l’anatman (assenza di un sé), l’anitya (impermanenza) e il dukkha (sofferenza legata all’attaccamento all’idea di sé e permanenza) permeano le varie scuole del Buddhismo. La comprensione della dottrina della natura di Buddha (566-486 a.C.) dipende dall’accettazione del concetto di anatman.

In contrasto con le tradizioni occidentali, il concetto di anima nel Buddhismo è sottolineato come transitorio e non permanente. Gli skandha, o aggregati, che comprendono forma fisica, sensazioni, percezioni, formazioni mentali e coscienza, costituiscono ciò che comunemente consideriamo il sé. Questi aggregati sono soggetti a cambiamento e non possiedono una essenza intrinseca.
Il Buddhismo Theravada, una forma di buddhismo dominante nell’Asia meridionale e nel Sud-est asiatico, pur non affrontando questioni metafisiche come l’esistenza di Dio o di un’anima individuale, si focalizza su aspetti pratici come la psicologia e l’etica. La dottrina della rinascita, che non implica la trasmissione di un’anima individuale da un corpo all’altro, è accettata senza implicare un sé permanente.
Nel Buddhismo Mahāyāna, un insieme di insegnamenti e di scuole buddhiste che si rifanno ai Prajñāpāramitā sūtra (la Perfezione della Saggezza o Conoscenza Trascendentale) e al Sutra del Loto della Buona Dottrina (uno dei testi più importanti nell’enorme corpus della letteratura del Buddismo Mahāyāna), emerge il concetto di Tathagatagarbha, interpretato come una sorta di “natura di Buddha” intrinseca a tutti gli esseri. Questa natura è libera da illusioni e impurità, ma non è un sé nel senso tradizionale.
Giudaismo ed Ebraismo (ca 515 a.C.)
Prima di raccontarvi come è visto il concetto di anima nella tradizione ebraica, va spiegata la differenza tra Giudaismo ed Ebraismo.
Il Giudaismo (יהדות, Yahadut) si riferisce alle peculiari caratteristiche della comunità sociale giudaica, composta da individui che si identificano sulla base di una comune discendenza, condividendo una uniformità di linguaggio, cultura, esperienze e storia. Il concetto di Giudaismo si riferisce alla religione ebraica a partire dal VI secolo a.C., un’epoca segnata dall’esilio babilonese e dalla successiva restaurazione in Palestina. Durante questo periodo storico, la comunità israelita si consolidò attorno alla tribù di Giuda. Vi è un dibattito sull’uso del termine: alcuni sostengono che sia più corretto applicarlo a partire dalla distruzione del Secondo Tempio, avvenuta nel 70 d.C., e che tale uso dovrebbe continuare fino ai giorni nostri. L’Ebraismo (יהדות), invece, rappresenta il quadro di pensiero e di pratica della comunità ebraica, focalizzandosi principalmente sulla pratica religiosa dei giudei e sulla storia della loro fede.
Per la religione ebraica, l’anima umana, o nefesh, è considerata l’essenza vitale che anima il corpo, un soffio divino impartito da Dio, come descritto nella Genesi.
7 Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
Genesi 2:7 (CEI 2008)

Contrariamente a concezioni dualistiche, nell’ebraismo non si separa l’anima dal corpo dopo la morte; piuttosto, la morte è vista come la separazione dell’anima dalla vita corporea. Tuttavia, si riconosce un elemento immateriale dell’essere umano che persiste dopo la morte, spesso associato all’olam ha-ba, il mondo a venire, dove le anime giuste trovano ricompensa.
La Cabala (Kabbalah/Qabbalah), così come lo Zohar (Sefer ha-Zohar, un libro profetico ebraico) arricchiscono questa visione con una suddivisione dell’anima in cinque parti: istinto, emozione, intelletto, trascendenza e unione divina, parallele ai cinque mondi della mistica ebraica, e introduce il concetto di reincarnazione, o gilgul. Nonostante la mancanza di una definizione univoca dell’anima nella Bibbia ebraica, il termine nefesh appare frequentemente, simboleggiando l’essere vivente, mentre ruach rappresenta l’alito vitale.
Nella letteratura rabbinica, l’anima è associata alla vita e alla morte, e la sua qualità è influenzata dalla vicinanza a Dio e dall’osservanza dei Suoi comandamenti. Il rabbino egiziano di fede ebraica, Saʿadya ben Yōssef (882-942 d.C.) e il filosofo rabbino Mosè Maimonide (1135-1204), influenzati dalla filosofia neoaristotelica, interpretano l’anima rispettivamente come l’insieme di desideri, emozioni e pensiero, e come intelletto puro.
La fisicità umana, sebbene preziosa, può essere vista come un ostacolo nell’avvicinamento a Dio. Pertanto, l’ebraismo promuove la purificazione spirituale e la santificazione della vita quotidiana come mezzi per elevare l’anima e avvicinarsi a Dio. Quindi, l’anima è considerata la stessa vita dell’individuo, un dono divino che permea il corpo fisico. Non è distinta come un principio separato o immortale ma è strettamente legata alla fisicità umana e alla relazione con Dio. Dopo la morte, l’elemento immateriale continua a esistere nell’attesa di una ricompensa divina per le azioni compiute in vita.
Taoismo (IV secolo a.C.)
La visione delle anime po (魄) e hun (魂), che sono rispettivamente yin e yang nella tradizione cinese (Taoismo) è profondamente radicata nella comprensione globale dell’essere umano, che include aspetti fisici, mentali e spirituali. Nella medicina cinese, queste anime sono legate non solo alla vita e alla morte, ma anche alla salute e al benessere generale dell’individuo.
Le po sono legate all’aspetto yin e sono considerate più corporee e legate alla terra. Sono legate ai polmoni e rappresentano l’aspetto più istintivo e primordiale dell’essere, come le emozioni e le funzioni corporee. D’altra parte, le hun sono legate all’aspetto yang e sono considerate più eteree e leggere, simili a una nuvola, e sono connesse al Cielo. Sono legate al fegato, che è considerato nella medicina cinese il luogo dello shen, ovvero lo spirito o la mente. Si crede che le hun influenzino l’aspetto dinamico della psiche, influenzando i sogni, la pianificazione del futuro e la crescita spirituale.

Il taoismo crede in dieci anime, sanhunqipo (三魂七魄): tre hun e sette po, che è ulteriormente sviluppata nella medicina cinese, dove ogni hun e po è associato a specifiche funzioni e organi interni. Le tre hun sono rappresentate con forma umana e sono considerate parte della leadership interna dell’essere, responsabili della direzione generale e del grande quadro. Le sette po, invece, non hanno forma umana ma sono rappresentate come animali e gestiscono principalmente le funzioni dei cinque organi interni sotto la guida del Terzo Hun.
La perdita di uno di questi aspetti può portare a squilibri nella salute mentale e fisica. La medicina cinese utilizza pratiche come l’agopuntura e la fitoterapia per riequilibrare queste anime e promuovere la guarigione e il benessere. Inoltre, la relazione tra hun e po è riflessa anche nelle emozioni: ad esempio, un eccesso di hun può portare a collera, mentre una carenza può causare paura e ansia. Questa visione integrata dell’essere umano è fondamentale per comprendere la filosofia e la pratica della medicina tradizionale cinese.
Confucianesimo (V secolo a.C.)

Nel Confucianesimo, l’idea di un anima non assume una posizione centrale come in altre correnti religiose o filosofiche. Confucio (551-479 a.C.) e i suoi seguaci si sono principalmente dedicati a questioni etiche, sociali e politiche anziché a tematiche metafisiche o spirituali. La filosofia confuciana enfatizza l’importanza dell’etica personale e sociale, del dovere, dell’istruzione e della giustizia, piuttosto che concentrarsi sulla natura dell’anima o su concetti relativi all’aldilà.
Tuttavia, il Confucianesimo non esclude l’esistenza di una dimensione spirituale. Si riconosce che vi sono aspetti della vita che trascendono il mondo materiale e tangibile. I rituali, in particolare, rivestono un ruolo significativo nel Confucianesimo, contribuendo a mantenere l’ordine sociale e a onorare gli antenati, suggerendo una forma di continuità tra la sfera dei viventi e quella degli spiriti.
In aggiunta, la tradizione classica confuciana non offre una dettagliata descrizione della natura dell’anima o dello spirito, ma piuttosto si concentra sull’importanza di condurre una vita virtuosa, mirando a creare una società armoniosa. La virtù, la rettitudine e l’armonia sono considerate qualità fondamentali per il benessere individuale e collettivo.
Sebbene il Confucianesimo non tratti direttamente il concetto di anima come altre filosofie o religioni, esso riconosce l’importanza di una dimensione spirituale che si esprime attraverso comportamenti etici e rituali sociali, i quali a loro volta contribuiscono al benessere e all’ordine della società. Inoltre, in questo caso dovrei citare il dualismo dell’anima, che posso sintetizzare con tre aspetti:
- Il Dualismo Ancestrale nel contesto delle credenze confuciane delinea un concetto dell’essere umano come un ente dotato di più anime, ognuna con ruoli e caratteristiche distinti. Questa prospettiva si colloca all’interno di un quadro più ampio di credenze spirituali che concepiscono l’essere umano come una complessa combinazione di elementi sia fisici che metafisici.
- Nel pluralismo dualistico, si associa spesso l’anima corporea alle funzioni biologiche e alla vita terrena, mentre l’anima errante o sovrana è quella capace di separarsi dal corpo, esplorando dimensioni spirituali o trascendentali. Quest’ultima assume particolare importanza nello sciamanesimo, dove si crede che lo sciamano, mediante pratiche e rituali specifici, possa inviare la propria anima sovrana in viaggi trascendentali per scopi di guarigione, divinazione o comunicazione con il mondo degli spiriti.
- Il polianimismo, d’altra parte, suggerisce l’esistenza di molteplici anime all’interno di un individuo singolo, ciascuna con un ruolo specifico e talvolta con proprie volontà e coscienze. Questa concezione si ritrova in diverse culture e tradizioni spirituali, non solo nella sfera confuciana, ed è spesso associata a pratiche ritualistiche e a complesse concezioni dell’aldilà.
In linea generale, queste dottrine enfatizzano l’importanza dell’equilibrio e dell’armonia tra le varie componenti dell’essere, sia durante la vita terrena che nel passaggio verso l’aldilà. La cura e il rispetto per le diverse anime sono considerati fondamentali per il benessere individuale e per il mantenimento dell’ordine cosmico.
Cristianesimo (I secolo d.C.)

Nel Cristianesimo, la concezione dell’anima non è uniforme e varia nei testi del Nuovo Testamento. Nonostante ciò, si riconosce una continuità dell’anima oltre la morte. Uno dei primi santi e martiri, Paolo di Tarso (noto come san Paolo, 4-67 d.C.), influenzato da Platone (ca 428-347 a.C.), parla di una distinzione tra corpo, anima e spirito. La parola greca psychè (ψυχή), che appare 102 volte nel Nuovo Testamento, viene utilizzata per indicare l’anima, ma anche la vita o la persona stessa, riflettendo l’uso polisemico del termine nelle opere greche classiche e non bibliche. In alcune interpretazioni filosofiche, psychè è associata alla farfalla, simbolo di metamorfosi e trasformazione.
Il cristianesimo primitivo si focalizzava sulla resurrezione fisica piuttosto che sull’immortalità dell’anima, un tema che sarebbe stato approfondito solo dai teologi successivi. Nell’escatologia cristiana, si crede che le anime siano soggette al giudizio divino dopo la morte, con la destinazione finale che può essere il Paradiso o l’Ade, in attesa della risurrezione. Le tradizioni più antiche, come la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse, così come molte denominazioni protestanti, condividono questa visione. Alcuni protestanti, tuttavia, interpretano l’anima come “vita” e ritengono che non ci sia coscienza dopo la morte fino alla risurrezione, mentre altri credono nella distruzione delle anime ingiuste piuttosto che nella loro eterna sofferenza. I fedeli sperano nell’eterna vita in Cielo o nel Regno di Dio sulla terra, in comunione con il divino. Alcuni rifiutano l’idea della punizione eterna dell’anima.
Paolo di Tarso utilizza i termini psychè e pneuma per differenziare le nozioni ebraiche di nephesh (anima) e ruah (spirito), come si vede anche nella traduzione greca della Bibbia ebraica, la Settanta. In generale, i cristiani credono nell’esistenza eterna e infinita dell’anima.
Chiesa Cattolica (ca I secolo d.C.)
La dottrina cattolica non presenta una definizione filosofica dettagliata dell’anima, ma ne delinea le caratteristiche essenziali. L’anima è vista come unica e personale, capace di discernere tra bene e male, e destinata a una sola esistenza terrena, senza reincarnazione. È considerata immortale e sempre presente nel pensiero divino, iniziando la sua esistenza con il concepimento. Figure teologiche come Agostino d’Ippona (354-430 d.C.), Tommaso d’Aquino (ca 1225-1274) e Bonaventura da Bagnoregio (ca 1221-1274) hanno esplorato questi concetti, spesso in relazione alla resurrezione.




Il Catechismo attuale ribadisce che l’anima rappresenta l’essenza più profonda dell’essere umano, il suo valore supremo e l’immagine di Dio in noi. Secondo la Chiesa, ogni anima, sia in vita che dopo la morte, è soggetta al giudizio finale di Gesù Cristo. La creazione dell’anima è un atto immediato di Dio, rendendola inseparabile dal corpo fino alla morte, momento in cui si verifica una temporanea separazione in attesa della resurrezione.
Chiesa Protestante (ca XVI secolo d.C.)
La fede protestante riconosce universalmente l’esistenza e l’eternità dell’anima. Tuttavia, vi è una dicotomia di pensiero riguardo al suo destino dopo la morte. Da una parte, vi sono coloro che, ispirati dalle insegnanze di Giovanni Calvino (1509-1564), sostengono che l’anima mantenga la sua coscienza post-mortem. Dall’altra, seguaci di Martin Lutero (1483-1546) ritengono che l’anima “dorma” insieme al corpo, in uno stato di incoscienza, fino al momento della risurrezione.




Oscar Cullmann (1902-1999), teologo protestante e autore del libro Immortalità dell’anima o risurrezione? pubblicato nel 1986, evidenzia che la concezione dell’immortalità dell’anima non è originaria del cristianesimo. Secondo Cullmann, questa dottrina si è sviluppata nel II secolo, influenzata dalla filosofia greca, e successivamente adottata dal cristianesimo.
Chiesa Ortodossa (ca I secolo a.C.)
Nella Chiesa Ortodossa, il concetto di anima è strettamente connesso alla visione globale dell’essere umano, che comprende sia il corpo sia l’anima. Gli ortodossi credono che, alla fine dei tempi, corpo e anima saranno riuniti. Pertanto, la santità di una persona si estende anche al suo corpo, considerato un veicolo di benedizione, permeato e santificato dalla grazia che ha santificato l’anima.
L’escatologia ortodossa, che tratta delle questioni relative all’aldilà, si differenzia da quella occidentale per essere meno giuridica e più incentrata sullo spirito. Secondo la tradizione ortodossa, l’inferno non è concepito come un luogo fisico, ma come uno stato di separazione da Dio, mentre il paradiso è visto come un percorso infinito verso la divinizzazione dell’anima. Questa prospettiva enfatizza il processo di guarigione dal peccato anziché la punizione, considerando il peccato come una malattia che richiede cura.
Mormonismo (1830)
Nella Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (Chiesa LDS o Chiesa mormone), il concetto di anima si discosta da quello delle altre tradizioni cristiane. I mormoni insegnano che l’anima è l’unione di uno spirito pre-mortale con un corpo fisico. Secondo la loro dottrina, ogni individuo esisteva come spirito prima di nascere sulla Terra, e la vita terrena rappresenta un periodo di prova, in cui l’anima deve fare scelte morali.
La teologia mormone spiega che dopo la morte, lo spirito e il corpo saranno temporaneamente separati fino alla risurrezione, quando saranno riuniti in una forma perfetta e immortale. Questo stato di esaltazione costituisce l’obiettivo finale dei credenti mormoni, che aspirano a diventare simili a Dio e a vivere in famiglie eterne nel regno celeste.
Un concetto centrale della fede mormone è l’esaltazione, il processo attraverso il quale i seguaci di Cristo possono raggiungere un livello di divinità paragonabile a quella di Cristo stesso. Nella teologia mormone, Cristo è considerato una figura separata dal Padre e non facente parte della Trinità come nel cristianesimo tradizionale.
Chiesa avventista (1863)
La Chiesa Avventista del Settimo Giorno ha una prospettiva unica sull’anima che la distingue da altre tradizioni cristiane. Gli Avventisti insegnano che l’anima non è una realtà separata dal corpo, ma che l’essere umano è un’unità integrale chiamata anima vivente. Secondo la loro interpretazione delle Sacre Scritture, non esiste un’anima immortale intrinseca al corpo umano.

Dopo la morte, gli Avventisti credono che l’essere umano entri in uno stato di incoscienza, spesso descritto come un “sonno” in attesa della risurrezione. Questo stato è applicabile sia ai giusti che ai peccatori. La dottrina avventista rifiuta l’idea di un’anima che persiste in uno stato di consapevolezza dopo la morte.
Inoltre, gli Avventisti del Settimo Giorno pongono una forte enfasi sulla speranza della seconda venuta di Cristo, durante la quale credono che i defunti in Cristo risorgeranno e saranno riuniti con i loro corpi trasformati in esseri immortali.
Testimoni di Geova (1870)
I Testimoni di Geova presentano una concezione dell’anima notevolmente diversa rispetto a molte altre denominazioni cristiane. Essi negano l’esistenza di un’anima spirituale separata e immortale dal corpo. Secondo la loro visione, l’anima è semplicemente la forza vitale che dà vita al corpo; essa non possiede una propria personalità e non ha capacità di pensiero, parola o udito. Con la morte, questa forza vitale cessa di esistere.
Inoltre, i Testimoni di Geova rifiutano l’idea di un paradiso o di un inferno come luoghi di premio o punizione dopo la morte. Invece, credono che solo un numero limitato di individui, precisamente 144.000, saranno risuscitati o “ricreati” per godere di una vita eterna in cielo, mentre gli altri sperimenteranno una felicità materiale sulla terra.
Per i Testimoni di Geova, la dottrina dell’immortalità dell’anima è considerata un insegnamento religioso popolare non derivante dalla Parola di Dio, ma piuttosto dalla filosofia greca; quindi non accettano tale concetto.
Il concetto di Anima in altre linee di pensiero cristiane
La questione dell’origine dell’anima ha sollevato dibattiti complessi all’interno del cristianesimo. Tra le teorie principali si annoverano il creazionismo dell’anima (IV-V secolo d.C.), il traducianesimo (II-III secolo d.C.) e la preesistenza (II-III secolo d.C.).
- Il creazionismo sostiene che ogni anima sia un’opera diretta di Dio, creata al concepimento o successivamente.
- Il traducianesimo afferma che l’anima si trasmette naturalmente dai genitori.
- La preesistenza, invece, propone che l’anima preesista al concepimento.
Le opinioni variano anche sull’esistenza dell’anima negli embrioni umani, se sia presente dal concepimento o se vi sia un momento specifico tra concepimento e nascita in cui il feto ottiene un’anima, coscienza e/o personalità. Queste diverse interpretazioni influenzano le valutazioni etiche sull’aborto.

Nella concezione tricotomica dell’essere umano (I-II secolo d.C.), sostenuta da alcuni cristiani, distingue tre componenti fondamentali: il corpo fisico (soma), l’entità emotiva e mentale (psiche) e l’elemento spirituale (pneuma). Agostino d’Ippona, una figura chiave del cristianesimo primitivo, vedeva l’anima come una sostanza unica, razionale e preposta al comando del corpo. Nonostante ciò, la maggior parte degli studiosi contemporanei della Bibbia tende a considerare spirito e anima come termini sovrapponibili, propendendo per una visione dicotomica dell’uomo, composto da corpo e anima. Paolo di Tarso, nelle sue lettere, illustra questa lotta interna, descrivendo il corpo in conflitto con l’anima e citando la potenza della parola divina, capace di separare anima e spirito, e di sottomettere il corpo alla volontà spirituale.
La frase «tota in toto corpore» espressa da Tommaso d’Aquino (XIII secolo d.C.) significa che l’anima non è confinata in una specifica parte del corpo, come il cuore o il cervello, ma è diffusa uniformemente in tutto il corpo. In altre parole, ogni parte del corpo umano contiene l’intera anima; l’anima è presente ovunque nel corpo e non è localizzata in un punto specifico. Questo concetto suggerisce anche che l’anima e il corpo sono inseparabili durante la vita, e solo con la morte del corpo l’anima si separa.
Mitraismo iranico e nell’Islam (VII secolo d.C.)

Nell’Islam, si crede che l’anima venga infusa al completamento del quarto mese di gestazione. Questo processo è suddiviso in fasi specifiche secondo la tradizione averroistica: inizialmente, c’è la presenza o l’unione del liquido seminale nell’utero materno, noto come Nutfa, nei primi quaranta giorni di gestazione. Successivamente, tra i quaranta e gli ottanta giorni, si forma un grumo o coagulo di sangue, chiamato Alaqa. Tra gli ottanta e i centoventi giorni, si sviluppa una massa carnea, Mudgha, che corrisponde allo stadio dell’embrione. Infine, oltre i centoventi giorni, avviene l’integrazione dell’anima e l’embrione acquisisce una componente spirituale, fase conosciuta come Khalqan Akhar.
La tradizione averroistica si riferisce a una corrente di pensiero filosofico occidentale dei secoli XIII e XIV che si basava sui commenti del filosofo e matematico arabo Averroè (ʾAbū al-Walīd Muḥammad ibn ʾAḥmad ibn Rušd, 1126-1198) al filosofo greco antico Aristotele (ca 384-322 a.C.).
Il Mitraismo iranico, similmente, promuoveva un percorso iniziatico per la redenzione dell’essenza vitale.
Il Corano, testo sacro dell’Islam, utilizza due termini per indicare l’anima:
- Rūḥ è un termine che viene spesso tradotto come spirito, coscienza, pneuma o anima. È più comunemente usato per indicare lo spirito divino o il soffio della vita. Rappresenta l’essenza immortale che è intrinsecamente buona e pura.
- Nafs, d’altra parte, è un termine che viene tradotto come sé, ego, psiche o anima. È usato per designare la propria indole o caratteristiche. Nella filosofia islamica, la nafs è vista come mortale e comprende desideri e percezioni temporali necessarie per vivere.
Nel contesto dell’Islam, rūḥ e nafs sono due termini che si riferiscono a concetti spirituali profondi e hanno il loro corrispettivo ebraico ruach e nefesh.

Nel Corano, la parola Rūḥ viene menzionata in diversi versetti, in particolare nei capitoli 17, noto come Il viaggio notturno, e 39, chiamato Le truppe. Questi versetti offrono una visione della concezione islamica della Rūḥ:
- Nel capitolo 17, versetto 85, si legge: «Ti pongono domande, [O Muhammad], sulla Rūḥ. Rispondi: “La Rūḥ è un mistero del mio Signore. E alla gente è stata concessa solo una minima conoscenza di essa.”».
- Nel capitolo 7, versetto 206, si trova un richiamo alla presenza divina: «Ricorda il tuo Signore dentro di te.»
- Infine, nel capitolo 39, versetto 42, si descrive il processo della morte e del sonno dal punto di vista islamico: «Allah raccoglie le anime al momento della loro morte, e quelle che non muoiono nel loro sonno. Poi trattiene quelle per cui ha stabilito la morte e rimanda le altre per un periodo determinato. In questo ci sono segni per coloro che riflettono…»
Shintoismo (VIII secolo d.C.)
Nello Shintoismo, una religione prevalentemente giapponese, esiste una netta differenza tra l’anima delle persone viventi, conosciuta come tamashii, e l’anima di coloro che non sono più tra noi, chiamata mitama. Nonostante questa distinzione, entrambe le anime possono presentarsi in diverse forme o aspetti.
- La tamashii è l’essenza spirituale di un individuo in vita, l’energia vitale che dà vita al corpo fisico. È questa forza che ci consente di vivere, pensare e interagire con il mondo fisico.
- D’altro canto, la mitama è lo spirito o l’anima di una persona deceduta. Si crede che, dopo la morte, l’anima di un individuo si trasformi in mitama. Questa mitama può manifestarsi in diversi aspetti o sotto-anime. Ad esempio, l’ara-mitama rappresenta l’aspetto selvaggio o dinamico dello spirito, la nigi-mitama l’aspetto pacifico o armonioso, la saki-mitama l’aspetto della felicità o della benedizione, e la kushi-mitama l’aspetto meraviglioso o miracoloso.
Lo Shintoismo riconosce una complessità nell’anima umana, sia durante la vita che dopo la morte, con la possibilità che emergano diversi aspetti o sotto-anime in vari contesti o momenti.
Sikhismo (XV secolo d.C.)

Nel Sikhismo, l’anima, o atma, è vista come un elemento di Dio, o Waheguru. Questa idea è sostenuta da vari inni nel libro sacro Guru Granth Sahib (SGGS), che afferma: «Dio risiede nell’anima e l’anima è in Dio». Questo concetto è ribadito in diverse parti del SGGS, con frasi come «L’anima è divina; divina è l’anima. Adorala con amore» e «L’anima è il Signore, e il Signore è l’anima; contemplando lo Shabad, si trova il Signore».
L’anima nel Sikhismo è descritta come una “scintilla spirituale” o “luce” all’interno del corpo umano, che dà vita al corpo. Quando questa scintilla lascia il corpo, il corpo diventa inanimato e non può più compiere azioni fisiche, indipendentemente da qualsiasi manipolazione del corpo. L’anima è vista come il “guidatore” del corpo, e la sua presenza è ciò che rende il corpo fisico vivo.
Numerose tradizioni religiose e filosofiche sostengono l’idea dell’anima come una sostanza eterea, uno spirito o una scintilla non materiale, unica per ogni essere vivente. Queste tradizioni vedono spesso l’anima come immortale e intrinsecamente consapevole della sua immortalità, nonché la vera fonte della sensibilità in ogni essere vivente. Il concetto di anima è strettamente legato all’idea di un’esistenza ultraterrena, ma le opinioni su ciò che succede all’anima dopo la morte possono variare notevolmente anche all’interno della stessa religione. Molti vedono l’anima come immateriale, mentre altri la considerano potenzialmente materiale.
Fede Baháʼí (XIX secolo d.C.)

La dottrina Baháʼí sostiene che l’anima è un simbolo divino, un gioiello celestiale la cui essenza è rimasta incompresa anche dai più saggi, e il cui enigma nessuna mente, per quanto perspicace, può sperare di decifrare. Bahá’u’lláh (1817-1892), il profeta iraniano fondatore della Fede Bahá’í e considerato nella tradizione una Manifestazione di Dio, ha proclamato che l’anima non solo sopravvive alla morte fisica del corpo, ma è in realtà immortale.
Il Paradiso può essere interpretato come uno stato di vicinanza dell’anima a Dio, mentre l’Inferno come uno stato di distanza da Dio. Questi stati sono il risultato naturale degli sforzi personali, o della loro assenza, per crescere spiritualmente. Bahá’u’lláh ha insegnato che gli individui non esistono prima della loro vita terrena e che l’evoluzione dell’anima è costantemente diretta verso Dio, allontanandosi dal mondo materiale con la morte fisica.
Scientology (XX secolo d.C.)

Scientology, religione fondata negli anni Cinquanta da Lafayette Ronald Hubbard (noto semplicemente come L. Ron Hubbard, 1911-1986), sostiene che l’individuo non possiede un’anima, ma piuttosto, è un thetan, un termine derivato dal greco theta (Θ; θ o ϑ), che rappresenta il pensiero. Questa visione dell’anima come entità immortale che può scegliere di reincarnarsi è centrale nella dottrina di Scientology.
La religione non impone le sue conclusioni, ma lascia che gli aderenti giungano alle proprie. Gli Scientologist (adepti alla religione) credono che le azioni e le scelte di vita di un individuo influenzino la sua felicità futura e la sua immortalità. L’auditing (o consulenza di Scientology), si concentra sull’anima per potenziare le sue capacità, sia terrene che spirituali. Queste idee sono in sintonia con le credenze delle cinque principali religioni del mondo.
Spiritualità New Age (XX secolo d.C.)
Nel contesto delle culture e delle tradizioni che vengono raggruppate sotto l’etichetta di New Age, il concetto di anima è esplorato attraverso diverse prospettive filosofiche e spirituali. Queste visioni condividono una tendenza verso la comprensione dell’anima come entità intrinsecamente legata all’essenza dell’individuo, un nucleo immateriale che trascende la realtà fisica.
Le correnti di pensiero New Age spesso interpretano l’anima come un ponte tra il mondo materiale e quello spirituale, un veicolo per l’evoluzione personale e collettiva. Si ritiene che l’anima possieda una saggezza innata e una connessione con l’universo che, se ascoltata e seguita, può guidare l’individuo verso un percorso di crescita interiore e illuminazione.
Inoltre, si considera l’anima come parte di una coscienza collettiva, un’entità che partecipa a un flusso di energia universale che collega tutti gli esseri viventi. Questa visione enfatizza l’interdipendenza di tutte le forme di vita e la responsabilità di ogni anima nel contribuire all’armonia e all’equilibrio del tutto.
Molte pratiche New Age incoraggiano tecniche di meditazione, guarigione energetica e altre forme di lavoro interiore come mezzi per accedere e coltivare le potenzialità dell’anima, promuovendo così un’esistenza più consapevole e realizzata. Vediamone alcune.
Il concetto di Anima nella Brahma Kumaris (XX secolo d.C.)

La Brahma Kumaris ha avuto origine nel XX secolo, specificamente nel 1936, con la sua fondazione ad opera di Dada Lekraj (1876-1969), noto anche come Brahma Baba. Questo movimento spirituale ebbe inizio a Hyderabad, nel Sindh, regione che all’epoca apparteneva all’India. Nella filosofia della Brahma Kumaris, le anime umane sono viste come entità incorporee e eterne, esistenti al di fuori dei confini del tempo e dello spazio fisico. Questa visione sostiene che ogni anima umana sia un punto di luce immortale, un essere di energia pura che mantiene la sua individualità e identità attraverso il ciclo infinito di nascita, morte e rinascita.
Dio, nell’insegnamento della Brahma Kumaris, è venerato come l’Anima Suprema, una fonte di luce e verità che supera tutte le anime umane. È descritto come l’epitome delle qualità spirituali più elevate, un essere di pace inalterabile, amore incondizionato e purezza assoluta. Questa entità divina è considerata l’origine e il punto di riferimento finale per tutte le anime, offrendo loro guida e conforto. Tuttavia, attraverso il processo di reincarnazione e l’accumulo di karma, si ritiene che queste qualità si siano offuscate. La pratica spirituale nella Brahma Kumaris mira a ristabilire la connessione con l’Anima Suprema, permettendo alle anime di riscoprire e manifestare le loro qualità innate di pace, amore e purezza.
Gli insegnamenti della Brahma Kumaris enfatizzano l’importanza della meditazione e della consapevolezza spirituale come strumenti per raggiungere questo obiettivo. Attraverso la meditazione Raja Yoga, i praticanti cercano di sperimentare un legame personale con l’Anima Suprema, attingendo alla sua forza e saggezza per trasformare la propria vita e il mondo circostante. In questo modo, si aspira a creare un’età d’oro di armonia e felicità, un paradiso terrestre in cui le anime umane vivono in perfetta sincronia con le loro qualità divine.
Teosofia (1875)

Nella visione teosofica di Helena Blavatsky (1831-1891), occultista e medium russa, l’anima umana è concepita come il fulcro dell’attività psicologica, comprendendo il pensiero, le emozioni, la memoria, i desideri e la volontà. È anche il dominio in cui si manifestano fenomeni che sfidano l’ordinaria percezione sensoriale, come la percezione extrasensoriale (ESP) e le esperienze extracorporee (OOBE). Questi aspetti dell’anima riflettono la sua natura complessa e multidimensionale, che abbraccia tanto le esperienze terrene quanto quelle che trascendono il fisico.
Tuttavia, secondo Blavatsky, l’anima non rappresenta il vertice dell’essere umano. Al di sopra di essa si erge lo spirito, la vera essenza dell’individuo, la scintilla divina che è fonte di tutte le qualità nobili e virtuose come la felicità, la saggezza, l’amore, la compassione, l’armonia e la pace. Lo spirito è descritto come eterno e incorruttibile, la parte immutabile dell’essere che rimane pura e costante.
L’anima, a differenza dello spirito, è soggetta a cambiamento e può essere corrotta dalle influenze materiali. Essa opera come un ponte tra il corpo fisico e lo spirito, partecipando sia alla realtà terrena che a quella spirituale. In questo senso, l’anima è il terreno su cui si svolge la lotta tra le forze del bene e del male, tra le aspirazioni elevate e le tentazioni terrene.
La Teosofia sostiene, infatti, che l’anima evolve attraverso le sue esperienze e scelte. Quando l’anima si orienta verso lo spirito e aspira alle sue qualità divine, inizia un processo di purificazione e trasformazione. Questo cammino spirituale è spesso descritto come un percorso di risveglio e di realizzazione del sé, in cui l’anima si eleva al di sopra delle limitazioni materiali e si unisce allo spirito. In questo stato di unione, l’anima si trasfigura, diventando eterna e partecipando alla divinità dello spirito.
La Teosofia incoraggia quindi la ricerca interiore e la pratica spirituale come mezzi per facilitare questa elevazione dell’anima. Attraverso la meditazione, lo studio delle scritture sacre e la pratica di virtù elevate, si cerca di coltivare una connessione più profonda con lo spirito e di vivere una vita che rifletta le sue qualità sublimi. In questo modo, l’anima si avvicina al suo obiettivo finale: la fusione con lo spirito e la realizzazione del vero sé.
Antroposofia (XX secolo d.C.)
Nella prospettiva teosofica di Rudolf Steiner (1861-1925), fondatore dell’antroposofia, l’essere umano è costituito da tre elementi fondamentali: il corpo, l’anima e lo spirito, i quali interagiscono sinergicamente per determinare l’esperienza sulla Terra.
- Il Corpo rappresenta l’aspetto fisico che consente all’individuo di percepire e interagire con il mondo materiale attraverso i sensi. È tramite il corpo che si sperimentano e si interpretano le percezioni sensoriali, quali colori, forme, sapori, odori e suoni.
- L’Anima funge da intermediario tra il mondo esterno e l’individuo. È il campo dove si manifestano i processi psicologici, come il pensiero, le emozioni, la memoria e i desideri. L’anima elabora queste esperienze e reagisce ad esse, provando gioia o dolore, felicità o tristezza, attrazione o repulsione. Attraverso l’anima, le percezioni sensoriali acquisiscono significato e valore personale.
- Lo Spirito rappresenta l’essenza più elevata dell’individuo, fonte di qualità positive come felicità, saggezza, amore, compassione, armonia e pace. Lo spirito è eterno e incorruttibile, costituendo l’elemento immutabile dell’essere umano.

Secondo Steiner, l’anima funge da ponte tra il mondo fisico e quello spirituale, potendo essere attratta sia verso la materia che verso lo spirito, dando così origine a un conflitto interiore tra bene e male. L’anima evolve e si purifica attraverso le esperienze e le scelte compiute, e quando si orienta verso lo spirito, inizia un processo di trasformazione che culmina nell’unione con esso, rendendo così l’anima eterna e partecipe della sua divinità.
Steiner individua anche diverse suddivisioni dell’anima e dello spirito, le prime tre chiamate stadi tricotomici classici dello sviluppo dell’anima:
- L’anima senziente: si concentra sulle sensazioni, le pulsioni e le passioni, caratterizzata da una marcata volontà e emotività. Questo livello dell’anima è fortemente coinvolto nei processi conativi, ossia quelli legati alla volontà e all’azione.
- L’anima intellettuale (o mente mentale): elabora e riflette sull’esperienza esterna, integrando sia componenti affettive che cognitive. Qui, il sentimento e il pensiero giocano un ruolo predominante, contribuendo alla comprensione e all’interpretazione del mondo circostante.
- L’anima cosciente si impegna nella ricerca di verità universali e oggettive. Questo livello dell’anima si distingue per la sua aspirazione a comprendere la realtà in modo razionale e obiettivo, cercando di accedere a conoscenze che vanno al di là delle esperienze individuali e contingenti.
Inoltre, sempre secondo Steiner, l’uomo è costituito da tre aspetti spirituali distinti:
- Il sé spirituale: rappresenta l’essenza più elevata dell’individuo, la sua vera identità spirituale. È la parte di noi che è in connessione diretta con il divino e con l’universo, e che può essere considerata come l’incarnazione della nostra vera natura spirituale.
- Lo spirito vitale: è l’aspetto dell’essere umano che sostiene la vitalità e l’energia della vita stessa. È responsabile della vitalità fisica e dell’equilibrio tra corpo, mente e spirito. Questo spirito vitale anima e nutre il corpo fisico, permettendo all’individuo di vivere e di sperimentare la realtà terrena.
- L’uomo spirituale: è il risultato del processo evolutivo attraverso il quale l’individuo si avvicina sempre più al suo sé spirituale. È colui che ha sviluppato una consapevolezza spirituale più elevata e che vive in armonia con la propria natura spirituale. L’uomo spirituale è in grado di percepire e di comprendere i principi spirituali fondamentali che guidano l’universo, e agisce di conseguenza nella sua vita quotidiana.
Questa complessa struttura riflette la concezione teosofica dell’essere umano come un ente multidimensionale, dove ogni componente contribuisce al processo evolutivo spirituale dell’individuo.
L’Anima per la Scienza (XX secolo d.C.)
La Scienza, basandosi su metodologie empiriche e osservazioni, non ha trovato evidenze tangibili dell’esistenza di un’anima come entità separata dal corpo fisico. Secondo lo scienziato cognitivo americano Julien Musolino, la visione scientifica attuale suggerisce che la mente sia un complesso fenomeno che opera in accordo con le leggi fisiche che regolano l’universo.
La ricerca sull’anima ha contribuito significativamente alla nostra comprensione dell’anatomia e della fisiologia umana, con particolare impatto nei settori della cardiologia e della neurologia. Esistono due visioni contrastanti sull’anima: una la concepisce come un’entità spirituale e immortale, mentre l’altra la considera materiale e mortale. Entrambe queste visioni differiscono riguardo alla localizzazione dell’anima, alcune la vedono confinata in un organo specifico, mentre altre la immaginano diffusa in tutto il corpo.
L’Anima per la Neuroscienza e le esperienze pre-morte (NDE)

Gli studi nel campo della neuroscienza suggeriscono che le esperienze di pre-morte (NDE, sigla dell’espressione inglese Near Death Experience) potrebbero derivare da una disfunzione nell’integrazione delle percezioni sensoriali del corpo, manifestandosi in situazioni di grave pericolo per la vita. Questa interpretazione è supportata da ricerche che indicano un’attività cerebrale insolita, come un aumento dei neurotrasmettitori, durante tali eventi. Alcuni studiosi, tra cui Sam Parnia, vedono nelle NDE una possibile sfida alle teorie materialiste che considerano la mente come un’esclusiva manifestazione dell’attività cerebrale. Parnia propone che la mente potrebbe essere influenzata dal cervello ma non esclusivamente generata da esso, offrendo così una spiegazione plausibile per le NDE.
Le NDE sono descritte come esperienze vivide e trasformative che si verificano in condizioni fisiologiche estreme come traumi, arresto dell’attività cerebrale, anestesia generale profonda o arresto cardiaco, in cui la consapevolezza o le esperienze sensoriali non dovrebbero essere possibili secondo la nostra attuale comprensione neuroscientifica. Queste esperienze includono sensazioni di pace, visioni di luce intensa, incontri con entità o familiari defunti e revisioni della propria vita.
Inoltre, è stato osservato che le NDE possono avere effetti psicologici a lungo termine, come una riduzione della paura della morte e un aumento dell’altruismo e del senso di scopo nella vita. Tali cambiamenti indicano che le NDE potrebbero avere implicazioni significative per la nostra comprensione della coscienza umana e della relazione tra mente e corpo.

La ricerca continua a indagare su queste esperienze, cercando di approfondire la loro natura e le implicazioni per il nostro modello di coscienza. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che le NDE potrebbero essere causate da un’esplosione di attività elettrica nel cervello subito dopo un arresto cardiaco. Altri ritengono che le sensazioni di uscire dal proprio corpo possano essere un’illusione causata da una disfunzione nella giunzione temporo-parietale del cervello. Tuttavia, queste teorie non spiegano completamente la ricchezza e la diversità delle esperienze riportate dai soggetti, e il dibattito rimane aperto.
L’Anima per la Fisica
Il confronto sull’esistenza dell’anima e la sua coerenza con le leggi della fisica rappresenta un tema complesso coinvolgente sia la fisica teorica che la neuroscienza. Sean M. Carroll, fisico teorico, argomenta che l’idea di un’anima contrasta con i principi della teoria quantistica dei campi (QFT). Egli sottolinea che accettare l’esistenza di un’anima richiederebbe una revisione radicale della fisica attuale. Secondo la QFT, non vi è spazio per entità come particelle spirituali o forze spirituali, poiché non sono state rilevate da esperimenti scientifici.
Al contrario, alcuni hanno suggerito l’indeterminismo quantistico come possibile spiegazione dell’interazione tra l’anima e il cervello. L’indeterminismo quantistico è un concetto importante nella fisica quantistica che si oppone al determinismo classico. In breve, significa che a livello microscopico, non possiamo predire esattamente cosa accadrà, ma solo calcolare le probabilità degli eventi futuri. Questo principio è legato al principio di indeterminazione di Werner Karl Heisenberg (1901-1976), che afferma che non possiamo conoscere simultaneamente con precisione sia la posizione sia la velocità di una particella. Più precisamente conosciamo una di queste proprietà, meno precisamente possiamo sapere l’altra.
Quindi, immaginate un elettrone. Non possiamo dire esattamente dove si troverà in un dato momento, ma solo calcolare la probabilità di trovarlo in diverse posizioni. Questo concetto ha suscitato discussioni filosofiche riguardo al libero arbitrio e alla natura della realtà, poiché mette in discussione l’idea che l’universo sia completamente prevedibile come suggerito dalla fisica classica. Alcuni pensatori vedono l’indeterminismo come una caratteristica fondamentale del mondo naturale, mentre altri lo considerano una conseguenza della nostra mancanza di conoscenza o delle limitazioni delle attuali teorie scientifiche.
Tuttavia, il neuroscienziato Peter Clarke (1929-2014) ha criticato questa teoria, sottolineando la mancanza di evidenze a supporto del ruolo di tali processi indeterministici nella funzione cerebrale. Egli conclude che l’idea di un’anima separata dal corpo, come proposta da Cartesio (René Descartes, 1596-1650), non trova fondamento nella fisica quantistica attuale.




Carroll, nel suo lavoro, fa riferimento all’Effective Field Theory (EFT), il paradigma dominante nella fisica teorica moderna. Questo modello fornisce una visione chiara: ogni EFT ha un dominio di validità ben definito. La Core Theory, parte integrante dell’EFT, è stata testata in un’ampia gamma di condizioni, coprendo tutte le scale energetiche rilevanti per la vita quotidiana, il che suggerisce che le leggi della fisica conosciute siano sufficienti per spiegare i fenomeni della vita di tutti i giorni.
In sintesi, sebbene la fisica quantistica abbia trasformato la nostra comprensione dell’universo a livello microscopico, attualmente non offre una base scientifica per l’esistenza di un’anima che interagisce con il cervello in modo non fisico.
Biocentrismo (1970)
Il Biocentrismo, teoria avanzata dallo scienziato Robert Lanza, presenta un’interpretazione del mondo in cui la vita e la coscienza giocano un ruolo centrale nella nostra comprensione dell’universo. Secondo questa prospettiva, non solo la biologia ha un posto primario nell’universo, ma è la coscienza stessa a determinare la realtà che percepiamo.
Nel contesto del Biocentrismo, si considera l’anima come una manifestazione della coscienza che supera i confini temporali e spaziali. Lanza argomenta che la coscienza, o l’anima, non scompare alla morte del corpo fisico, ma continua a esistere nell’ambito dell’universo. Questo punto di vista si discosta dalla concezione materialistica tradizionale, che identifica la coscienza come un prodotto del cervello destinato a svanire con esso.
Il Biocentrismo si fonda su sette principi che ridefiniscono la nostra comprensione di realtà, tempo e spazio, suggerendo che la presenza di un osservatore cosciente sia fondamentale per la manifestazione della materia. Ad esempio, uno di questi principi afferma che senza un osservatore cosciente, la materia‘esisterebbe solo come un insieme di possibilità indeterminate.
In questa prospettiva, l’anima non può essere quantificata o rilevata tramite i tradizionali metodi scientifici, ma è piuttosto una parte intrinseca dell’universo che contribuisce alla formazione della realtà come la conosciamo. Il Biocentrismo sfida il paradigma scientifico convenzionale, presentando una visione in cui la coscienza e la vita non sono solo essenziali, ma anche eternamente presenti.
La teoria Orch OR
Roger Penrose, matematico e fisico che fa parte della Royal Society e il medico anestesista Stuart Hameroff, hanno avanzato una teoria rivoluzionaria sulla coscienza, chiamata Orchestrated Objective Reduction (Orch OR), che potrebbe influenzare il nostro concetto di anima. Secondo questa teoria, la coscienza non sarebbe il risultato delle connessioni tra i neuroni, ma avrebbe origine a livello quantistico all’interno dei microtubuli cellulari.



(fonte: David Levenson/Getty Images)

Nella teoria dell’Orch OR, i microtubuli delle cellule svolgono un ruolo importante nel creare stati quantistici che potrebbero formare la base della nostra coscienza. Questa idea combina conoscenze da diverse aree scientifiche, come la biologia, la neuroscienza e la fisica quantistica.
Per capire meglio, possiamo immaginare i microtubuli come piccole strutture all’interno delle cellule, simili a tubi. Si ipotizza che al loro interno ci siano delle oscillazioni, movimenti o vibrazioni, che possono essere di natura elettrica o magnetica. Queste vibrazioni potrebbero essere importanti per generare la nostra coscienza. L’orchestrazione, in questa teoria, si riferisce al modo in cui alcune proteine all’interno delle cellule influenzano queste oscillazioni nei microtubuli. È come se queste proteine dirigessero un’orchestra, determinando come si muovono le vibrazioni all’interno dei microtubuli.

Anche se questa teoria ha ricevuto alcune critiche, rimane una delle poche che cerca di spiegare come la nostra coscienza possa essere collegata a processi quantistici nel nostro cervello. Questo tipo di spiegazione potrebbe avere implicazioni significative per il modo in cui comprendiamo concetti come l’anima.
L’Anima in Parapsicologia (XX secolo d.C.)

Nel campo della parapsicologia, il concetto di anima è stato oggetto di indagine e speculazione per decenni, se non per secoli. La questione centrale che ha guidato molte delle ricerche è se l’anima possa essere considerata un’entità distinta, immateriale e autonoma rispetto al cervello fisico, oppure se essa sia semplicemente una proiezione di processi neurobiologici. Questa idea affonda le sue radici non solo nelle antiche credenze religiose e spirituali – dove l’anima viene spesso identificata come l’essenza eterna e immortale dell’essere umano – ma anche in numerose correnti filosofiche e metafisiche che, nel corso della storia, hanno attribuito all’anima funzioni di guida, memoria, identità e coscienza.
Nel corso del Novecento, diversi parapsicologi, ricercatori indipendenti e scienziati non convenzionali hanno tentato di superare la barriera dell’invisibilità dell’anima attraverso approcci sperimentali innovativi. Alcuni hanno esplorato fenomeni come le esperienze extracorporee, le NDE (esperienze di pre-morte), i casi di reincarnazione documentati nei bambini, e le manifestazioni medianiche, nel tentativo di ottenere evidenze indirette dell’esistenza di una componente non fisica nell’essere umano. Questi studi, spesso condotti in condizioni poco ortodosse, si sono concentrati sulla possibilità che l’anima possa non solo sopravvivere alla morte fisica, ma anche manifestarsi in modo osservabile attraverso canali anomali, come la trance medianica, i ricordi di vite passate o i cosiddetti “drop-in communicators”.

Tuttavia, nonostante l’impegno e la varietà di approcci, molti esperimenti non sono riusciti a fornire risultati ripetibili o scientificamente solidi. Figure come l’illusionista Milbourne Christopher (1914-1984), noto per il suo approccio scettico ma informato, già nel 1979 sottolineava come le prove presentate fossero spesso frutto di autoinganno, errori metodologici o bias di conferma. Analogamente, la giornalista e scrittrice Mary Roach, nel suo libro Spook: Science Tackles the Afterlife (2010), ha documentato con rigore e ironia molti tentativi fallimentari di misurare o localizzare l’anima, come l’esperimento del dottor Duncan MacDougall (1866-1920) agli inizi del Novecento, che cercò di quantificare il “peso dell’anima” al momento della morte.
Oggi, la comunità scientifica mainstream continua a non riconoscere l’esistenza dell’anima come una realtà empiricamente dimostrabile. Il concetto stesso è ritenuto non falsificabile, e quindi non compatibile con il metodo scientifico tradizionale. La parapsicologia contemporanea, pur continuando a esplorare questa e altre tematiche legate alla coscienza, alla sopravvivenza post-mortem e alla natura dell’identità umana, si trova spesso a metà strada tra l’ambito scientifico e quello filosofico, senza riuscire a stabilire un ponte solido tra le due sponde. La mancanza di risultati concreti, replicabili e universalmente accettati fa sì che l’anima rimanga, almeno per ora, più un oggetto di fede, introspezione o riflessione metafisica, che una realtà osservabile e misurabile.
Il Peso dell’Anima
Il Peso dell’Anima è un concetto che ha affascinato l’umanità sin dall’antichità, attraversando secoli di dibattiti filosofici, religiosi e scientifici. Già nelle antiche civiltà, come quella egizia, si credeva che l’anima avesse un peso tangibile, simboleggiato dalla cerimonia della Pesatura del Cuore.

Anubi svolgeva un ruolo vitale come dio dei riti funebri e della mummificazione, oltre a essere il giudice delle anime dei defunti. Durante la Pesatura del Cuore, un rituale cruciale, Anubi guidava le anime nel Duat, l’oltretomba, e sovrintendeva alla bilancia su cui i cuori venivano valutati. Anubi non valutava il peso fisico dell’anima, ma piuttosto la purezza e la moralità dell’individuo, confrontando il peso simbolico del cuore con la piuma di Ma’at (o Maat). Questo rito sottolineava l’importanza dell’equilibrio morale e dell’integrità nella vita, in accordo con i principi dell’ordine cosmico stabiliti dagli dei.
Quindi, seppure Anubi non pesasse l’anima nel senso fisico, esaminava però se le azioni compiute durante la vita del giudicato fossero in armonia con i principi di Ma’at, permettendo così all’anima di procedere nel suo viaggio nell’aldilà.
Nelle tradizioni mitologiche al di fuori dell’Egitto, il tema della pesatura dell’anima è presente in varie culture e religioni. Uno degli esempi più noti è quello della tradizione cristiana medievale, dove l’Arcangelo Michele è comunemente raffigurato con delle bilance per pesare le anime delle persone nel Giorno del Giudizio.
Nella mitologia greca, il concetto di pesatura dell’anima, o psychostasia, è rappresentato in diversi contesti. Ad esempio, durante il duello tra Achille ed Ettore nell’Iliade (attribuito a Omero, VIII secolo a.C.), Zeus, stanco della battaglia, appende le sue bilance d’oro e vi pone le Keres, simboli dei destini mortali. In seguito, la psychostasia era considerata prerogativa di Minos, giudice dei defunti nell’Ade.

Pietro Testa (fonte: The Metropolitan Museum of Art di New York City)
Nella letteratura dei Mandei (testi sacri della comunità religiosa della Mesopotamia meridionale e delle regioni limitrofe dell’Iran, I-II secolo d.C.), Abatur, un essere angelico, ha la responsabilità di pesare le anime dei defunti per determinarne il valore, utilizzando un set di bilance.
Questa nozione del peso dell’anima si è perpetuata fino al secolo scorso, quando il dottor Duncan MacDougall condusse un esperimento che divenne famoso per la sua affermazione audace: l’anima umana potrebbe avere un peso misurabile. Nel 1901, MacDougall pesò alcuni pazienti in fin di vita, cercando di rilevare una possibile diminuzione di peso al momento della loro morte, attribuita alla partenza dell’anima dal corpo.
Posizionò i letti dei pazienti su delle bilance sensibili e registrò il loro peso prima e dopo la loro morte. In un caso, notò una perdita di peso di circa 21 grammi al momento della morte. Questo risultato insolito lo portò a concludere che tale perdita corrispondesse al peso dell’anima. Tuttavia, è importante notare che questa conclusione si basava solo su un singolo paziente e che altri risultati contrastanti furono scartati.




Negli anni successivi, l’esperimento di MacDougall è stato criticato pesantemente. Il fisico Robert Lee Park (1931-2020) ha commentato che tali esperimenti «non sono considerati oggi come aventi alcun merito scientifico». Anche lo psicologo Bruce Hood ha sollevato dubbi sulla validità scientifica delle scoperte di MacDougall, sottolineando che «poiché la perdita di peso non era affidabile o replicabile, le sue scoperte non erano scientifiche».
Oggi, la comunità scientifica riconosce che l’esperimento di MacDougall presentava numerosi difetti metodologici, tra cui la dimensione ridotta del campione e la mancanza di replicabilità dei risultati. Inoltre, l’idea che l’anima possa essere pesata è in contrasto con la comprensione attuale dell’anima come un concetto non materiale e non quantificabile.
Mentre l’esperimento di MacDougall rimane una curiosità storica, la ricerca scientifica moderna non supporta l’idea che l’anima umana abbia un peso fisico. La questione dell’esistenza e della natura dell’anima continua ad essere un tema di riflessione filosofica e spirituale, piuttosto che un oggetto di indagine scientifica empirica.
La perdita dell’Anima

Nelle credenze tradizionali di molte culture in tutto il mondo, si ritiene che l’anima, quando lascia il corpo, si diriga verso la terra dei morti. Man mano che si avvicina a questa destinazione, la persona da cui l’anima si è separata diventa sempre più debole. In tali circostanze, è compito dello sciamano o del tramite (medium) cercare l’anima o combattere per essa se è posseduta da (o in conflitto con) uno spirito maligno, e riportarla nel corpo.
La partenza temporanea dell’anima dal corpo potrebbe causare malattie, mentre la sua partenza permanente potrebbe provocare la morte del corpo. Nel sistema di credenze animistiche, si ritiene che l’anima di una persona, o una delle sue anime, possa staccarsi dal corpo e vagare durante i sogni notturni. Si ritiene che alcune persone, in particolare gli sciamani, siano in grado di volere e controllare tali vagabondaggi, che potrebbero effettivamente essere esperienze extracorporee. Questi vagabondaggi sono considerati normali e non sarebbero motivo di preoccupazione, a meno che l’anima, per un motivo o per l’altro, non riesca a ritrovare la via per tornare al suo corpo.
La perdita dell’anima può avere diverse cause. Può accadere a causa del fantasma di una persona recentemente deceduta che è riuscito a allontanare l’anima. Può anche essere dovuta a riti di stregoneria o all’azione di esseri soprannaturali malevoli, oppure può derivare da lesioni esterne o shock fisici al corpo. Alcuni ricercatori psichici ritengono può causare la morte di una persona svegliandola all’improvviso, prima che l’anima sia tornata dai suoi vagabondaggi notturni.
Le malattie che derivano dalla perdita dell’anima sono principalmente di natura psicologica. Svenimenti, attacchi epilettici, coma e varie altre perdite di coscienza sono buoni indicatori di perdita dell’anima.
La perdita dell’anima può anche avvenire senza che il suo proprietario subisca alcun effetto negativo. In questi casi, la persona potrebbe non essere a conoscenza del fatto che la sua anima è stata lontana finché non viene informata dallo sciamano. Lo sciamano potrebbe essere venuto a conoscenza della situazione in sogno e aver preso provvedimenti per correggerla.
Conclusioni
Viviamo in un’epoca in cui la scienza ha raggiunto traguardi che un tempo sembravano roba da fantascienza… eppure, quando si parla di anima, ci troviamo ancora davanti a un grande punto interrogativo. Cos’è davvero? Dove si trova? Esiste? Nessuno lo sa con certezza. E proprio qui secondo me si apre uno dei dibattiti più affascinanti di sempre.
Thomas Kuhn (1922-1996), che non era certo l’ultimo arrivato, ci ha fatto capire che i cosiddetti “paradigmi scientifici” non sono scritti nella pietra: possono cambiare, evolvere, e sì… anche essere completamente ribaltati. Oggi il paradigma dominante è quello materialista: tutto è ridotto a reazioni chimiche, sinapsi, proteine, carbonio. Insomma, se non lo puoi misurare o vedere, per la scienza ufficiale quasi non esiste.
Dall’altro lato, le religioni ci parlano dell’anima come qualcosa di eterno, trascendente, fuori dal tempo e dallo spazio. La scienza moderna, invece, tende a ridurre l’anima alla mente, alla coscienza, al massimo a qualche fenomeno cerebrale ancora poco compreso. Ma diciamocelo: per quanto le neuroscienze abbiano fatto passi da gigante, la vera natura del Sé rimane un mistero.




E qui viene il bello: negli ultimi anni stanno emergendo idee fuori dagli schemi, come il biocentrismo, che rovescia tutto e mette vita e coscienza al centro dell’universo. Secondo questa visione, potremmo essere più di semplici corpi con un cervello: potremmo essere coscienze che vivono in un universo fatto per essere vissuto. E non è una visione solo poetica: esperimenti come quello condotto da Stefan Gerlich con le grandi molecole organiche e l’interferenza quantistica sembrano suggerire che le stranezze della meccanica quantistica ci riguardino molto più da vicino di quanto pensassimo.
Certo, ci sono scienziati che iniziano a usare il termine “anima” con un’accezione più simbolica, legata alla coscienza o al senso profondo della vita… e altri che continuano a negarne l’esistenza. Ma io penso che, con tutte queste nuove scoperte, stiamo cominciando a vedere un quadro più complesso, quasi multidimensionale, in cui potrebbe anche esserci spazio per qualcosa che assomiglia davvero a un’anima.

Personalmente, credo che cercare l’anima – nostra o degli animali – non sia solo una curiosità filosofica, ma una parte fondamentale del nostro viaggio umano. E forse aveva ragione Lee Smolin (e altri come lui) quando ipotizzava che l’universo stesso sia un essere vivente. Un gigantesco organismo cosmico, che pulsa, respira… e magari, chissà, ha pure una coscienza. O un’anima.