Fantasmi e Antico Egitto: l'affascinante ghost story nella Valle dei Re

Fantasmi e Antico Egitto: l’affascinante ghost story nella Valle dei Re

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Storie di fantasmi nell’Antico Egitto

Quale connessione c’è fra fantasmi e antico Egitto? Le storie di fantasmi si sa, hanno da sempre affascinato l’uomo, sia per chi crede nello spiritismo, sia per chi ama il brivido. Queste storie hanno origini molto più lontane di quanto si possa immaginare. Quella che vorrei raccontarvi in questo articolo risale al periodo Ramesside, fra la XIX e la XX dinastia egizia, ovvero tra il 1292 e il 1064 a.C., e vede come protagonisti un sacerdote di nome Khonsuemheb (o Khonsemhab) e un fantasma irrequieto.

Ernesto Schiaparelli (Ritratto dall'Archivio Francis Amin) - Fantasmi e Antico Egitto
Ernesto Schiaparelli (Ritratto dall’Archivio Francis Amin)

Per risalire a questa storia si sono dovuti “unire” i vari frammenti di ostrakon (ceramica dell’epoca) che sono conservati nei vari musei sparsi per l’Europa: il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Louvre di Parigi, il Museo Egizio di Torino e due frammenti conservati al Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
Il frammento torinese fu l’ultimo ad essere scoperto nel 1905 dall’egittologo italiano Ernesto Schiaparelli (1856 –1928) nel villaggio egiziano di Deir el-Medina nei pressi dell’odierna Luxor, ma che al tempo si chiamava Pa demi ossia “la cittadina”.
Grazie all’ultimo frammento ritrovato si è potuto capire come iniziava questa ghost story datata 3000 anni.

La Ghost Story egizia

Premessa e racconto di fantasmi

L’inizio della storia è andato perduto, ma è sottinteso che un uomo non ancora identificato sta andando a visitare un Sommo Sacerdote di Amon, chiamato Khonsuemheb a el-Karnak, nella Valle di Tebe. Il dialogo fra i due che è riportato nella ceramica, riesce a riempire i vuoti narrativi dei frammenti mancanti. Quello che sappiamo è che quell’uomo ha appena trascorso la notte accanto ad una tomba nella Necropoli di Tebe nella Valle dei Re. Mentre era lì che dormiva, è stato svegliato da uno spirito che gli chiedeva aiuto senza dargli tregua.

Necropoli di Tebe nella Valle dei Re
Necropoli di Tebe nella Valle dei Re

Quindi il Sommo Sacerdote, con il favore degli dèi, spera di riuscire ad evocare quel fantasma che aveva perseguitato l’uomo. Il fantasma si manifesta e si identifica come Nebusemekh (o Niutbusemekh), figlio di Ankhmen e Tamshas. Lo spettro informa Khonsuemheb che è morto da 800 anni e che, nella vita terrena, era stato un ufficiale militare sotto il faraone Rahotep, nonché sovrintendente dei tesori. Quando morì, il funzionario fu sepolto con tutti gli onori a lui dovuti. Nel corso dei secoli, però, la sua tomba era crollata e fu condannato a un aldilà di vagabondi irrequieti.

Khonsuemheb, così racconta questa storia, promette di rendere giustizia e di aiutarlo a trovare la pace, ma lo spirito è scettico a riguardo perché il Sommo Sacerdote non era il primo a promettergli tale pace. In questa parte della storia c’è qualche incertezza in termini di traduzione, ma pare che la difficoltà dello spettro a trovare pace derivi dal fatto che nessuno sapesse dove fosse deposta la sua antica tomba. Khonsuemheb intanto si offre di ricostruire una nuova tomba e di fornire allo spirito una bara dorata di ziziphus, un genere di piante che cresce sotto forma di cespugli o di piccoli alberi dotati di spine, un tentativo per placare la sua irrequietezza e renderlo pacifico.

Tuttavia, manda dieci dei suoi servitori a fare offerte quotidiane nella sua nuova tomba, ma il fantasma si lamenta che quest’ultima idea non è di alcuna utilità. Khonsuemheb, decide così di restarsene seduto accanto al fantasma, piangendo e volendo condividere lo sfortunato destino dello spettro, privandosi di cibo, acqua, aria e luce del giorno. Il Sommo Sacerdote decise di inviare altri tre uomini alla ricerca della misteriosa e introvabile tomba.

Come finirà questa storia di fantasmi egizi?

Tomba di Khonso-Im-Heb dedicata alla dea Mut nel periodo Ramesside (dal 1298 a.C. al 1069 a.C.)
Tomba di Khonso-Im-Heb dedicata alla dea Mut nel periodo Ramesside

Purtroppo però la storia finisce qui perché mancano ancora frammenti necessari per completarla. Quello che si presume dal testo successivo è che i tre uomini tornarono a el-Karnak da Khonsuemheb riferendo di aver ritrovato la tomba del fantasma vicino a quella del faraone Montuhotep II, a Deir el-Bahri, sulla sponda occidentale del Nilo, proprio di fronte alla città di Luxor, un sito che oggi ospita alcuni complessi funerari egizi. Infatti l’epoca nella quale Nebusemekh, il fantasma, dice di essere morto, coincide proprio nell’estate del 14° anno del faraone Montuhotep II.

Questi infatti gli fornì un set di vasi canopi, fatti di calcite e con teste di legno dipinte, usati dagli antichi Egizi durante il processo di mummificazione per conservare le viscere del corpo svuotato, in modo da potersene riappropriare nell’aldilà. Inoltre diede a Nebusemekh un sarcofago in alabastro e una tomba di dieci cubiti. Il cubito era un’antica unità di lunghezza che aveva diverse definizioni in base a ciascuna delle diverse culture che la  utilizzavano. La lunghezza di un cubito variava tra i 444 mm e i 529,2 mm.

Quindi calcolando la misura del sarcofago doveva aggirarsi sui 4-5 metri circa. Ma a quanto pare nel corso dei secoli, la tomba crollò parzialmente, permettendo così al vento di raggiungere la camera funeraria. Così ritrovata la tomba, il Sommo Sacerdote Khonsuemheb deve aver rievocato lo spirito per dargli buone notizie. Molto probabilmente mantenne la sua parola per assicurare il riposo eterno dello spirito, ma è solamente un’ipotesi perché non conosciamo realmente il finale scritto migliaia di anni fa.

Fantasmi e Antico Egitto

L’antico Egitto era un luogo dominato dalla magia e dalla religione. Secondo le storie di creazione egiziane, il dio Atum ha creato il mondo dal caos, utilizzando heka (o hike, la deificazione della magia). Poiché la Terra fu creata con la magia, gli antichi Egizi credevano che il mondo fosse impregnato di magia e così ogni cosa vivente su di essa. Quando gli umani furono creati, quella magia prese la forma dell’anima, una forza eterna che risiedeva in e con ogni essere umano. Il concetto dell’anima e delle parti che lo circondano, varia dall’Antico Regno al Nuovo Regno, passando a volte da una dinastia all’altra.

L'egittologa Rosalie David - Fantasmi e Antico Egitto
L’egittologa Ann Rosalie David

L’egittologa Ann Rosalie David, prima donna professoressa in egittologia in Gran Bretagna e la prima a ricevere un OBE (Officer of the Order of the British Empire, Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico) in riconoscimento dei suoi servizi in Egittologia, spiega che gli antichi Egizi credevano che la personalità umana avesse molte sfaccettature, un concetto probabilmente sviluppato all’inizio del Vecchio Regno.

Nell’esistenza terrena, una persona era un’entità completa, ma se avesse condotto una vita virtuosa, avrebbe potuto anche accedere a una molteplicità di forme nell’altro mondo. In alcuni casi, queste forme potevano essere utilizzate per aiutare coloro che il defunto desiderava sostenere o, in alternativa, per vendicarsi dei suoi nemici. Affinché questi aspetti dell’anima funzionassero, il corpo doveva rimanere intatto, ed è per questo che la mummificazione divenne così parte integrante dei riti mortuari e della cultura. In alcune epoche si pensava che l’anima fosse composta da cinque parti e in altre sette, ma, in generale, erano nove.

L’anima quindi non era solo il proprio carattere, ma un essere composto da diverse entità, ognuna delle quali aveva un ruolo ben distinto da svolgere nel viaggio della vita nell’aldilà.

Khat

Khat su Tutankhamon con la dea Hathor - Fantasmi e Antico Egitto
Khat su Tutankhamon con la dea Hathor

Una fra queste era Khat (o Sekhu), ovvero il corpo fisico che, una volta divenuto cadavere, forniva il collegamento tra l’anima e la vita terrena come una sorta di ponte. L’anima infatti aveva bisogno di essere nutrita dopo la morte mentre restava ancora sulla dimensione terrena, e così le offerte di cibo e bevande venivano portate alla tomba e deposte su un tavolo adibito alle offerte. L’egittologa Helen Strudwick (cognome acquisito dopo il matrimonio con l’egittologo Nigel Strudwick), che dal 2001 lavora al Fitzwilliam Museum e si occupa di archeologia funeraria, osserva che “uno dei soggetti più comuni per le pitture tombali e le incisioni, era il defunto seduto a un tavolo delle offerte carico di cibo”. Il corpo morto non era stato pensato per mangiare veramente quel cibo, ma per assorbire i suoi nutrienti in modo soprannaturale.

Ka

Statua in legno del Ka sul Re Hor I / Au-ib-Re
Statua in legno del Ka sul Re Hor I / Au-ib-Re

Nella tomba venivano poi collocati dipinti e statue del defunto in modo che, se qualcosa avesse danneggiato il corpo, la statua o il dipinto avrebbero potuto fungere da “personificazione” del suo ruolo. Le liste delle offerte erano incise sulle tombe e riportavano la tipologia e la quantità di cibo da portare sul tavolo. Se la famiglia non era in grado di svolgere questo compito, potevano assumere un “servitore di Ka”, che era un sacerdote appositamente addestrato nei rituali. Una tomba non poteva essere trascurata, altrimenti lo spirito della persona avrebbe sofferto nell’aldilà, tornando quindi a cercare vendetta.

Un altro elemento era appunto il Ka, il proprio sé, un doppio ma astrale, che corrispondeva a ciò che la maggior parte delle persone al giorno d’oggi considera un’anima. Attenzione… Anima, non fantasma!
Ka era “la fonte vitale che consentiva a una persona di continuare a ricevere offerte nel prossimo mondo”, come scrive in suo libro la professoressa Rosalie David.

Il Ka si sarebbe creato al momento della propria nascita e rifletteva così la propria personalità, ma si credeva anche che l’essenza fosse sempre esistita ed era “passata attraverso le generazioni successive, portando la forza spirituale della prima creazione”. Il Ka non era solo la personalità, ma anche una guida e un protettore, permeati della scintilla del divino. Era il Ka che avrebbe assorbito il potere dalle offerte di cibo lasciate nella tomba, e queste lo avrebbero sostenuto nell’aldilà. Tutti gli esseri viventi avevano un Ka, dalle piante agli animali e fino agli dèi, il che era evidente perché semplicemente vivi.

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