Bloody Mary
/

Bloody Mary: inquietanti dettagli sulle origini della leggenda

43 minuti di lettura

Le 3 candidate ad essere Bloody Mary

Nella lunga carrellata di potenziali ispiratrici della famosa leggenda, ho tralasciato le tre possibili vere candidate a essere incoronate le reginette Bloody Mary! Se conoscete altre varianti della leggenda o ipotetiche donne ispiratrici del tetro personaggio protagonista, lasciatelo scritto nei commenti.

Mary Lou… ancora lei?

Ricordate l’ultima candidata a Bloody Mary nel paragrafo precedente? Beh, qualcosa di vero c’è! Nel 1946 fu scritto un romanzo, che però ebbe la sua prima pubblicazione l’anno seguente e tre adattamenti: uno come musical a Broadway e due cinematografici usciti rispettivamente nel 1958 e nel 2001.
Il romanzo, dal titolo Tales of the South Pacific (Racconti dal Sud del Pacifico), che si aggiudicò il Premio Pulitzer, è una raccolta di storie che James Albert Michener (1907-1997) ha basato sulla campagna del Pacifico nella seconda guerra mondiale: osservazioni e aneddoti che ha raccolto quando era tenente comandante nella Marina degli Stati Uniti sull’isola di Espiritu Santo nelle Isole Ebridi Nuove, oggi note come Vanuatu.

James Michener (materiale del governo federale USA, file di pubblico dominio)
James Michener

Michener avrebbe potuto evitare il servizio militare nella seconda guerra mondiale come quacchero, si arruolò nella Marina degli Stati Uniti nell’ottobre del 1942. Per chi non lo sapesse, i quaccheri sono un gruppo di cristiani protestanti che fanno parte della Chiesa della Società degli amici, che crede nella capacità di ogni essere umano di poter accedere esponenzialmente alla luce interiore di “Dio che è dentro ad ognuno di noi”.

A Michener fu assegnato il compito di scrivere una storia della Marina Militare che operava nel Sud del Pacifico, dove fu trasferito nell’aprile del 1944. Per adempiere meglio il suo compito gli fu permesso di viaggiare e un incidente aereo in New Caledonia nel sud-ovest dell’Oceano Pacifico, quasi gli costò la vita. Ebbe un’esperienza di pre-morte e questo lo motivò a scrivere i racconti ispirati dalle storie ascoltate dai soldati. Quando si spostò nelle Treasury Islands (Isole del Tesoro), scoprì un villaggio inquietante chiamato Bali-ha’i che era popolato “da residenti magri e un solo maiale”, questo scrisse nel suo racconto. Attratto dallo strano luogo, non perse tempo e iniziò a scrivere la base di alcuni racconti su una macchina per scrivere malconcia.

Tales of the South Pacific
Ll’opera di Michener

La successiva tappa fu in una piantagione sull’isola di Espiritu Santo e fu lì che incontrò una donna chiamata Bloody Mary perché il suo viso era macchiato dal succo di betel rosso, detto anche noce di areca; era piccola e le mancavano molti denti, il suo parlare era rozzo, probabilmente aveva appreso parlare volgarmente dai soldati che erano stati lì. Bloody Mary si lamentava continuamente del governo coloniale francese che non le consentiva di tornare nel Vietnam dove era nata e cresciuta. Aveva persino dei piani per contrastare il colonialismo nell’Indocina francese e Michener raccolse tutte queste storie per uno dei racconti iniziali del romanzo.

Nel 2001, in un articolo su Islands Magazine, si afferma che James Michener ribattezzò Bali-ha’i con il nome di Aoba e che Bloody Mary visse sull’isola fino all’età di 102 anni. Nessuna storia di specchi, né di efferati omicidi. Che la vera Bloody Mary fosse semplicemente una povera vietnamita esiliata? Naaa, non vi piace vero? Bloody deriva da blood che in inglese è il sangue, quindi la fonte ispiratrice deve essere assolutamente spietata e sanguinaria. Ok, vi accontento.

Pikovaya dama

La leggenda di Bloody Mary ha una sua versione russa: Пиковая дама. Non conoscete il russo? Ok, Pikovaya dama, che significa Regina di Picche. Il rituale non è molto differente da quello usato per l’evocazione di Bloody Mary, ma la leggenda ha tre varianti.

Rituale #1

Pikovaya dama, fonte: Nirelleth (Sarah) / Devianart
Pikovaya dama

La prima versione narra di una giovane e bella ragazza, vissuta nel XIII secolo in un piccolo villaggio russo. Gli uomini locali facevano a gara per entrare nelle sue grazie, ma la giovane non si degnava di guardare o assecondare alcun uomo, anzi, spesso era scontrosa con loro. Molte donne erano invidiose e così, alcune di loro con la complicità di alcuni uomini, decisero di sfigurarla per vendicarsi. Vergognandosi del suo nuovo aspetto, la ragazza si allontanò dal villaggio senza farne più ritorno, scegliendo di vivere nei boschi.

Proprio nei boschi iniziò a studiare magia nera, divenendo così una strega sempre più abile con i sortilegi. Ossessionata dal voler tornare a essere bella, per molti anni pensò a come poter riottenere il suo giovane e bell’aspetto. Oramai vecchia, prima di morire, fece un rito che alla sua morte il suo spirito si sarebbe nascosto in uno specchio, maledicendo chiunque l’avesse chiamata a guardare il suo volto sfigurato sotto un velo nero. Piaciuta la storia? Non è altro che un’ennesima versione della leggenda e, fra l’altro, quella che meno c’entra con il nome di Regina di Picche.

Rituale #2

Non soddisfatto della storia reperita, ho fatto alcune ricerche nel folklore russo e quel poco che ho scoperto è che la leggenda narra di una signora ritenuta malvagia perché evitata dalle persone e additata come portatrice di sventura. Un giorno un artista ritrasse il suo volto che finì in un mazzo di carte come regina di picche. Il seme fu scelto perché ricorda un cuore nero capovolto, come simbolo dell’animo della donna. Da questa leggenda ne trassero molte altre con l’inserimento dello specchio come elemento di contatto.

Rituale #3

Aleksandr Sergeevič Puškin, ritratto del 1827 di Vasilij Andreevič Tropinin
Aleksandr Sergeevič Puškin

Un’altra variante sembra riportare al poeta e scrittore Aleksandr Sergeevič Puškin (1799-1837) che nel 1834 pubblicò un racconto dal titolo La Dama di Picche, forse uno dei suoi racconti più famosi.
Nella storia, un commilitone di nome Tomskij racconta al suo superiore di nome Hermann, della nonna contessa, accanita giocatrice di carte. La nobildonna, dopo aver perso tutto il suo patrimonio in una partita a carte a Parigi, chiede un prestito al Conte di Saint-Germain, che conoscendo il vizio del gioco della signora, preferisce non prestarle dei soldi ma svelarle un trucco per vincere a carte. La contessa vinse quasi tutte le partite rientrando del suo capitale e arricchendosi ulteriormente.

Hermann vuole quindi conoscere il segreto della donna e ne diventa uno stalker al punto di circuire la badante dell’anziana signora rivelandole il suo amore per lei, chiaramente falso. La badante, Lizaveta Ivanovna, spiega a Hermann come poter entrare nella casa senza essere visto e una notte, mentre l’anziana sta per dormire, la minaccia con una pistola scarica di rivelargli quel trucco, ma lei muore d’infarto. Per non destare sospetti, si presenta al funerale della contessa e poi, una volta rientrato a casa, cade in un sonno profondo. È svegliato da alcuni rumori ed è lì che vede lo spirito della contessa deciso ad aiutarlo a vincere al gioco grazie a tre carte: il tre, il sette e l’asso.

Dovrà però giocare quella stessa sera e prometterle di sposare Lizavet. Hermann accetta ed esce subito a giocare. Hermann vince le prime due partite, ma all’ultima, dove punta tutto sull’asso, esce al suo posto la dama di picche che ha il volto beffardo della contessa. Hermann perde tutto e impazzisce. Sarà rinchiuso in un istituto psichiatrico, dove ripeterà incessantemente “tre, sette, asso, tre, sette, dama…”

Mary I Tudor

Un’altra possibile candidata è Mary I della casata Tudor (1516-1558), regina di Inghilterra che regnò dopo la morte di suo fratello Edoardo VI. Era figlia di re Enrico VIII e della sua prima moglie, la principessa spagnola Caterina d’Aragona. Quando Mary divenne regina nel 1553 e fu la prima donna a regnare senza consorte. Durante il suo regno durato cinque anni, Mary fece bruciare sul palo oltre trecento dissidenti religiosi in quelle che sono conosciute come le persecuzioni mariane. Era un “vizio di famiglia”: suo padre fece giustiziare ottantuno persone per eresia e la sua sorellastra, Elisabetta I, ne fece giustiziare pochi di meno.

Mary aveva subito diverse false gravidanze e soffriva di quello che potrebbe essere stato il cancro uterino o ovarico. Morì a St. James Palace a Londra, il 17 novembre 1558 e fu sepolta nell’Abbazia di Westminster. La sua sorellastra le successe sul trono come Elisabetta I nel 1559. Le atrocità di Mary furono documentate da John Foxe, esperto di storie di martiri e persecuzioni, nel suo The Actes and Monuments, noto anche come il Libro dei martiri di Foxe, un resoconto dettagliato di ogni singolo martire che morì per la sua fede sotto la Chiesa cattolica.

Fu pubblicato per la prima volta nel 1563, cinque anni dopo la morte di Mary: trenta delle cinquantasette illustrazioni raffigurano esecuzioni sotto il suo regno. L’opera ebbe ben quattro edizioni nella sola vita di Foxe. Penso che anche la regina Mary di casa Tudor possa aggiudicarsi la maternità del nome e della leggenda di Bloody Mary.

La regina Mary I della casa Tudor dipinta da Anthonis Mor nel 1554
La regina Mary I della casa Tudor

Qualunque sia la vera ispiratrice della leggenda di Bloody Mary, più volte ho letto di testimoni che hanno provato il rituale davanti allo specchio e dopo aver fissato a lungo il proprio riflesso, hanno raccontato di aver intravisto un volto accanto al loro, non distinguibile ma sufficiente per spaventarli. Nel 2010 fu eseguito un esperimento da Giovanni Caputo, psicologo e ricercatore dell’Università di Urbino e descritto in un articolo della rivista Mental Floss.

Furono scelte cinquanta persone che furono fatte entrare da sole in una stanza scarsamente illuminata, chiedendo loro di fissare il proprio riflesso allo specchio per dieci minuti. Il 66% dei partecipanti ha riferito di aver visto “enormi deformazioni” del proprio viso, mentre il 48% invece ha raccontato di aver visto anche “esseri mostruosi”. Altri descrissero di aver visto un loro genitore deceduto, altri ancora, invece, musi di animali oppure il volto di una donna anziana o quello di un bambino. Anche in questo caso abbiamo a che fare con il fenomeno chiamato pareidolia, la straordinaria capacità di vedere i volti in forme astratte e, in questo caso, l’illuminazione fioca e la stanchezza della vista hanno portato le persone a vedere un altro volto accanto al proprio riflesso.

Inoltre, quando un’immagine è distorta, il nostro cervello attinge da ricordi e da esperienze vissute, o immagini che abbiamo visto in televisione, al cinema o in qualche rivista, così da colmare le lacune. La paura porta a pensare a immagini inquietanti e l’associazione allo spirito, a quello di una persona defunta. Lo stesso effetto è ottenuto anche quando due persone si fissano l’una di fronte all’altra per parecchi minuti. Questo secondo esperimento fu condotto sempre dallo psicologo nel 2013.

E voi, conoscete altre varianti di questa storia?

error: Content is protected !!