Fantasmi e Antico Egitto: l'affascinante ghost story nella Valle dei Re

Fantasmi e Antico Egitto: l’affascinante ghost story nella Valle dei Re

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Ba e Sheut

La dea Nut che appare nel Sicomoro e disseta il Ba
La dea Nut che appare nel Sicomoro e disseta il Ba.

Il Ba invece era più spesso tradotto come anima, aveva un aspetto di uccello dalla testa umana e poteva sfrecciare veloce fra la Terra e il Cielo e, in particolare, tra l’aldilà e il corpo cadavere. Ogni Ba era legato ad un corpo particolare, e i Ba si libravano sul cadavere dopo la morte, ma potevano anche viaggiare verso l’aldilà, visitare gli dèi o ritornare sulla Terra in quei luoghi che la persona aveva tanto amato nella vita. Il Ba aveva il compito di riunire il cadavere con il Ka, e questo accadeva ogni notte in modo da poter ricevere sostentamento. Gli dèi, a differenza degli uomini, avevano un Ba e un Ka.

Lo Sheut (o Shuyt, o Khaibit) era l’ombra presente sempre in ogni persona. Era di colore nero, una parte animica molto simile al Ka, ma anche l’opposto di quest’ultimo. Mentre il Ka tendeva a conservare gli aspetti positivi dell’esistenza terrena, lo Sheut invece era l’emanazione che si formava dalla presenza di aspetti negativi. Praticamente era il doppio immateriale di ogni forma e costituiva il collegamento tra il corpo e gli elementi incorporei dell’individuo: era essenzialmente l’ombra dell’anima.

L'egittologo Nigel Strudwick con la moglie Helen
L’egittologo Nigel Strudwick con la moglie Helen

Nell’antico Egitto, l’ombra rappresentava il conforto e la protezione, e per questo motivo i siti sacri di Amarna, là dove sorgeva la città egizia di Akhetaton fondata dall’omonimo faraone, erano conosciuti come Shadow of Ra, l’ombra di Ra. Come funzionasse lo Sheut non è ancora chiaro, ma era considerato estremamente importante e operava come un’entità protettrice e guida per l’anima nell’aldilà. Nel libro egiziano dei morti vi è un incantesimo in cui l’anima afferma: “La mia ombra non sarà sconfitta”, facendo alludere alla sua capacità di attraversare l’aldilà verso il paradiso.

Akh

Ed eccoci all’elemento più simile a quello che potremmo chiamare un fantasma: l’Akh (o Khu, o Sahu). Un’entità immortale, trasformata, l‘unione magica del Ba e del Ka. L’egittologa Strudwick in un suo libro scrive che “una volta che l’Akh era stato creato da questa unione, sopravviveva come uno spirito illuminato’, duraturo e immutato per l’eternità”.

L’Akh aveva un ruolo importante nell’aldilà: dopo la morte del Khat (corpo fisico), i Ba e Ka venivano riuniti per rianimare l’Akh. Questa rianimazione era possibile solo se i riti funebri erano stati eseguiti correttamente con un seguito di costanti offerte. Il rituale si chiamava se-akh ed era indispensabile per “trasformare” una persona morta in un “vivente” oltre la morte. Per questo si credeva che l’Akh fosse una specie di fantasma vagante che non trovava pace quando la sua tomba non era più in ordine. Un Akh poteva essere benevolo o malevolo, quindi poteva fare del bene o del male alle persone ancora in vita, facendoli ammalare, entrando nei sogni trasformandoli in incubi, etc.

Akh
Akh

Akh era solitamente tradotto come “spirito” ed era la forma superiore dell’anima. Nell’incantesimo numero 474 riportato nei Testi della Piramide, un insieme di formule rituali egizie risalenti all’Antico Regno, si afferma che “l’Akh appartiene al cielo, il cadavere in terra” ed era l’Akh che avrebbe goduto l’eternità tra le stelle con gli dèi. Tuttavia, l’Akh poteva tornare sulla Terra come un fantasma per perseguitare i vivi se fosse stato fatto qualcosa di sbagliato, oppure avrebbe potuto tornare nei sogni per aiutare qualcuno che si era preso cura di lui. Era associato al pensiero, ma non come un’azione della mente, bensì era l’intelletto come entità vivente.

L’Akh poteva essere invocato attraverso le preghiere oppure tramite delle lettere scritte e lasciate nella cappella dell’offerta accanto alla tomba. In questo caso l’invocazione serviva a scopo benevolo per aiutare i membri della famiglia che avevano delle dispute o per infliggere punizioni ai nemici. Il Libro dei Morti, una raccolta di incantesimi che aiutavano una persona nell’aldilà, aveva il nome egizio di Libro per uscire al giorno oppure Libro per emergere nella luce. Serviva per aiutare ad evitare i pericoli dell’aldilà assicurandosi di “non morire una seconda volta negli inferi” e quindi “garantire sempre memoria” ad una persona. Nella religione egiziana era possibile morire nell’aldilà e questa morte era permanente.

Sahu e Sechem

Il Sahu invece non era che l’aspetto dell’Akh che appariva come un fantasma o nei sogni. Si separava dagli altri aspetti dell’anima quando l’individuo veniva giudicato da Osiride come degno di esistenza eterna. era un concetto di morte che variava nella lunga storia dell’antica credenza egiziana.

Il Sechem era un altro aspetto dell’Akh, ed era l’energia vitale dell’individuo che si manifestava con la capacità di potere controllare i propri dintorni.

Un frammento de Il Libro dei Morti
Un frammento de Il Libro dei Morti

Ab

L’Ab era il cuore, la fonte del bene e del male, che definiva il carattere di una persona. Ma era il cuore spirituale che sorgeva dal cuore fisico rimasto nel corpo mummificato del defunto. Quindi l’Ab era la sede dell’individualità della persona e la registrazione dei loro pensieri e azioni durante il loro tempo vissuto sulla terra. Era proprio l’Ab ad essere pesato in contrapposizione con una piuma bianca, quella della verità, sulla Sacra Bilancia nel Tribunale di Osiride dal Signore della Necropoli e dell’Aldilà Anubi (figlio di Osiride), il Patrono dell’Imbalsamazione e il Traghettatore dei defunti.

Se l’Ab diveniva più pesante della piuma, veniva fatto cadere sul pavimento e divorato dal mostro Ammit (o Ammut). Una volta mangiato il cuore, l’anima cessava di esistere. Se invece il cuore era più leggero della piuma, l’anima veniva giustificata e poteva procedere verso il paradiso. Esisteva uno speciale amuleto che veniva incluso nella mummificazione del cadavere, e veniva posto sul cuore come un incantesimo protettivo per impedire al cuore di testimoniare contro l’anima.

Ren e Sekhem

Il Ren era la parte che continuava a dare vita ad un essere vivente finché il suo nome non veniva pronunciato. Ricevuto il nome, l’uomo acquisiva una sua ben determinata identità ed un suo preciso destino.

Infine il Sekhem, il potere e la forza, la luce emanata da una persona defunta. Il Sekhem era il risultato dell’unione di tutte le parti sia spirituali che fisiche di un essere vivente. Secondo alcuni studi sembrerebbe che il Sekhem periva assieme al corpo fisico. Altri studi invece ritengono che invece vivrebbe in eterno restando unito al Ba. Il Sekhem veniva dato alla nascita dagli dèi, e solo gli dèi lo potevano conoscere.

L’anima e i rituali mortuari

I rituali mortuari erano molto precisi e importanti e affrontavano ogni aspetto dell’anima per assicurare la vita del defunto dopo la morte. La mummificazione infatti, era praticata per preservare il corpo, inclusi amuleti e testi magici, per affrontare le altre sfaccettature spirituali che costituivano un individuo. I morti non venivano dimenticati una volta posti nella loro tomba, ma venivano osservati ogni giorno in loro onore e per la loro esistenza continua. Per assicurare che il collegamento fosse mantenuto tra i vivi e i morti, così che l’immortalità della persona fosse assicurata, tutti i bisogni materiali dovevano essere forniti al defunto e dovevano essere eseguiti correttamente tutti i rituali funerari. Ci si aspettava quindi che l’erede di una persona portasse le offerte quotidiane alla tomba per sostenere il Ka del proprietario.

La dea Osiride
La dea Osiride

Gli antichi Egizi concepivano quindi un aldilà molto simile alla normale esistenza fisica, ma con un’accezione: il modello per questa nuova esistenza era il Viaggio del Sole. Di notte il Sole scendeva nel Duat (il mondo sotterraneo) incontrando il corpo di Osiride mummificato. Osiride e il Sole, rivitalizzati l’uno dall’altra, si innalzavano verso una nuova vita per un altro giorno.

Per i defunti, il loro corpo e la loro tomba, erano il loro “Osiride personale” e un “Duat personale”. Per questo motivo vengono spesso indicati come “Osiris”. Perché questo processo funzionasse, era necessaria una sorta di conservazione corporale, per permettere al Ba di ritornare durante la notte e di risorgere al mattino. Fino al periodo tardo, gli Egizi che non facevano parte delle famiglie reali, non si aspettavano di unirsi con la divinità del Sole, in quanto riservata esclusivamente ai faraoni e alla propria discendenza.

Per concludere questo viaggio nell’affascinante culto della morte e della vita nell’antico Egitto, vorrei citare una descrizione scritta sulla tomba di Paheri, un antico principe egiziano del piccolo villaggio di el-Kab nei pressi dei resti dell’antica città Necheb (inizio della XVIII dinastia, Nuovo Regno – circa 1500 a.C.):

Vivrai di nuovo, senza che il tuo Ba sia tenuto lontano dal tuo corpo divino, con il tuo Ba insieme ad AKH … sorgerai ogni giorno e tornerai ogni sera. Una lampada si accenderà per te nella notte fino a quando la luce del sole risplenderà sul tuo petto. Ti diranno: “Benvenuto, benvenuto, nella tua casa dei vivi!”

(tradotto dall’egittologo statunitense James Peter Allen, specializzato in linguistica e storia della religione).

In copertina il frammento di Ostrakon custodito al Museo Egizio di Torino contenente parte della storia di Khonsuemheb e del fantasma di Nebusemekh.

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