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Le Origini di Bloody Mary

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Quando in ambito paranormale o horror si parla di specchi e della loro connessione con gli spiriti, salta subito in mente una delle leggende metropolitane più conosciute: Bloody Mary. La leggenda annuncia che ripetendo questo nome più volte davanti allo specchio si evocherebbe lo spirito di una strega. Esistono molte versioni della leggenda e molte candidate a essere le fonti ispiratrici. Probabilmente alcune di queste le conoscete già, ma sono certo che altre non le avete mai sentite. Come si dice: ogni leggenda ha un fondo di verità e Archaeus è sempre curioso di conoscere quella verità, attraverso ricerche e studi meticolosi.

Leggenda o verità?

La leggenda di Bloody Mary risale all’America di fine Ottocento, quando la medicina non era ancora in grado di guarire da virus mortali come la peste e il vaiolo. A quel tempo una ragazzina di sedici anni (qualcuno riporta quattordici), figlia di una lavandaia e di un medico, si ammalò di difterite (qualcuno riporta tifo). La mancanza di cure adeguate portò la ragazza in uno stato comatoso. Il padre medico, sapendo la pericolosità della malattia capace di portare alla morte, per evitare il contagio agli altri membri della famiglia e della comunità, decise di seppellire il suo corpo ancora vivo se pur non cosciente. La moglie del medico non era per nulla d’accordo, anche per via della sua fede cristiana e pregava con la speranza di riuscire a trovare la cura che la potesse guarire. La ragazzina, che comunque non dava segni di ripresa, fu seppellita per volontà del padre, nel campo fuori dalla casa. La madre decise di legare un’estremità di una corda al suo polso e l’altro fuori dalla tomba su un sostegno di ferro battuto (qualcuno riporta invece che fu fissato alla porta di casa). Alla corda decise anche di legare anche un campanellino che, nel caso la sfortunata sedicenne si fosse risvegliata dal coma, avrebbe potuto allertare la famiglia per trarla in salvo. La leggenda narra che il medico iniettò alla moglie un sedativo per tenerla tranquilla. In altre versioni della leggenda un potente narcotico non fu somministrato alla moglie, bensì alla figlia per evitare che si risvegliasse una volta sotterrata.

Il giorno seguente si recarono quindi nel punto in cui la ragazza era stata sepolta e con sorpresa videro la campana a terra e la corda strappata. Si misero a scavare affannosamente fino ad arrivare alla cassa di legno: la aprirono e videro il corpo esanime, gli occhi spalancati per il terrore o il soffocamento, il vestito sporco di sangue e le dita prive di unghie che trovarono conficcate nel coperchio della cassa con evidenti strisce di sangue. Evidentemente la forza della disperazione portò la ragazza a cercare di scavare nel legno per uscire dalla tomba. La leggenda che circola in rete finirebbe qui. Cosa c’entra dunque lo specchio?

Perché l’invocazione allo specchio?

Alcune ricerche più approfondite sulla leggenda di Bloody Mary hanno un finale diverso. La mattina la madre della ragazza sepolta, si sveglia e non trova il marito accanto a lei sul letto. Si alza, giunge in bagno e lo trova a terra per arresto cardiaco. Aveva una ferita alla testa e lo specchio era rotto. Alcune fonti raccontano che sia stato lo spirito rabbioso della figlia a terrorizzarlo a morte apparendogli allo specchio. Qualcun altro riporta invece che il padre vedendo lo spirito della figlia nel bagno, ebbe un malore e cadendo finì con lo sbattere la testa sullo specchio rompendolo. Io aggiungo che potrebbe non aver visto alcuno spirito e che morì per il dolore della perdita subita e per quello che aveva fatto per salvare sé stesso e sua moglie, o altri figli nel caso ne avessero.

Nacque così la leggenda di Bloody Mary, che nelle sue prime versioni avvertiva così l’incauto avventore:

“posizionati davanti a uno specchio illuminandoti nel buio con la sola luce di una candela; gira su te stesso ed evoca per tre volte Bloody Mary: la vedrai apparire nello specchio accanto al tuo riflesso con le mani sanguinanti e protese verso di te. A quel punto il terrore sarà tale che cadrai in coma per quattro giorni e al quinto morirai…”

Non capisco il senso di questo monito: mi pare ovvio che nessuno abbia l’interesse di morire d’infarto solo per riuscire a vedere lo spettro di Bloody Mary; ma questi avvertimenti leggendari sono costruiti apposta per evitare che qualcuno lo sperimenti davvero per scoprire che non appare nessuno spettro. Nel caso non apparisse, sarà data colpa al rito eseguito male: quindi o si vede e si muore, o il rito non è andato a buon fine. Questo accade anche per la tavola Ouija, della quale esistono moltissime persone che avvertono i curiosi a desistere dall’usarla perché ci sarebbe il pericolo di mettersi in contatto con spiriti malevoli o addirittura demoni persecutori che si spacciano per le anime dei defunti interpellati.

Tornando a Bloody Mary, la versione del coma e della morte è molto recente, comparsa nelle varie creepypasta (termine inglese che deriva da Copy and Paste, cioè Copia e Incolla); si tratta di racconti brevi che nascono con l’intenzione di terrorizzare il lettore e si diffondono in rete da sito in sito, come ad esempio 4Chan, fondato da Christopher Poole nel 2003, in cui si postano “discussioni” in forma anonima per lo più dedicate ad anime e manga giapponesi.

Ma chi era davvero Bloody Mary?

Le ipotesi sono molte e nessuna accreditata, perché le leggende non hanno fonti attendibili e la loro storia si perde in rete. Di seguito le analizzerò tutte, una per una, spiegandone l’origine e scartandole fino ad arrivare a quelle che potrebbero essere le fonti più attendibili.

Mary Worth

La prima donna alla quale hanno attribuito la maternità della leggenda è Mary Worth, vissuta più di un secolo fa. La leggenda racconta di una donna solitaria che viveva in una piccola casa in mezzo al bosco vicino a un villaggio. Dove? Mistero! A chi coraggiosamente varcava la soglia della sua abitazione in cerca di aiuto, Mary offriva loro unguenti, tinture e rimedi erboristici in cambio di denaro o cibo. La leggenda racconta che le bambine del villaggio iniziarono a sparire una a una. Nonostante qualcuno arrivasse a indagare a casa di Mary Worth, la donna prontamente negava di averle mai viste. L’aspetto della donna, da anziana e sofferente, sembrava più giovane e in salute. Il sospetto che rapisse le bambine e le usasse per qualche suo rito di ringiovanimento era sempre più alto. Gli abitanti del villaggio scoprirono ossa umane nella sua piccola stalla adiacente alla casa e decisero di catturarla per metterla al rogo. Tuttavia, qualcosa di vero c’è: il nome è il titolo di un fumetto americano di successo (ben settant’anni di stampe) pubblicato nel 1938 con il nome esteso Mary Worth’s Family, poi abbreviato come Mary Worth nel 1942. Nessuna strega però fa parte del racconto.

Il fumetto di Mary Worth del 1942

Mary Whales

Un’altra candidata è Mary Whales: ho potuto leggere la storia nel libro di S.E. Schlosser che raccoglie alcune leggende dal folklore dell’Indiana. La leggenda narrata dall’autrice, racconta di un vecchio uomo ricco e malvagio della famiglia che amava il denaro più di tutto, tranne che della moglie, della quale era molto innamorato. Quando la moglie morì nel dare alla luce una bambina che chiamò Mary. La bambina crebbe nell’indifferenza del padre che la odiava perché considerata colpevole della morte della moglie. A lei erano destinati i lavori più sporchi e faticosi della fattoria. Mary più cresceva e più diventava bella e somigliante alla madre. Una notte, suo padre ubriaco e in preda alla rabbia e alla disperazione, uccise Mary a coltellate mentre stava dormendo. Il suo spettro lo perseguitò a lungo fino al giorno in cui apparve allo specchio mentre stava radendosi, indicando all’uomo il cappio appeso alle travi di casa e lui obbedì, impiccandosi. L’avvincente e tetra storia è narrata egregiamente dall’autrice nel suo Spooky Indiana: Tales Of Hauntings, Strange Happenings, And Other Local Lore, pubblicato nel 2012.

Mary Worthington

Un’altra versione della leggenda identifica in Mary Worthington la candidata ispiratrice della leggenda di Bloody Mary. La serie televisiva Supernatural ha più volte mostrato questo leggendario personaggio. In questa versione della leggenda, Mary era una bella ragazza di diciannove anni che viveva sola a Fort Wayne, nell’Indiana. Dopo aver vinto alcuni concorsi di bellezza locali, era desiderosa di uscire dall’Indiana per studiare e diventare attrice, ma fu assassinata il ventinove marzo. Di quale anno? Non si sa! La leggenda racconta che le cavarono gli occhi con un coltello e che prima di morire si trascinò davanti ad uno specchio per cercare di scrivere con le dita sporche di sangue, il nome del suo assassino; riuscì solamente a scrivere T R E. Un sospettato, fu un chirurgo di nome Trevor Sampson, ma non avendo prove sufficienti, non fu mai arrestato. In questa versione della leggenda, Mary perseguita le persone che hanno commesso omicidi e che non sono state giustiziate, apparendo accanto al loro riflesso nello specchio e bruciando i loro occhi. Se volete conoscere altre informazioni, seguite la serie Supernatural!

L’attrice Jovanna Burke nel ruolo di Bloody Mary nella serie Supernatural

Curioso di così tante fonti su Mary Worthington, ho fatto una ricerca attraverso Findagrave.com in cui sono riportati i decessi e le persone sepolte nei cimiteri, per lo più americani. Al cimitero di Fort Wayne sono seppellite molte donne con il nome Mary Worthington. Ho cercato notizie nei siti locali, ma non esistono tracce di una donna alla quale abbiano affibbiato la leggenda, quindi probabilmente è un’altra creepypasta.

Esisterebbe però una Mary Worthington (qualcuno l’ha abbreviato ancora come Worth), una delle vittime del processo sulle streghe di Salem. Dalla lista delle donne processate a Salem, però, non appare alcuna Mary Worthington o Mary Worth. Sono presenti altre donne di nome Mary, che forse si siano ispirate a una di queste? Difficile poterlo affermare. Eppure dalle streghe processate a Salem, non sarebbe l’unica candidata.

Mary Johnson

Altra Mary in lista è, dunque, la Johnson, una delle vittime della persecuzione alle streghe di Salem. Mary Johnson è nota per essere stata la prima a confessare sotto costrizione nel 1646, nel Connecticut, i propri rapporti con il diavolo. Mary era una serva contadina che fu arrestata per furto nella casa dei padroni. Subì un lungo interrogatorio da parte del ministro Samuel Stone (1602-1663), noto per aver condannato decine di donne per stregoneria, e anche una lunghissima fustigazione che la portò ad ammettere la propria “familiarità con il diavolo”. Sotto tortura, infatti, la donna descrisse i propri crimini con l’aiuto del diavolo. Ammise addirittura atti impuri con demoni e uomini, e persino l’omicidio di un bambino. E pensare che la prima accusa d’arresto sarebbe stata solamente per un furto… Cosa non fa dire una tortura estenuante… vero? Mary Johnson non fu condannata subito a morte perché incinta. Fu messa al rogo dopo la nascita del bambino. In una versione del rito di evocazione, bisogna essere almeno in due, meglio se in gruppo, in una stanza completamente buia e porsi in cerchio tenendosi per mano ripetendo insieme: “Vieni… Mary Johnson…Vieni!”. Nel caso l’evocazione andasse a buon fine, si dovrebbe vedere una luce fioca sopra la persona prescelta dallo spirito. Ma prescelta per cosa???

The Witches: Salem del 1692, di Stacy Schiff

Mary Weatherby

Un’ennesima versione della leggenda narra di Mary Weatherby, una giovane che fu investita negli anni Sessanta da un pirata della strada. L’incidente fu talmente violento che il suo viso fu sfigurato e la persona al volante dell’auto fuggì senza prestarle soccorso. La giovane vittima, essendo sfigurata, aveva gettato tutti gli specchi perché non poteva sopportare la sua immagine riflessa e in preda ad una terribile depressione, si tolse la vita. Anche questa versione non riporta date o località, quindi si tratta di un’altra leggenda metropolitana nata in rete.

Svarta Damen

Una leggenda molto simile a quella di Bloody Mary, proviene dalla Svezia, in cui si racconta di una donna chiamata la Svarta Damen (che tradotto in italiano è Nera Signora), che apparirebbe nello specchio dopo aver pronunciato per dodici volte “Jag tror på dig, Svarta Damen!”, in altre parole “Io credo in te, Nera Signora”. Il volto che apparirebbe accanto al nostro riflesso sarebbe di una donna dalla pelle nera con una folta chioma di capelli verdi, dal sorriso sporco di sangue e con lo sguardo spiritato, i cui occhi sarebbero luminosi di un giallo-arancio fuoco… Un vero bijoux!

Svarta Damen in una sua rappresentazione – fonte: Livet på Nedergård

Hell Mary!

Un’altra versione di Bloody Mary reperita in rete vorrebbe vederci fissare allo specchio senza mai distogliere lo sguardo, in una stanza illuminata dalla solita candela e pronunciare sette volte “Hell Mary!” (il senso opposto di Ave Maria) dopo la mezzanotte o alle fatidiche 3:33: se il rito funziona, dovrebbe apparire nello specchio l’immagine del diavolo. E quindi cosa c’entra Mary???

Mary Bloodsworth

Sulla collina che si vede alle spalle della Boston Latin School, nel Massachusetts, la prima scuola aperta nel Nuovo Mondo, ci sarebbe un antico cimitero. Fra le tombe ci sarebbe anche quella di una certa Mary Bloodsworth (ancora una volta il cognome Worth che abbiamo già letto in altre versioni!). Questa donna sarebbe stata processata e impiccata nel Natale del 1741 per aver ucciso le mucche dei fattori dell’antico villaggio e per aver portato alla pazzia una giovane donna di vent’anni, tanto da farla suicidare nel fiume. Il cadavere della strega fu posto in una cassa con il volto rivolto. Il suo corpo fu legato con delle catene per paura che potesse uscire dalla propria tomba nel caso tornasse in vita. Nella scuola alcuni raccontano di averla vista riflessa negli specchi dei bagni. Mi è bastato scrivere un’email alla scuola per scoprire che leggenda non circola nemmeno fra gli studenti, quindi ennesima creepypasta nata in rete.

Mary Lou

Infine abbiamo anche Mary Lou, una liceale degli anni Cinquanta che morì a causa di uno scherzo durante la festa di ballo di fine anno; nel momento di incoronarla come reginetta dell’anno, alcuni ragazzi le fecero esplodere dei petardi sotto il vestito che prese prontamente fuoco facendola morire per le gravissime ustioni. Notizia del tutto infondata e la scena dello scherzo durante l’incoronazione ricorda moltissimo quello raccontato da Stephen King nel suo Carrie del 1974 poi trasposto nel 1976 al cinema nell’omonimo film di Brian De Palma e nel suo rifacimento del 2013 diretto da Kimberly Peirce, dove lo scherzo è far cadere della vernice rosso sangue sulla protagonista.

Sissy Spacek nel ruolo di Carrie White nel film Carrie del 1976

Erzsébet Báthory è Bloody Mary?

Come sanguinaria mi viene in mente Erzsébet Báthory, conosciuta meglio come Elizabeth Bathory; chi più di lei perché era chiamata contessa sanguinaria? La Báthory era nobildonna ungherese vissuta fra il 1560 e il 1614 per via di una storia macabra che la riguarda. Quando il marito Ferenc I Nádasdy si allontanava dal palazzo per parecchio tempo, giorni a volte mesi per questioni politiche, Erzsébet faceva visita sempre più spesso alla zia Karla, una contessa viziosa che organizzava orge a sfondo sessuale. Durante una di queste orge conobbe Dorothea Szentes detta Dorka, un’esperta di arti magiche legata per lo più all’uso di magia nera e con tendenze sadiche. Dorka assieme al suo collaboratore e servo Thorko iniziarono a insegnare a Erzsébet pratiche di magia nera. A prova di questo esiste una lettera scritta al marito; ve la riporto nella sua traduzione in italiano:

«Ho appreso da Thorko una nuova deliziosa tecnica: prendi una gallina nera e la percuoti a morte con la verga bianca; ne conservi il sangue e ne spalmi un poco sul tuo nemico. Se non hai la possibilità di cospargerlo sul suo corpo, fai in modo di procurarti uno dei suoi abiti e impregnalo con il sangue».

Erzsébet Báthory [1560-1614]

Erzsébet e il marito Ferenc non erano completamente sani di mente. Amavano torturare le persone e questo a prescindere dagli insegnamenti da parte di Dorka e del suo servo. La Báthory fu molto affascinata dalla “strega” e la sua natura narcisista e malevola stava per arrivare al suo apice. I due coniugi non tolleravano in alcun modo menzogne o fughe da parte della servitù: una serva di soli dodici anni, tentò la fuga dalla loro dimora, ma fu acciuffata e rinchiusa in una gabbia cilindrica, un tipico strumento di tortura medievale che era sospeso dal muro e, alla contessa, piaceva porlo nel cortile, sotto il sole e alle intemperie, per causare una lenta morte del malcapitato. La ragazzina fu quindi svestita, lasciandole addosso solo lunga camicia bianca, fu messa in questa gabbia troppo stretta e bassa per poterci stare in piedi. Erzsébet però, sadica com’era, aggiunse alla gabbia sospesa, un meccanismo in più che la faceva oscillare e sbattere contro una parete di paletti appuntiti così da provocarle ferite mortali. Un’altra tortura ideata dalla Báthory era versare in pieno inverno da una finestra, dell’acqua fredda sulle vittime legate seminude nel cortile esterno facendole morire assiderate. Anche Ferenc era molto sadico: punì una serva sospetta di aver mentito sul proprio stato di salute, facendole infilare fra le dita dei piedi e delle mani, dei pezzi di carta impregnati d’olio per poi dar fuoco. I due coniugi usavano queste torture come monito per la servitù ancora in vita. La Báthory è però diventata famosa per un altro drammatico atto sadico tramandato dai suoi servi. Un giorno la nobildonna schiaffeggiò violentemente una sua serva tanto da ferirla alle labbra; il suo sangue le sporcò la mano che tentò di pulirsi in fretta, ma che invece imbrattò ulteriormente. Dopo qualche giorno notò che la pelle di quella mano sembrava essere ringiovanita. Si rivolse così a dei suoi fidi alchimisti per capirne il motivo, ma non volendola contraddire per paura, le confermarono che il sangue delle giovani donne ancora vergini ringiovanisse la pelle. Erzsébet Báthory viene, infatti, ricordata per aver ucciso moltissime sue serve e averne usato il sangue nei suoi bagni o addirittura di averlo anche ingerito.

Erzsébet Báthory dipinta da Anthonie Blocklandt van Montfoort nel 1580
fonte: elizabethbathory.org

Si narra abbia ucciso più di seicento giovani contadine. Parrebbe che il famoso strumento di tortura chiamato la Vergine di Norimberga, sia stato ispirato al marchingegno ideato dalla Báthory, la Vergine di Ferro, una statua metallica che invece di avere le lame al suo interno, le aveva all’esterno; la contessa costringeva le vittime in un abbraccio mortale con la statua. Il sangue ricavato da questa tortura si aggiungeva alle ampolle destinate a preservare la sua bellezza. La Báthory, a seguito dei suoi brutali riti, fu murata viva nel suo castello in Slovacchia.

Vi starete domandando quale connessione ci sia fra Erzsébet Báthory e Bloody Mary; alcune leggende antiche ricordano quella di Bloody Mary e hanno una datazione poco successiva alle terribili gesta della contessa tramandate oralmente. Io però lo escludo, ma se non altro mi ha dato modo di raccontarvi una storia, a mio parere, più interessante.

Le tre candidate a essere Bloody Mary

Nella lunga carrellata di potenziali ispiratrici della famosa leggenda, ho tralasciato le tre possibili vere candidate a essere incoronate le reginette Bloody Mary! Se conoscete altre varianti della leggenda o ipotetiche donne ispiratrici del tetro personaggio protagonista, lasciatelo scritto nei commenti.

Mary Lou… ancora?

Ricordate l’ultima candidata nel paragrafo precedente? Beh, qualcosa di vero c’è! Nel 1946 fu scritto un romanzo, che però ebbe la sua prima pubblicazione l’anno seguente e tre adattamenti: uno come musical a Broadway e due cinematografici usciti rispettivamente nel 1958 e nel 2001.
Il romanzo, dal titolo Tales of the South Pacific (Racconti dal Sud del Pacifico), che si aggiudicò il Premio Pulitzer, è una raccolta di storie che James Albert Michener (1907-1997) ha basato sulla campagna del Pacifico nella seconda guerra mondiale: osservazioni e aneddoti che ha raccolto quando era tenente comandante nella Marina degli Stati Uniti sull’isola di Espiritu Santo nelle Isole Ebridi Nuove, oggi note come Vanuatu.

James Michener (materiale del governo federale USA, file di pubblico dominio).

Michener avrebbe potuto evitare il servizio militare nella seconda guerra mondiale come quacchero, si arruolò nella Marina degli Stati Uniti nell’ottobre del 1942. Per chi non lo sapesse, i quaccheri sono un gruppo di cristiani protestanti che fanno parte della Chiesa della Società degli amici, che crede nella capacità di ogni essere umano di poter accedere esponenzialmente alla luce interiore di “Dio che è dentro ad ognuno di noi”. A Michener fu assegnato il compito di scrivere una storia della Marina Militare che operava nel Sud del Pacifico, dove fu trasferito nell’aprile del 1944. Per adempiere meglio il suo compito gli fu permesso di viaggiare e un incidente aereo in New Caledonia nel sud-ovest dell’Oceano Pacifico, quasi gli costò la vita. Ebbe un’esperienza di pre-morte e questo lo motivò a scrivere i racconti ispirati dalle storie ascoltate dai soldati. Quando si spostò nelle Treasury Islands (Isole del Tesoro), scoprì un villaggio inquietante chiamato Bali-ha’i che era popolato “da residenti magri e un solo maiale”, questo scrisse nel suo racconto. Attratto dallo strano luogo, non perse tempo e iniziò a scrivere la base di alcuni racconti su una macchina per scrivere malconcia.

La copertina dell’opera di Michener

La successiva tappa fu in una piantagione sull’isola di Espiritu Santo e fu lì che incontrò una donna chiamata Bloody Mary perché il suo viso era macchiato dal succo di betel rosso, detto anche noce di areca; era piccola e le mancavano molti denti, il suo parlare era rozzo, probabilmente aveva appreso parlare volgarmente dai soldati che erano stati lì. Bloody Mary si lamentava continuamente del governo coloniale francese che non le consentiva di tornare nel Vietnam dove era nata e cresciuta. Aveva persino dei piani per contrastare il colonialismo nell’Indocina francese e Michener raccolse tutte queste storie per uno dei racconti iniziali del romanzo. Nel 2001, in un articolo su Islands Magazine, si afferma che James Michener ribattezzò Bali-ha’i con il nome di Aoba e che Bloody Mary visse sull’isola fino all’età di 102 anni. Nessuna storia di specchi, né di efferati omicidi. Che la vera Bloody Mary fosse semplicemente una povera vietnamita esiliata? Naaa, non vi piace vero? Bloody deriva da blood che in inglese è il sangue, quindi la fonte ispiratrice deve essere assolutamente spietata e sanguinaria. Ok, vi accontento.

Pikovaya dama

La leggenda di Bloody Mary ha una sua versione russa: Пиковая дама. Non conoscete il russo? Ok, Pikovaya dama, che significa Regina di Picche. Il rituale non è molto differente da quello usato per l’evocazione di Bloody Mary, ma la leggenda ha tre varianti.

Pikovaya dama 1.0

La prima versione narra di una giovane e bella ragazza, vissuta nel XIII secolo in un piccolo villaggio russo. Gli uomini locali facevano a gara per entrare nelle sue grazie, ma la giovane non si degnava di guardare o assecondare alcun uomo, anzi, spesso era scontrosa con loro. Molte donne erano invidiose e così, alcune di loro con la complicità di alcuni uomini, decisero di sfigurarla per vendicarsi. Vergognandosi del suo nuovo aspetto, la ragazza si allontanò dal villaggio senza farne più ritorno, scegliendo di vivere nei boschi. Proprio nei boschi iniziò a studiare magia nera, divenendo così una strega sempre più abile con i sortilegi. Ossessionata dal voler tornare a essere bella, per molti anni pensò a come poter riottenere il suo giovane e bell’aspetto. Oramai vecchia, prima di morire, fece un rito che alla sua morte il suo spirito si sarebbe nascosto in uno specchio, maledicendo chiunque l’avesse chiamata a guardare il suo volto sfigurato sotto un velo nero. Piaciuta la storia? Non è altro che un’ennesima versione della leggenda e, fra l’altro, quella che meno c’entra con il nome di Regina di Picche.

Pikovaya dama, fonte: Nirelleth (Sarah) / Devianart

Pikovaya dama 2.0

Non soddisfatto della storia reperita, ho fatto alcune ricerche nel folklore russo e quel poco che ho scoperto è che la leggenda narra di una signora ritenuta malvagia perché evitata dalle persone e additata come portatrice di sventura. Un giorno un artista ritrasse il suo volto che finì in un mazzo di carte come regina di picche. Il seme fu scelto perché ricorda un cuore nero capovolto, come simbolo dell’animo della donna. Da questa leggenda ne trassero molte altre con l’inserimento dello specchio come elemento di contatto.

Pikovaya dama 3.0

Un’altra variante sembra riportare al poeta e scrittore Aleksandr Sergeevič Puškin (1799-1837) che nel 1834 pubblicò un racconto dal titolo La Dama di Picche, forse uno dei suoi racconti più famosi.
Nella storia, un commilitone di nome Tomskij racconta al suo superiore di nome Hermann, della nonna contessa, accanita giocatrice di carte. La nobildonna, dopo aver perso tutto il suo patrimonio in una partita a carte a Parigi, chiede un prestito al Conte di Saint-Germain, che conoscendo il vizio del gioco della signora, preferisce non prestarle dei soldi ma svelarle un trucco per vincere a carte. La contessa vinse quasi tutte le partite rientrando del suo capitale e arricchendosi ulteriormente. Hermann vuole quindi conoscere il segreto della donna e ne diventa uno stalker al punto di circuire la badante dell’anziana signora rivelandole il suo amore per lei, chiaramente falso. La badante, Lizaveta Ivanovna, spiega a Hermann come poter entrare nella casa senza essere visto e una notte, mentre l’anziana sta per dormire, la minaccia con una pistola scarica di rivelargli quel trucco, ma lei muore d’infarto. Per non destare sospetti, si presenta al funerale della contessa e poi, una volta rientrato a casa, cade in un sonno profondo. È svegliato da alcuni rumori ed è lì che vede lo spirito della contessa deciso ad aiutarlo a vincere al gioco grazie a tre carte: il tre, il sette e l’asso. Dovrà però giocare quella stessa sera e prometterle di sposare Lizavet. Hermann accetta ed esce subito a giocare. Hermann vince le prime due partite, ma all’ultima, dove punta tutto sull’asso, esce al suo posto la dama di picche che ha il volto beffardo della contessa. Hermann perde tutto e impazzisce. Sarà rinchiuso in un istituto psichiatrico, dove ripeterà incessantemente “tre, sette, asso, tre, sette, dama…”

Mary I della casata Tudor

Un’altra possibile candidata è Mary I della casata Tudor (1516-1558), regina di Inghilterra che regnò dopo la morte di suo fratello Edoardo VI. Era figlia di re Enrico VIII e della sua prima moglie, la principessa spagnola Caterina d’Aragona. Quando Mary divenne regina nel 1553 e fu la prima donna a regnare senza consorte. Durante il suo regno durato cinque anni, Mary fece bruciare sul palo oltre trecento dissidenti religiosi in quelle che sono conosciute come le persecuzioni mariane. Era un “vizio di famiglia”: suo padre fece giustiziare ottantuno persone per eresia e la sua sorellastra, Elisabetta I, ne fece giustiziare pochi di meno. Mary aveva subito diverse false gravidanze e soffriva di quello che potrebbe essere stato il cancro uterino o ovarico. Morì a St. James Palace a Londra, il 17 novembre 1558 e fu sepolta nell’Abbazia di Westminster. La sua sorellastra le successe sul trono come Elisabetta I nel 1559. Le atrocità di Mary furono documentate da John Foxe, esperto di storie di martiri e persecuzioni, nel suo The Actes and Monuments, noto anche come il Libro dei martiri di Foxe, un resoconto dettagliato di ogni singolo martire che morì per la sua fede sotto la Chiesa cattolica. Fu pubblicato per la prima volta nel 1563, cinque anni dopo la morte di Mary: trenta delle cinquantasette illustrazioni raffigurano esecuzioni sotto il suo regno. L’opera ebbe ben quattro edizioni nella sola vita di Foxe. Penso che anche la regina Mary di casa Tudor possa aggiudicarsi la maternità del nome e della leggenda di Bloody Mary.

La regina Mary I della casa Tudor dipinta da Anthonis Mor nel 1554

Qualunque sia la vera ispiratrice della leggenda di Bloody Mary, più volte ho letto di testimoni che hanno provato il rituale davanti allo specchio e dopo aver fissato a lungo il proprio riflesso, hanno raccontato di aver intravisto un volto accanto al loro, non distinguibile ma sufficiente per spaventarli. Nel 2010 fu eseguito un esperimento da Giovanni Caputo, psicologo e ricercatore dell’Università di Urbino e descritto in articolo della rivista Mental Floss. Furono scelte cinquanta persone che furono fatte entrare da sole in una stanza scarsamente illuminata, chiedendo loro di fissare il proprio riflesso allo specchio per dieci minuti. Il 66% dei partecipanti ha riferito di aver visto “enormi deformazioni” del proprio viso, mentre il 48% invece ha raccontato di aver visto anche “esseri mostruosi”. Altri descrissero di aver visto un loro genitore deceduto, altri ancora, invece, musi di animali oppure il volto di una donna anziana o quello di un bambino. Anche in questo caso abbiamo a che fare con il fenomeno chiamato pareidolia, la straordinaria capacità di vedere i volti in forme astratte e, in questo caso, l’illuminazione fioca e la stanchezza della vista hanno portato le persone a vedere un altro volto accanto al proprio riflesso. Inoltre, quando un’immagine è distorta, il nostro cervello attinge da ricordi e da esperienze vissute, o immagini che abbiamo visto in televisione, al cinema o in qualche rivista, così da colmare le lacune. La paura porta a pensare a immagini inquietanti e l’associazione allo spirito, a quello di una persona defunta. Lo stesso effetto è ottenuto anche quando due persone si fissano l’una di fronte all’altra per parecchi minuti. Questo secondo esperimento fu condotto sempre dallo psicologo nel 2013.

E voi, conoscete altre varianti di questa storia?


In copertina: una rappresentazione artistica di Bloody Mary

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