Le Esperienze di Pre-Morte, o NDE (dall’inglese Near-Death Experiences), sono fenomeni che si verificano in persone che si trovano in uno stato di vicinanza alla morte o in condizioni critiche che potrebbero portare al decesso. Questi racconti, che spaziano dall’esperienza di un’uscita dal corpo alla percezione di una luce intensa e amorevole, attraversano una vasta gamma di temi che abbracciano la spiritualità, la reincarnazione, e persino le tesi scientifiche legate alla coscienza e al cervello.
Le NDE sono complesse e multifaccettate, e sono state raccontate in contesti e culture diverse, dal medioevo fino ai giorni nostri. Le testimonianze variano, ma alcuni elementi ricorrenti includono la sensazione di galleggiare sopra il proprio corpo, l’incontro con entità o persone decedute, e una revisione della propria vita, spesso accompagnata da un forte senso di pace o amore.
Esplorare appieno il fenomeno delle Esperienze di Pre-Morte (note anche come Esperienze ai confini della morte) richiede un’analisi approfondita e articolata. Scrivere un singolo articolo su questo argomento sarebbe riduttivo e incapace di catturarne tutte le implicazioni. Per questo motivo, dedicherò una serie di articoli a questa tematica, affrontando gradualmente le diverse sfaccettature, dalle implicazioni scientifiche alle interpretazioni spirituali, per offrire un panorama il più esaustivo possibile su un fenomeno che continua a interrogare l’umanità.
In questo primo articolo sulle NDE verranno esplorate le caratteristiche fondamentali del fenomeno, offrendo una panoramica generale sull’argomento.
Cosa sono le Esperienze di Pre-Morte
Le Esperienze di Pre-Morte sono fenomeni riportati da persone che, dopo essere state dichiarate clinicamente morte o in condizioni molto gravi per incidenti o malattie, sono state rianimate. Questi individui raccontano stati alterati di coscienza, come la sensazione di viaggiare attraverso un tunnel verso una luce brillante o di fluttuare fuori dal proprio corpo osservando i tentativi di rianimazione.
Le NDE si verificano spesso durante condizioni di morte clinica reversibile, come l’arresto cardiaco o l’encefalogramma piatto. Alcuni riferiscono queste esperienze anche dopo situazioni in cui erano in pericolo di vita, come durante interventi chirurgici o gravi incidenti. Le sensazioni descritte durante le NDE variano da percezioni positive, come la pace, la serenità, la visione di una luce calda e l’incontro con parenti defunti, a esperienze negative, come angoscia e visioni infernali.
Le interpretazioni delle NDE variano: i neuroscienziati le attribuiscono a processi fisiologici, come la confusione sensoriale causata dal trauma, mentre chi ha credenze religiose o trascendentali tende a vederle come prove di un’esistenza oltre la morte o della sopravvivenza dell’anima. Le teorie scientifiche includono spiegazioni psicologiche e biologiche, come la ridotta ossigenazione del cervello che potrebbe causare visioni di tunnel, mentre altre ipotesi si focalizzano su esperienze psichiche come il ricordo del passaggio attraverso il canale del parto.




Le NDE hanno attirato l’interesse di studiosi di diverse discipline, come psicologi e sociologi, e sono state studiate approfonditamente a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, anche grazie a organizzazioni come l’International Association for Near-Death Studies (IANDS). Alcuni ricercatori, come Kenneth Ring (professore di psicologia all’Università del Connecticut) e Melvin L. Morse, hanno esplorato il fenomeno in modo dettagliato, specialmente tra i bambini. In generale, circa il 17% delle persone che hanno vissuto esperienze di quasi morte riferisce di aver avuto una NDE, e il fenomeno è documentato in numerosi paesi e tra persone di diverse credenze, inclusi religiosi e atei.
Etimologia del termine e primi studi
Il termine francese Expérience de mort imminente (Esperienza di morte imminente) fu introdotto dal psicologo ed epistemologo Victor Egger (1848-1909) negli anni 1890, durante discussioni tra filosofi e psicologi in merito ai racconti degli scalatori che riferivano di rivivere momenti della loro vita durante cadute pericolose. Nel 1892, il geologo svizzero Albert Heim (1849-1937) documentò diverse esperienze di individui che si erano trovati in situazioni di pericolo di vita, tra cui lavoratori caduti da impalcature, soldati feriti, e persone coinvolte in quasi annegamenti e incidenti. Fu il primo a descrivere tali esperienze come una sindrome clinica.




Nel 1968, la filosofa e parapsicologa Celia Green pubblicò uno studio su quattrocento resoconti di esperienze extracorporee (OBE o OOBE, acronimi inglesi per Out-of-Body Experience), proponendo una classificazione di tali fenomeni, considerati all’epoca come percezioni anomale o allucinazioni. Nel 1969, la psichiatra Elisabeth Kübler-Ross (1926-2004) pubblicò La morte e il morire (On Death & Dying), un libro pionieristico sul tema della morte e su ciò che i morenti possono insegnare ai professionisti sanitari e alle loro famiglie.

Il termine Esperienza di Pre-Morte fu utilizzato per la prima volta nel 1972 dallo psicoanalista e neuroscienziato statunitense John Cunningham Lilly (1915-2001) e reso popolare nel 1975 dal parapsicologo Raymond A. Moody Jr. con il suo libro Life After Life. In esso, Moody descrisse una serie di fenomeni comuni alle esperienze di pre-morte (NDE), tra cui esperienze extracorporee (OOBE), la revisione della vita, la visione di una luce e il passaggio attraverso un tunnel. Queste esperienze sono coerenti in diverse culture e spesso ricordano i viaggi sciamanici e astrali.
Dopo la pubblicazione di Life After Life, il concetto di NDE guadagnò sempre più attenzione e accettazione. Nel 1982, un sondaggio Gallup (una multinazionale americana di analisi e consulenza), rivelò che circa otto milioni di americani avevano vissuto una NDE. Kenneth Ring e colleghi individuarono diversi tratti comuni nelle NDE, tra cui la sensazione di lasciare il mondo materiale, il cessare del dolore, una pace profonda, il viaggio verso una luce, e incontri con spiriti o parenti defunti. In alcuni casi, le persone ricevono una revisione della propria vita da una guida spirituale, senza giudizi negativi.
Sebbene la maggior parte delle NDE sia descritta come positiva e trasformativa, circa il 3% viene vissuto come negativa o spaventosa. In questo caso si parla di Esperienze di Pre-Morte Angoscianti (dNDE, acronimo inglese per Distressing Near-Death Experience).

Le NDE non sono limitate a persone religiose, ma spesso conducono a una maggiore spiritualità e alla perdita della paura della morte. Molti sviluppano un senso di scopo nella vita e, in alcuni casi, percepiscono poteri intuitivi o psichici accresciuti. Tuttavia, alcuni faticano ad adattarsi alla vita dopo un’esperienza di pre-morte, provando sentimenti di rabbia, depressione o disillusione.
Secondo Ring, le persone con un’infanzia difficile potrebbero essere più predisposte a vivere una NDE a causa della loro struttura psicologica. Ha inoltre suggerito che le NDE possano avere un impatto positivo globale se abbastanza persone ne fanno esperienza o ne comprendono le lezioni profonde.
Caratteristiche delle NDE

I ricercatori hanno individuato caratteristiche comuni nelle esperienze di pre-morte (NDE). Bruce Greyson, uno dei principali studiosi del fenomeno, sostiene che tali esperienze comprendono solitamente una sensazione di separazione dal corpo fisico, visioni di figure religiose o parenti defunti, e una trascendenza dei confini di tempo, spazio e ego.
Tuttavia, l’interpretazione di questi eventi tende a riflettere le credenze culturali, filosofiche o religiose dell’individuo che li vive. Per esempio, in Occidente, dove molti credono negli angeli custodi, la Luce viene spesso identificata come angeli o cari defunti, mentre gli indù la interpretano come messaggeri del dio della morte.
Tra gli elementi ricorrenti nelle NDE vi sono:
- La consapevolezza di essere morti.
- Una sensazione di pace, benessere e assenza di dolore, accompagnata da emozioni positive e un intenso sentimento di amore incondizionato.
- Esperienze extracorporee (OOBE), durante le quali si osserva il proprio corpo da una prospettiva esterna, a volte notando i tentativi di rianimazione da parte dei medici.
- L’attraversamento di un tunnel o movimento verso una luce potente, spesso percepita come un’entità vivente che comunica telepaticamente.
- Il ricongiungimento con parenti o amici defunti.
- Una revisione della propria vita, conosciuta come life review (revisione della vita), dove si rivivono momenti del passato, anche episodi dimenticati o insignificanti.
- L’avvicinamento a un confine o la scelta, da parte dell’individuo o di altre entità, di ritornare nel proprio corpo fisico, spesso con una certa riluttanza.
Inoltre, chi ha vissuto queste esperienze riferisce difficoltà nel descriverle, poiché sono caratterizzate da suoni, colori e sensazioni non paragonabili a quelli del mondo terreno. L’incontro con “esseri di luce”, spesso identificati come angeli o figure simili, trasmette un senso di amore e accoglienza totale. Il ritorno alla vita è accompagnato da sentimenti contrastanti: da una parte, la sofferenza fisica per il rientro nel corpo; dall’altra, la perdita della paura della morte, percepita come un felice passaggio a una realtà superiore. Le persone tendono inoltre a riconsiderare i valori della vita, privilegiando l’amore e l’armonia con tutti gli esseri viventi.
Anche se non tutte queste caratteristiche si manifestano in ogni NDE, esse ricorrono frequentemente, riflettendo un’esperienza che, pur variando nei dettagli, appare sorprendentemente coerente.
NDE nel Medioevo

Racconti di esperienze visionarie, simili alle moderne esperienze di pre-morte (NDE), sono presenti nella letteratura tardo-medievale europea. Questi racconti, che mostrano sia somiglianze che differenze rispetto alle NDE odierne, sono stati ampiamente esaminati dalla studiosa Carol Zaleski nel suo libro del 1987, Otherworld Journeys: Accounts of Near-Death Experience in Medieval and Modern Times (Viaggi nell’aldilà: resoconti di esperienze di pre-morte nei tempi medievali e moderni), da cui sono tratte molte delle informazioni di questo testo introduttivo.
«Enoch, San Paolo e i pellegrini al Purgatorio di San Patrizio potrebbero aver visitato l’altro mondo mentre erano ancora nella carne, ma il tipico viaggiatore medievale verso il Paradiso e l’Inferno trova necessario prima distardare la sua vita mortale.»
Otherworld Journeys: Accounts of Near-Death Experience in Medieval and Modern Times (1987) di Carol Zaleski
Racconti di persone che, dopo essere apparentemente morte, tornano in vita e descrivono viaggi in un “altro mondo” durante uno stato di incoscienza, si trovano in tutto il mondo, nel folklore e nella letteratura religiosa. In Europa, questi racconti fiorirono soprattutto tra il X e il XIII secolo, spesso in forma di lunghe narrazioni simili a romanzi, per poi diminuire con la Riforma. Zaleski nota diverse influenze letterarie che hanno contribuito a questa tendenza medievale, come la Bibbia, i racconti apocalittici dell’antichità, opere classiche come l’Eneide di Virgilio (Publio Virgilio Marone, 70-19 a.C.) e i Moralia di Plutarco (46/48-125/127 d.C.), oltre a precedenti scritti medievali.
Paolo di Tarso e le Tre Anime
San Paolo, noto come Paolo di Tarso (4-64 o 67 d.C.), è considerato uno dei fondatori del Cristianesimo e un pioniere nelle descrizioni cristiane dell’aldilà. La sua esperienza mistica, in cui racconta di essere stato rapito fino al “terzo cielo”, è menzionata nella Seconda Lettera ai Corinzi (12:2-4).
2So che un uomo, in Cristo, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. 3E so che quest’uomo – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – 4fu rapito in Paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare.
2 Corinzi 12:2-4 (CEI 2008)
In questa visione, Paolo descrive di essere stato portato in Paradiso e di aver udito parole ineffabili, impossibili da esprimere in linguaggio umano. Questa esperienza lo trasformò profondamente e contribuì a consolidare la sua missione apostolica. Anche se i dettagli della sua visione rimangono vaghi, l’impatto sulla tradizione cristiana fu profondo, influenzando la concezione medievale del Paradiso e dell’aldilà.
Un altro racconto legato a Paolo, noto come l’Apocalisse di Paolo (Visio Pauli), datato al III secolo, approfondisce ulteriormente il tema del viaggio nell’aldilà. In questo testo, si narra la visione di tre anime che vengono giudicate dopo la morte. La prima anima è quella di un uomo giusto, accolto in Paradiso e ricevuto con gioia da Dio. La seconda anima appartiene a un uomo malvagio, condannato immediatamente alle tenebre e ai tormenti eterni. La terza anima è quella di un altro malvagio, ma in questo caso Dio ordina che vengano valutati più attentamente i suoi peccati prima di emettere un giudizio finale. Questo racconto riflette chiaramente l’idea di giustizia divina, che non si limita a punire o premiare, ma valuta con precisione le azioni di ciascun individuo.
L’Apocalisse di Paolo ebbe una grande influenza sulla tradizione cristiana successiva, specialmente riguardo alle visioni medievali dell’aldilà. I concetti di Paradiso e Inferno, con le anime giuste che ascendono alla gloria divina e i peccatori che subiscono tormenti, divennero centrali nella rappresentazione cristiana del destino post-mortem. Paolo, nella visione estesa, non si limita a osservare il Paradiso, ma viene anche portato a esplorare l’Inferno e altre “terre sacre” o luoghi intermedi, simili a quelli che in seguito sarebbero stati interpretati come il Purgatorio.
L’Inferno descritto in questa visione è un luogo di terribili tormenti, riservato ai peccatori più incalliti. Paolo vede anime sofferenti immerse in fiumi di fuoco, tormentate da demoni e sottoposte a pene fisiche per espiare i loro peccati. Questi tormenti riflettono non solo il concetto di punizione eterna, ma anche l’idea che i peccatori siano costretti a subire pene proporzionali alla gravità delle loro trasgressioni. In questa visione, Paolo riceve la missione di avvertire i viventi: è suo compito tornare sulla terra per raccontare ciò che ha visto e ammonire l’umanità sulla necessità del pentimento, della conversione e della preparazione per il giudizio finale.




Questo racconto apocalittico fu un precursore di molte narrazioni medievali di esperienze di pre-morte e visioni dell’aldilà, come quelle descritte nelle Visioni di Drythelm o nel Purgatorio di San Patrizio. L’influenza dell’Apocalisse di Paolo si estese nel corso dei secoli, ispirando opere come la Divina Commedia di Dante Alighieri (1265-1321), dove il concetto di viaggio nell’aldilà e la descrizione dettagliata di Paradiso, Inferno e Purgatorio assumono una dimensione letteraria e teologica universale.
In questo modo, San Paolo non solo contribuì a fondare la dottrina cristiana attraverso le sue epistole e il suo insegnamento, ma attraverso le visioni dell’aldilà che gli furono attribuite, plasmò profondamente l’immaginario religioso e la visione del destino delle anime nel Medioevo.
Gregorio Magno e i Dialogi

Papa Gregorio I, noto come Gregorio Magno (ca 540-604 d.C.), è stato uno dei pontefici più influenti del VI secolo e autore di una delle opere più emblematiche della spiritualità medievale, i Dialogi. Quest’opera monumentale, suddivisa in quattro libri, è principalmente dedicata alla vita e ai miracoli dei santi italici, molti dei quali vissuti recentemente rispetto al tempo di Gregorio. Attraverso i loro esempi, Gregorio esplora non solo i miracoli che essi hanno compiuto, ma anche il destino dell’anima dopo la morte. L’opera è strutturata sotto forma di dialogo tra lo stesso papa e il diacono Pietro, che lo interroga su temi religiosi e spirituali.
Uno degli aspetti più affascinanti dei Dialogi è il modo in cui Gregorio affronta il tema delle esperienze pre-morte, fenomeno che affascinava profondamente i cristiani dell’epoca, perché offriva una visione concreta dell’aldilà e dei misteri della vita ultraterrena. Gregorio narra tre esperienze di questo tipo, nelle quali i protagonisti hanno visioni infernali o celesti che li portano a riconsiderare le loro vite. Questi racconti servono come ammonimenti morali per i lettori e riflettono l’idea cristiana di giustizia divina e di redenzione.
Il secondo libro dei Dialogi, interamente dedicato a San Benedetto da Norcia (480-547 d.C.), è particolarmente significativo e ha avuto una diffusione autonoma nel corso dei secoli. San Benedetto, fondatore del monachesimo occidentale, è ritratto come un modello di virtù e santità, capace di compiere miracoli e incarnare la visione cristiana della vita ascetica. Il suo esempio fu così potente che divenne un simbolo di perfezione spirituale e ispirazione per la vita monastica.
Tra le esperienze di pre-morte narrate da Gregorio, una riguarda un eremita che, dopo aver visto l’Inferno, decide di cambiare radicalmente la sua vita, abbracciando una condotta più devota e penitente. Questo evento dimostra come la visione dell’Inferno, con i suoi tormenti e sofferenze, possa fungere da spinta per la conversione e il pentimento. In un’altra visione, un uomo d’affari ha un’esperienza simile e, pur non cambiando immediatamente stile di vita, diventa convinto dell’esistenza dell’aldilà, rafforzando la sua fede. Questi racconti non solo evidenziano l’importanza del pentimento e della riflessione morale, ma anche l’idea che la grazia divina può raggiungere tutti, anche i peccatori più incalliti.

La terza esperienza raccontata riguarda un soldato, il quale descrive un fiume oscuro che separa i giusti dai peccatori, un’immagine potente del contrasto tra il bene e il male, tra virtù e vizi. Questo fiume simbolizza il confine tra la salvezza e la dannazione, rappresentando il percorso spirituale che ogni anima deve compiere per raggiungere la purificazione. Attraverso questa visione, Gregorio ribadisce la necessità di una vita virtuosa, di una preparazione costante all’aldilà e di una profonda attenzione alla propria condotta morale.
I Dialogi di Gregorio Magno furono tra le opere più influenti del Medioevo. La loro popolarità si estese rapidamente, grazie alla capacità di Gregorio di combinare racconti miracolosi, visioni mistiche e insegnamenti morali. L’opera non solo rafforzò la devozione popolare verso i santi, ma offrì anche una visione consolatoria e didattica dell’aldilà, modellando profondamente la spiritualità cristiana per secoli.
Visioni di Drythelm nel racconto di Beda

Un altro esempio di esperienza di pre-morte (NDE) lo possiamo ritrovare nel racconto di Beda, molto più ricco di dettagli. Beda il Venerabile (673-735 d.C.) è stato un monaco anglosassone, storico e teologo, considerato uno dei più grandi studiosi del suo tempo. Visse gran parte della sua vita nel monastero di Wearmouth-Jarrow, nell’attuale Inghilterra. La sua opera più celebre è la Historia ecclesiastica gentis Anglorum (Storia ecclesiastica del popolo inglese), che racconta la storia del cristianesimo in Inghilterra fino all’anno 731. Grazie a questa e ad altre opere teologiche, esegetiche e storiche, Beda è considerato una delle principali fonti sulla storia e la spiritualità del primo Medioevo in Europa. Fu proclamato Dottore della Chiesa nel 1899.
In questo racconto, Drythelm, un monaco anglosassone vissuto nel VII secolo, noto per una visione mistica dell’aldilà che ha avuto una grande influenza nella spiritualità medievale, dopo un’esperienza di pre-morte (NDE), ricevette una visione dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. La sua esperienza, riportata nella Historia ecclesiastica, fu interpretata come una testimonianza delle realtà ultraterrene e come un forte ammonimento per la penitenza e la conversione.
Dopo questa visione, Drythelm divenne monaco e condusse una vita di severe penitenze.narra visioni terrificanti dell’Inferno, come demoni che trascinano anime in una fossa e vampate di fuoco puzzolente che lanciano le anime in aria solo per farle ricadere. Anche la descrizione del Purgatorio è più accurata: appare come una valle divisa tra ghiaccio e fuoco, dove le anime sono costantemente spostate da un lato all’altro, subendo nuovi tormenti. Questa è la parte destinata a coloro che si sono pentiti in punto di morte, e che devono espiare fino al Giorno del Giudizio. Successivamente, Drythelm si trova in un prato fiorito, permeato da canti dolci, fragranze piacevoli e una luce gloriosa; il Paradiso è vicino, ma la guida gli annuncia che è il momento di tornare sulla terra. Beda racconta anche che il monaco praticava dure penitenze, immergendosi nel fiume gelido vicino al monastero. A chi gli chiedeva il motivo, rispondeva: «ho visto penitenze ben più terribili». Così divenne famoso in Inghilterra, convertendo molti peccatori con il suo esempio.
Il Purgatorio di San Patrizio

Il Purgatorio di San Patrizio è una delle leggende più affascinanti del Medioevo, ambientata in una grotta situata su un’isola nel Lough Derg, in Irlanda. Secondo la tradizione, questa grotta sarebbe stata una porta verso l’aldilà, concessa in visione a San Patrizio (nato con il nome di Maewyin Succat, 389-461 d.C.) per convincere i fedeli della realtà del Purgatorio e dell’esistenza della vita dopo la morte. Chiunque vi entrasse, seguendo un rigido percorso di purificazione spirituale, avrebbe avuto la possibilità di vedere con i propri occhi i tormenti dell’Inferno e le gioie del Paradiso.
La storia più famosa legata a questo luogo riguarda un cavaliere chiamato Owen (o Owein), che, dopo aver vissuto una vita di peccati e violenze, decide di intraprendere un pellegrinaggio nel Purgatorio di San Patrizio come atto di espiazione. La sua esperienza è narrata in un testo del XII secolo, noto come Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii, scritto da un monaco cistercense, Henri de Saltrey.
Owen, per affrontare il viaggio nel Purgatorio, si reca alla grotta dopo aver ricevuto le dovute benedizioni e istruzioni da parte di monaci. Una volta dentro, viene condotto in una serie di visioni che rappresentano le sofferenze dell’Inferno e i tormenti riservati ai peccatori. Vede anime che subiscono punizioni atroci: immerse in fiamme, trascinate da demoni, lanciate da un tormento all’altro senza tregua. Questi castighi servono a purificare i peccatori, preparandoli per il giudizio finale.
Dopo aver superato i tormenti infernali, Owen raggiunge i paesaggi celesti. Qui le anime dei giusti godono di pace e beatitudine, circondate da una luce divina, immersi in un’atmosfera di canto e gioia eterna. Owen è profondamente trasformato dalla visione di queste esperienze ultraterrene, e capisce l’importanza della penitenza, del pentimento e della vita virtuosa. Quando torna sulla terra, decide di abbandonare la vita di cavaliere e violenza, per dedicarsi completamente a Dio e alla vita religiosa.
Il Purgatorio di San Patrizio divenne un simbolo potente nella tradizione cristiana medievale, rappresentando non solo il percorso di purificazione delle anime dopo la morte, ma anche la possibilità di redenzione e trasformazione durante la vita terrena. La grotta stessa divenne meta di pellegrinaggio per secoli, e la leggenda di Owen contribuì a diffondere il messaggio spirituale della penitenza e della salvezza in tutta Europa.
NDE tra i nobili dell’Alto Medioevo
Le visioni mistiche di Alberico, Adamnano, Tundale, il monaco di Evesham e Thurkill offrono potenti testimonianze medievali sui viaggi ultraterreni, in cui ognuno esplora i tre regni dell’aldilà: Inferno, Purgatorio e Paradiso, guidato da angeli o santi. Questi racconti non solo arricchirono la spiritualità medievale, ma divennero anche strumenti didattici per istruire i fedeli sull’importanza del pentimento e della preparazione per il giudizio finale.
Alberico II di Spoleto (o Alberico di Roma, 905-954 d.C.) è stato un nobile e militare romano. Fu Signore di Roma de facto; governò l’Urbe dal 932 alla morte. Ebbe la sua visione durante una malattia che lo portò vicino alla morte. Racconta di essere stato trasportato nell’inferno, dove osservò diverse categorie di peccatori subire punizioni severe e proporzionate ai loro peccati. Ogni peccatore è condannato a soffrire per le proprie colpe in modo specifico, un riflesso della giustizia divina. Alberico non solo vide i tormenti infernali, ma fu condotto anche nei cieli, dove ebbe visioni celesti che, tuttavia, gli fu proibito divulgare, forse a sottolineare il mistero del regno di Dio. Questa esperienza lo cambiò profondamente e divenne un ammonimento vivente per la sua comunità.




Adamnano di Iona (627 – Iona, 704), un abate irlandese del VII secolo, racconta la sua esperienza in terza persona, attribuendola a un suo contemporaneo. Nella visione, Adamnano viene guidato dal suo angelo custode attraverso i vari livelli del Paradiso. Qui, è portato davanti al Glorioso, Dio, seduto sul trono, circondato da schiere di santi e angeli. La magnificenza del Paradiso è descritta con vivide immagini di luce e beatitudine. Adamnano poi visita una seconda città, che rappresenta il luogo di purificazione, simile al Purgatorio, dove le anime non ancora pronte per il Paradiso sono sottoposte a prove e purificazioni. Questa parte del racconto riflette la credenza nella possibilità di redenzione e nella misericordia divina.
Nella Visio Tnugdali (Visione di Tnugdalo) è un testo visionario del XII secolo che riporta la visione ultraterrena del cavaliere irlandese Tnugdalo (o Tundale), noto per la sua vita peccaminosa. Tnugdalo ha un’esperienza simile durante uno stato di morte apparente. Nel suo viaggio nell’Inferno, attraversa tormenti sempre più spaventosi, con ogni peccato punito con una tortura specifica. Questo viaggio è progressivo: inizia con pene più lievi per peccati minori, per poi intensificarsi fino a tormenti più severi, simboleggiando la gravità della sua vita peccaminosa. Alla fine, però, Tnugdalo sperimenta una sorta di redenzione, attraversando questo percorso infernale per giungere a una purificazione spirituale. Il suo racconto, che termina con una trasformazione personale, mostra come persino i più grandi peccatori possano redimersi attraverso la sofferenza e la grazia divina.

Egwin di Evesham (650-717 d.C.), noto anche come Ecgwin, Ecgwine o Eegwine, fu vescovo di Worcester e fondatore dell’abbazia di Evesham, in Inghilterra. È venerato come santo nella Chiesa cattolica e nella Chiesa anglicana. Vissuto anch’egli nel XII secolo, racconta di essere stato condotto nell’aldilà mentre credeva di essere vicino alla morte. Come negli altri racconti, anche lui visita l’Inferno e il Purgatorio, scoprendo che ogni peccato ha una punizione proporzionata, ma ciò che distingue la sua visione è l’idea che nessuna anima è condannata per l’eternità. Anche le anime più tormentate possono essere redente, un messaggio di speranza che sottolinea la misericordia divina. Questa visione incoraggiava i fedeli a confidare nella possibilità della salvezza, pur richiamando alla necessità del pentimento.
Un altro esempio lo troviamo nella Visio Thurkilli, giunta a noi attraverso due manoscritti completi, è raccontata sia nei Flores historiarum (1567) di Ruggero di Wendover (ca 1170-1236) che nel Chronica majora di Matteo Paris, detto anche Matteo da Parigi (Matthew Paris, 1200-1259). Essa rappresenta l’unica visione complessiva dell’aldilà documentata nel XIII secolo. Nel racconto, Thurkill è un semplice contadino inglese, ebbe una visione dell’aldilà nel XIII secolo, che lo portò a incontrare santi e figure bibliche mentre visitava i vari livelli dell’Inferno e del Purgatorio.

La sua esperienza è particolare perché non era un uomo di alto rango o un religioso, ma un lavoratore umile, il che rende il suo viaggio straordinario. In questa visione, Thurkill è testimone di scene di grande sofferenza, con i peccatori puniti per i loro crimini, ma incontra anche santi che lo istruiscono su come raccontare agli altri ciò che ha visto. La sua missione è quella di tornare tra i vivi e condividere la sua esperienza per spronare gli altri alla conversione e al pentimento.
In tutti questi racconti, le visioni dell’aldilà offrono descrizioni vivide delle punizioni dei peccatori e delle ricompense dei giusti, presentando un quadro molto dettagliato e simbolico della giustizia divina. Ogni viaggio ultraterreno sottolinea la dualità tra peccato e virtù, ma anche il potere della redenzione e della misericordia. Le esperienze mistiche di Alberico, Adamnano, Tundale, il monaco di Evesham e Thurkill divennero strumenti di insegnamento per i fedeli, avvertendoli delle conseguenze del peccato e incoraggiandoli a cercare la salvezza attraverso il pentimento e la fede.
Effetti di trasformazione dei soggetti
Le esperienze di pre-morte (NDE) sono spesso associate a profondi cambiamenti nelle convinzioni e nei valori delle persone che le vivono, portando a trasformazioni radicali nella loro vita. Un effetto comunemente riportato è il divorzio, mentre molti intraprendono un cammino spirituale, aderendo a religioni o percorsi mistici come Buddhismo, Sufismo o Cristianesimo. Ad esempio, il professor Howard Storm e il parapsicologo George Rodonaia (1926-2014), atei prima delle loro esperienze, abbandonarono le precedenti professioni per diventare sacerdoti cristiani.
Altri soggetti sviluppano una sete di conoscenza inaspettata, scoprendo nuove passioni in ambiti prima del tutto sconosciuti. Rajâa Benamour, ricercatrice e autrice marocchina, dopo una lunga esperienza di pre-morte, acquisì una comprensione improvvisa della fisica quantistica, iscrivendosi all’università e sorprendendo i docenti con le sue intuizioni. Un altro caso emblematico è quello di Tibor Putnoki (1933–2019), che nel 1993 visse una NDE dopo nove minuti di arresto cardiaco. L’esperienza lo spinse a diffondere un messaggio di amore e pace, fondando la Love of Light Foundation e tenendo conferenze in tutto il mondo.




Le cause profonde delle esperienze di pre-morte continuano a dividere il mondo scientifico, ma ciò che colpisce in modo trasversale è il cambiamento comportamentale e spirituale che si manifesta a lungo termine nei soggetti coinvolti. Lo studio longitudinale del cardiologo olandese Pim van Lommel, ad esempio, mostrò come, a distanza di anni da una NDE, si riscontrassero nei pazienti maggiore empatia, vulnerabilità emotiva, intuizione, e una ridotta paura della morte. I cambiamenti si rafforzavano nel tempo, indipendentemente dalle credenze religiose iniziali.

Un altro esempio è Tibor Putnoki (1933-2019), che nel 1993 visse una NDE dopo che il suo cuore si fermò per nove minuti. Questa esperienza lo spinse a diffondere un messaggio di amore e pace, diventando co-fondatore della Love of Light Foundation (nome originale: Szeretet Fénye Közhasznú Alapítvány) e dedicandosi a conferenze in tutto il mondo.
Le domande sulle cause delle NDE continuano a intrigare, ma ciò che colpisce è l’impatto trasformativo che queste esperienze hanno su chi le vive. Studi come quello condotto dal cardiologo e ricercatore olandese Pim van Lommel, hanno confermato questi effetti. In uno studio longitudinale, van Lommel intervistò diverse centinaia di pazienti rianimati dopo un arresto cardiaco negli ospedali olandesi, scoprendo che il 18% di loro aveva vissuto una NDE.
Dopo due anni, coloro che avevano avuto queste esperienze mostravano un aumento della fede nell’aldilà e una diminuzione della paura della morte rispetto a chi non le aveva avute. Dopo otto anni, si evidenziarono ulteriori cambiamenti: maggiore vulnerabilità emotiva, empatia e un incremento delle sensazioni intuitive. Questi effetti trasformativi si intensificarono nel tempo, con un rafforzamento della fiducia nell’aldilà e l’assenza di paura della morte.
Ricercatori chiave e interpretazioni delle Esperienze di Pre-Morte
Il concetto moderno di esperienza di pre-morte si deve a Raymond A. Moody Jr., che nel 1975 pubblicò Life After Life, identificando e codificando per la prima volta i tratti comuni di questi fenomeni. Il suo lavoro fu proseguito da numerosi studiosi, tra cui lo psichiatra Russell Noyes Jr. (1929–2023) e Ray Kletti, che analizzarono statisticamente i racconti di sopravvissuti, collegandoli a meccanismi psicologici come la depersonalizzazione, una difesa dell’io in situazioni estreme.
Un contributo fondamentale giunse da Kenneth Ring, che introdusse criteri scientifici più rigorosi per studiare le esperienze di pre-morte e costruì il Weighted Core Experience Index (WCEI), evoluzione del precedente Core Experience Index di Bruce Greyson. Il CEI, sviluppato con Nancy Evans Bush, consentiva di misurare la profondità e l’intensità delle NDE in base alla presenza e rilevanza di elementi chiave: separazione dal corpo, incontro con esseri di luce, revisione della vita, amore incondizionato.




Ring intervistò più di cento soggetti e osservò che la trasformazione psicologica post-NDE era indipendente dalla cultura e dalla religione di appartenenza. L’esperienza sembrava avere una forza universale, capace di agire sul sistema di credenze anche nei soggetti atei o scettici. Il WCEI, che assegnava un punteggio da 0 a 29, divenne uno strumento diffuso nella letteratura scientifica dedicata al fenomeno.
Studi clinici e ospedalieri sulle NDE
Come anticipato, nel 1975, Raymond A. Moody Jr. introdusse il concetto di esperienza di pre-morte (NDE) nel suo libro Life after Life, identificando elementi comuni nelle esperienze. Il suo lavoro aprì la strada a numerose ricerche successive. Negli anni Settanta, lo psichiatra Russell Noyes Jr. (1929-2023) e Ray Kletti ampliarono gli studi di Albert Heim (1849-1937), conducendo analisi statistiche e descrittive sulle NDE. Essi interpretarono queste esperienze come una forma di depersonalizzazione, ossia una risposta difensiva dell’ego allo stress che riduce l’ansia attraverso distacco emotivo e sensazioni trascendenti.
Tuttavia, Moody stesso riconobbe che il suo libro non era uno studio scientifico. Per colmare questa lacuna, Kenneth Ring cercò di stabilire una base scientifica per le NDE, utilizzando campionamenti rigorosi e analisi comparate. Ring e il suo team intervistarono oltre cento persone che avevano vissuto un’esperienza di pre-morte, analizzando l’incidenza delle NDE, il loro legame con le circostanze e l’influenza delle credenze religiose.




Per misurare la profondità delle esperienze, Ring ideò il Weighted Core Experience Index (WCEI), uno strumento di misurazione sviluppato per valutare la profondità e l’intensità delle esperienze di pre-morte (NDE). Questo indice è una versione affinata dell’Original Core Experience Index (CEI) e mira a fornire una comprensione più accurata delle componenti fondamentali delle NDE.
L’Original Core Experience Index (CEI) fu ideato dallo psichiatra Bruce Greyson (dell’Università della Virginia) insieme alla collega Nancy Evans Bush. Greyson è stato uno dei pionieri nello studio delle esperienze di pre-morte (NDE) che ha contribuito significativamente alla ricerca in questo campo. Il CEI è stato sviluppato per misurare e classificare le esperienze fondamentali delle NDE, consentendo ai ricercatori di analizzare sistematicamente le esperienze vissute dalle persone che hanno avuto tali esperienze. Il CEI si concentra su una serie di elementi chiave che caratterizzano le NDE, fornendo un quadro per comprendere le varie componenti che possono influenzare l’intensità e il significato dell’esperienza per gli individui. In collaborazione con Edward Francis Kelly e sua moglie Emily Williams, Greyson concluse che la coscienza persiste anche in assenza di segni vitali, sfidando le teorie fisiologiche convenzionali.
Successivamente, il CEI è stato ampliato e raffinato attraverso lo sviluppo del Weighted Core Experience Index (WCEI), che tiene conto di pesi diversi per ogni componente in base alla loro importanza percepita. Il WCEI si basa su una serie di elementi chiave che caratterizzano le esperienze di pre-morte, come la sensazione di separazione dal corpo, l’incontro con esseri di luce, la revisione della vita e l’esperienza di amore incondizionato. Ogni elemento viene ponderato in base alla sua rilevanza e significato per il soggetto, consentendo così una valutazione più personalizzata e dettagliata delle NDE.
Utilizzando il WCEI, i ricercatori possono ottenere dati quantitativi e qualitativi sulle NDE, contribuendo a studi scientifici e psicologici sull’impatto di tali esperienze sulle persone e sulle loro credenze. Questo indice è diventato uno strumento prezioso nella ricerca sulle esperienze di pre-morte, aiutando a distinguere tra diverse tipologie di esperienze e a comprendere meglio il loro significato per chi le vive. I punteggi da 0 a 29, con 29 che indicava un’esperienza molto profonda, diedero un quadro più chiaro e i risultati di Ring rafforzarono le scoperte di Moody fornendo una solida base per future ricerche.




Il neuropsichiatra britannico Peter Fenwick iniziò a studiare le NDE negli anni Ottanta, supervisionando numerosi ricercatori, tra cui la psicologa Margot Grey (1936-2015), Sam Parnia (direttore della ricerca presso il NYU Langone Medical Center di New York) e Penny Sartori (per oltre vent’anni ha prestato servizio di assistenza come infermiera specializzata per malati terminali). Fenwick pubblicò i libri The Truth in the Light (1997) e The Art of Dying (2008), esplorando anche le visioni di fine vita. È ancora attivo come presidente della Scientific and Medical Network di Londra.
Tra il 1975 e il 2005, furono condotti studi su circa 3.500 persone che avevano vissuto una NDE. Melvin L. Morse e i suoi colleghi si concentrarono sulla popolazione pediatrica. Nel frattempo, uno studio dell’Università del Michigan, guidato dalla neurobiologa Jimo Borjigin, rilevò un aumento dell’attività cerebrale durante l’arresto cardiaco, suggerendo che questo potrebbe spiegare le visioni di luce bianca durante le NDE. Queste ricerche hanno evidenziato il ruolo cruciale dei circuiti interemisferici e delle oscillazioni gamma nella percezione e nel richiamo della memoria.

Negli anni successivi, si affermarono studi prospettici ospedalieri per analizzare meglio le NDE. Questi studi permisero di verificare i dettagli clinici e l’eventuale validità delle esperienze extracorporee. Ad esempio, nel 2001, Pim van Lommel pubblicò uno studio sulla rivista scientifica inglese The Lancet, condotto su 344 pazienti sopravvissuti a un arresto cardiaco. Il 18% dei pazienti riportò una NDE, ma fattori come l’età, il tipo di infarto o il numero di rianimazioni sembravano influenzare la probabilità di vivere una NDE. In un caso, un paziente osservò con precisione un’infermiera rimuovere la sua dentiera durante un’esperienza extracorporea. Questo studio rivelò inoltre che i pazienti che avevano vissuto una NDE mostrarono cambiamenti comportamentali a lungo termine, come una maggiore compassione, un ridotto interesse per i beni materiali e un aumento della spiritualità.

Uno studio più piccolo, condotto da Sam Parnia nel Regno Unito, trovò che l’11% dei sopravvissuti all’arresto cardiaco riportò una NDE, ma nessuno osservò i bersagli nascosti predisposti per testare le esperienze extracorporee. Studi simili condotti negli Stati Uniti, come quello del Barnes-Jewish Hospital, riportarono percentuali simili (23%). Bruce Greyson, in un altro studio, concluse che il 5% dei pazienti cardiaci intervistati aveva vissuto una NDE.
Infine, Penny Sartori condusse un’indagine quinquennale in un ospedale del Galles, rilevando che circa il 17,9% dei sopravvissuti all’arresto cardiaco riportò una NDE. Sebbene non ci fossero prove definitive di percezioni extracorporee verificabili, alcuni pazienti descrissero con precisione le azioni del personale medico mentre erano incoscienti, confermando ulteriori spunti per la ricerca futura.
Conclusioni
Insomma, come dicevamo all’inizio, il fenomeno delle esperienze di pre-morte (NDE) è davvero complesso, affascinante e ricco di sfumature. È uno di quegli argomenti che non smette mai di far discutere, sia tra chi cerca risposte nei meccanismi del cervello e della mente, sia tra chi è convinto che queste esperienze possano offrire un assaggio di qualcosa che va oltre la vita terrena. Da un lato, ci sono le spiegazioni scientifiche e fisiologiche, che parlano di processi legati al cervello in condizioni estreme. Dall’altro, ci sono i racconti di chi dice di aver visto la “luce”, di aver incontrato entità spirituali, o di aver provato una pace indescrivibile in un luogo che sembra fuori dal tempo.
E forse è proprio questa varietà di racconti e di interpretazioni che rende le NDE così affascinanti: nessuna è identica all’altra, e ognuna aggiunge un pezzo in più al puzzle. Per questo motivo, crediamo sia fondamentale affrontare il tema con curiosità, apertura mentale e anche un pizzico di sano scetticismo. Non è questione di schierarsi da una parte o dall’altra, ma di provare a capire cosa ci raccontano davvero queste esperienze, senza saltare a conclusioni troppo facili.
La scienza, ovviamente, ci offre strumenti importanti per studiare quello che succede a livello neurologico e psicologico, e vale la pena conoscerli. Ma ci sono anche domande che la scienza, almeno per ora, non riesce a spiegare fino in fondo. E allora entrano in gioco altre prospettive: quelle spirituali, religiose, esistenziali… tutte quante, in modi diversi, cercano di dare un senso a ciò che accade nei momenti più vicini alla morte.
Se anche voi siete incuriositi da tutto questo e volete continuare a esplorare con noi le tante facce di questo mistero, vi invitiamo a non perdervi i prossimi articoli. Approfondiremo ancora di più le teorie scientifiche, i racconti più sorprendenti, le possibili spiegazioni alternative e tutto ciò che può aiutarci a guardare questo fenomeno con occhi più consapevoli. Perché alla fine, le esperienze di pre-morte non parlano solo di ciò che accade quando la vita sembra finire… ma forse anche di come scegliere di viverla, qui e ora.