Nel vasto panorama delle presunte facoltà paranormali, la chiaroveggenza occupa da sempre un posto di rilievo, suscitando al contempo fascinazione, scetticismo e curiosità. Con questo termine si fa riferimento alla presunta capacità di ottenere informazioni su oggetti, persone o eventi non accessibili attraverso i normali canali sensoriali. In altre parole, si tratterebbe di una forma di percezione extrasensoriale (ESP) – spesso chiamata anche sesto senso – in grado di superare i limiti spazio-temporali dell’esperienza ordinaria.
Il termine chiaroveggente deriva dal francese clairvoyant, letteralmente “colui che vede chiaramente”, e viene comunemente usato per indicare la persona a cui è attribuita questa capacità. Tuttavia, al di là della terminologia e della ricca tradizione che accompagna questi fenomeni, la chiaroveggenza rimane una questione altamente controversa.
Una definizione problematica
Nel tentativo di classificare la chiaroveggenza, gli studiosi e i ricercatori nel campo della parapsicologia hanno individuato tre forme fondamentali in cui questa facoltà sembrerebbe manifestarsi. La prima è la retrocognizione, ovvero la presunta capacità di percepire eventi appartenenti al passato che non sono stati vissuti direttamente e per i quali non si dispone di alcuna fonte sensibile o mnemonica. Questo tipo di chiaroveggenza implica anche la possibilità di “vedere” o conoscere particolari di un luogo storico, di una persona defunta o di un evento remoto senza avervi mai avuto alcun contatto.
La seconda forma, tra le più note e dibattute, è la premonizione – o, nel linguaggio parapsicologico, precognizione – che consiste nella percezione anticipata di eventi futuri. In questo caso, si tratterebbe di una sorta di “visioni” o intuizioni relative a fatti non ancora accaduti, talvolta percepiti attraverso immagini mentali, sogni vividi o stati alterati di coscienza. La premonizione, più di ogni altra forma di chiaroveggenza, ha alimentato leggende, romanzi, film e, naturalmente, molte testimonianze aneddotiche.
Infine, vi è la percezione contemporanea, una chiaroveggenza applicata al presente, ossia la percezione di eventi contemporanei ma che si svolgono in luoghi fisicamente lontani, al di fuori del normale campo percettivo. In questa categoria rientrerebbero fenomeni come la visione a distanza, che si distingue da esperienze come la telepatia (comunicazione mentale tra persone) proprio perché non implicherebbe un legame diretto con un’altra mente, bensì con un fatto esterno e oggettivo.

Accanto a queste tre categorie principali, esistono numerose modalità con cui si suppone che la chiaroveggenza possa manifestarsi. È il caso della visione cristallina, una tecnica di concentrazione su superfici traslucide (come sfere di cristallo o acqua) impiegata tradizionalmente da alcuni chiaroveggenti per “vedere” immagini o simboli.
Vi è poi la psicometria, ovvero la capacità di ottenere informazioni su persone o eventi passati semplicemente toccando un oggetto a essi legato, come se l’oggetto conservasse una sorta di memoria energetica. Un altro esempio è la seconda vista, una facoltà tipicamente attribuita a popolazioni celtiche e nordiche, in particolare alle Highlands scozzesi, dove si riteneva che alcune persone potessero assistere a visioni improvvise riguardanti morti imminenti, disgrazie familiari o eventi rilevanti, spesso attraverso immagini oniriche o apparizioni.
Queste manifestazioni, benché differenti nella forma, sembrano condividere un denominatore comune: la possibilità, per il soggetto dotato, di accedere a una dimensione dell’informazione che sfugge ai sensi ordinari, oltrepassando i limiti imposti dallo spazio e dal tempo. È proprio questo aspetto – l’apparente violazione delle leggi fisiche note – a costituire il nucleo del dibattito scientifico e filosofico sulla chiaroveggenza.
Tra fascino e rifiuto
Nonostante la chiarezza con cui la parapsicologia ha tentato di definire e classificare la chiaroveggenza, la comunità scientifica continua a non riconoscere ufficialmente l’esistenza di tale fenomeno come realtà oggettiva. Le principali riviste accademiche e gli enti di ricerca mainstream considerano la chiaroveggenza parte di un insieme di affermazioni straordinarie non supportate da prove empiriche sufficientemente solide. I tentativi di sottoporre le presunte facoltà extrasensoriali a metodi sperimentali sono stati accolti con scetticismo, spesso per via di problemi metodologici come la scarsa replicabilità degli esperimenti, la mancanza di controlli rigorosi e l’ambiguità nell’interpretazione dei dati.
Molti degli studi condotti nel corso del Novecento e anche più recentemente, sebbene abbiano talvolta prodotto risultati statisticamente interessanti, non sono riusciti a convincere la comunità scientifica dell’esistenza di un fenomeno reale e misurabile. Le critiche non si sono limitate al metodo, ma hanno spesso investito anche i ricercatori stessi, accusati di confermare ipotesi già precostituite o di cedere alla tentazione del sensazionalismo. In numerosi casi, esperimenti apparentemente promettenti si sono rivelati viziati da errori sistematici, illusioni cognitive o perfino frodi.
Eppure, il fenomeno della chiaroveggenza continua a sopravvivere alla diffidenza accademica, alimentato da una lunga e variegata tradizione di testimonianze personali, racconti popolari, cronache storiche e documenti etnografici. Esistono, inoltre, casi più recenti legati a esperimenti svolti in ambienti non convenzionali – come quelli classificati all’interno di programmi militari statunitensi durante la Guerra Fredda – che hanno riacceso l’interesse per una possibile dimensione ignota della percezione umana. A dispetto del rigore scientifico richiesto dalla moderna epistemologia, la chiaroveggenza continua a esercitare un potere attrattivo, a metà strada tra il mistero e la speranza, tra la possibilità di espansione della coscienza e il bisogno umano di trovare significato oltre l’immediato.
Un fenomeno da esplorare
In questo articolo mi propongo di analizzare il fenomeno della chiaroveggenza senza pregiudizi, ma con spirito critico, cercando di tenere insieme il fascino dell’ignoto e l’esigenza di razionalità. Il nostro approccio sarà multidisciplinare: attraverseremo la storia delle credenze chiaroveggenti, esamineremo i contesti culturali e religiosi in cui questa facoltà è emersa, analizzeremo gli esperimenti scientifici più significativi – sia quelli dimenticati, sia quelli ancora oggi dibattuti – e daremo spazio anche alle interpretazioni psicologiche, neurologiche ed esoteriche che si sono stratificate nel tempo.

Il mio obiettivo non è quello di dimostrare o confutare la realtà della chiaroveggenza, quanto piuttosto di ricostruire il contesto complesso e sfaccettato in cui questa idea ha preso forma e ha continuato a vivere, dalle antiche civiltà alle moderne piattaforme digitali. La chiaroveggenza non è solo una presunta abilità paranormale: è anche un oggetto culturale, un simbolo, una metafora, una lente attraverso cui l’essere umano ha cercato, nel corso dei secoli, di dare voce a intuizioni profonde, visioni improvvise, esperienze interiori che sfidano le spiegazioni convenzionali.
Sappiamo bene che il confine tra suggestione, autosuggestione e reale esperienza extrasensoriale può essere sottile, e che molti racconti si fondano su percezioni soggettive difficili da verificare. Tuttavia, proprio per questo, ritengo che la chiaroveggenza meriti di essere studiata con serietà, evitando sia le derive fideistiche, sia le chiusure ideologiche. Che sia davvero possibile “vedere l’invisibile” è una domanda che non possiamo eludere; ma a prescindere dalla risposta, il viaggio attraverso le teorie, le storie e le esperienze legate alla chiaroveggenza ci conduce al cuore stesso del rapporto tra mente, realtà e mistero.
Cos’è la Chiaroveggenza
Il termine chiaroveggenza deriva dal francese clairvoyance, e significa letteralmente “vedere chiaro”. Non si tratta solo di una metafora, ma di una definizione che intende indicare una presunta capacità di visione che va oltre i limiti dell’occhio fisico. Nelle lingue europee, il concetto è stato variamente associato a termini come seconda vista, visione psichica, visione astrale o, in contesti più popolari, a espressioni come “vedere i fantasmi”. La chiaroveggenza, in questo senso, è stata nel tempo attribuita a figure di diversa natura: oracoli, profeti, indovini, santi, sciamani, guaritori, streghe e maghi, accomunati dalla capacità di attingere a un piano conoscitivo invisibile ai sensi ordinari.
Nell’ambito della ricerca parapsicologica, la chiaroveggenza è oggi classificata come una forma di percezione extrasensoriale (extrasensory perception, o ESP), insieme ad altri fenomeni come la telepatia (comunicazione mentale tra due persone), la precognizione (conoscenza del futuro) e la retrocognizione (conoscenza del passato non noto). A differenza della telepatia, che implicherebbe un collegamento diretto tra due menti, la chiaroveggenza si rivolge a fatti, oggetti o eventi esterni all’individuo, di solito distanti nello spazio o nel tempo.

È utile distinguere la chiaroveggenza da altre forme di sensibilità sottile, come la clariaudienza (udire suoni, parole o voci non udibili fisicamente) o la chiarosenzienza (percezione empatica o “intuitiva” di stati emozionali o energetici). Mentre queste ultime sembrano coinvolgere canali sensoriali alternativi – come l’udito interiore o la sensazione corporea – la chiaroveggenza si manifesta principalmente attraverso immagini mentali o visioni che appaiono all’interno della coscienza come se fossero percepite con gli occhi, anche se in realtà non vi è alcuno stimolo esterno tangibile.
Numerosi racconti e documentazioni testimoniano come questa facoltà possa manifestarsi in modo spontaneo – ad esempio durante un sogno, una meditazione, una crisi emotiva o in stati di alterata coscienza – oppure in seguito a tecniche specifiche, come vedremo più avanti. Sebbene oggi il termine sia spesso associato a una visione moderna e secolarizzata, la chiaroveggenza ha radici antichissime e si intreccia profondamente con l’intera storia dell’esperienza religiosa e spirituale dell’umanità.
Le 3 forme principali di Chiaroveggenza
All’interno della letteratura parapsicologica e spiritualista, si tende a distinguere tre forme principali di chiaroveggenza, ciascuna delle quali presenta caratteristiche specifiche e modalità differenti di manifestazione. Sebbene non esista una classificazione universalmente accettata, questa tripartizione è comunemente impiegata da ricercatori, medium e studiosi per organizzare l’ampio spettro di esperienze riportate.
La prima è la chiaroveggenza classica, detta anche oggettiva, nella quale il soggetto ha l’impressione di vedere con gli occhi fisici eventi, persone o entità non presenti nella realtà sensibile. Questo tipo di esperienza può comprendere la visione di apparizioni spettrali in un luogo ritenuto infestato, o la percezione visiva di un evento che sta accadendo in un altro luogo, come se si stesse osservando una scena reale, sebbene non fisicamente accessibile. In alcuni casi, tali percezioni sono vissute come del tutto indistinguibili da quelle della vita ordinaria, tanto da far dubitare il soggetto stesso della loro natura “altra”.
Segue la chiaroveggenza soggettiva, o interiore, nella quale le informazioni vengono ricevute sotto forma di immagini mentali, visioni simboliche o scene improvvise che si presentano alla mente come in un sogno vivido, senza alcun coinvolgimento dei sensi fisici. In questo caso, il chiaroveggente non “vede” realmente qualcosa di esterno, ma sperimenta una visione interiore, spesso accompagnata da una forte carica emotiva o intuitiva. Questo tipo di chiaroveggenza è comune tra i medium, i mistici e gli sciamani, ed è spesso considerata più affidabile di quella oggettiva, in quanto libera da possibili interferenze sensoriali.

Infine, vi è la chiaroveggenza astrale, nota anche come chiaroveggenza remota o itinerante, che implica una percezione legata a dimensioni non fisiche o sottili, come il mondo spirituale, il piano astrale o altri “luoghi” di natura non materiale. È in questo ambito che si collocano esperienze come le visioni di paradisi o inferni, incontri con entità spirituali, paesaggi ultraterreni e scenari archetipici. Alcuni soggetti dichiarano di raggiungere tali luoghi durante esperienze extracorporee (OBE) o stati di trance profonda, mentre altri affermano di avere accesso spontaneo a queste dimensioni, spesso in concomitanza con eventi significativi, come lutti, malattie gravi o esperienze di premorte (NDE).
Sebbene queste tre forme non siano sempre facilmente distinguibili nella pratica, esse forniscono una struttura utile per comprendere la varietà e la complessità delle esperienze chiaroveggenti, che spaziano dal semplice lampo intuitivo alla narrazione articolata di interi “viaggi” spirituali o psichici. In ognuna di queste manifestazioni, ciò che colpisce è la ricorrenza di contenuti fortemente simbolici, coerenze sorprendenti tra visioni e dati verificabili, o, al contrario, la loro inafferrabilità, che lascia aperti interrogativi profondi sull’origine e sulla natura di tali esperienze.
Ulteriori tipologie di chiaroveggenza
Nel tentativo di classificare più dettagliatamente le diverse manifestazioni della chiaroveggenza, alcuni studiosi hanno proposto terminologie alternative e distinzioni più raffinate. Charles Richet (1850-1935), premio Nobel e pioniere della metapsichica, utilizzava il termine criptestesia per designare un insieme ampio di fenomeni affini – dalla chiaroveggenza vera e propria alla psicometria, dalla rabdomanzia alla telepatia – suggerendo un’origine comune non sensoriale dell’informazione percepita. Altri autori, come Frederic WH Myers (1843-1901), psicologo e filosofo, che coniò il concetto di subliminal self (Sé subliminale), preferivano il termine telestesia per indicare percezioni a distanza non mediate dai sensi. Tra i tentativi terminologici più curiosi vi furono telopsia, proposta da Henry Holt (1840-1926), e telecognosi, suggerita da Dr. Isaac Winter Heysinger (1842-?), anche se tali definizioni non ebbero larga diffusione e non abbracciavano fenomeni come le apparizioni morenti (deathbed visions/
visioni sul letto di morte).



Dal punto di vista fenomenologico, la chiaroveggenza può manifestarsi in modo spontaneo o indotto, attraverso suggestionabilità ipnotica o autoinduzione, come nel caso della catoptromanzia (o cristallomanzia), della divinazione o di pratiche meditative. Alcuni studiosi hanno inoltre individuato quattro sottotipi specifici di chiaroveggenza, basati sulla natura dell’esperienza e sul tipo di oggetto percepito:
- Chiaroveggenza a raggi X: consiste nella capacità di “vedere attraverso” oggetti chiusi, come buste sigillate, libri, scatole o stanze. È una delle forme più frequentemente osservate nei contesti sperimentali e spesso collegata a fenomeni come la lettura di lettere o messaggi sigillati.
- Chiaroveggenza medica: si riferisce alla presunta capacità di percepire anomalie o squilibri interni nel corpo umano, e di diagnosticare malattie senza esame fisico diretto. È una delle forme più discusse e, in certi casi, con riscontri empirici segnalati in ambito medico alternativo.
- Chiaroveggenza itinerante o “viaggiante”: implica uno spostamento mentale verso un luogo remoto, spesso descritto nei minimi dettagli dal sensitivo. Questa forma è vicina al concetto di remote viewing, ed è stata studiata anche in ambito militare.
- Chiaroveggenza da piattaforma: è la capacità di vedere o percepire spiriti, entità o presenze invisibili, spesso manifestata pubblicamente dai medium durante le sedute. Si tratta della forma più vicina al contesto spiritualista e medianico classico.
Un caso particolare è quello della lettura dei pellet – bigliettini scritti, piegati e sigillati, spesso bruciati durante l’esperimento – di cui il chiaroveggente avrebbe poi rivelato il contenuto. Sebbene esistano racconti impressionanti legati a questa pratica, molti casi si sono rivelati viziati da frodi o tecniche illusionistiche, tanto che la lettura dei pellet è stata a lungo considerata uno dei fenomeni più controversi e soggetti a smascheramento. Come spesso accade nel mondo del paranormale, l’ansia da prestazione e il desiderio di dimostrare pubblicamente il potere tendono a compromettere la riuscita dell’esperimento, suggerendo che la chiaroveggenza sia più autentica nei contesti spontanei, privi di aspettativa e pressione.
Clariaudienza: udire ciò che non si può udire

Accanto alla chiaroveggenza, un’altra facoltà spesso menzionata nei contesti medianici e parapsicologici è la clariaudienza, termine che designa la capacità di percepire suoni, parole o voci non udibili attraverso l’udito ordinario. In altre parole, si tratterebbe di un “udito psichico”, affine alla chiaroveggenza nella sua natura extrasensoriale, ma associato specificamente alla dimensione sonora. Sebbene molto meno frequente della visione psichica, questa facoltà è documentata in testi religiosi, spiritualisti e letterari fin dall’antichità. Un esempio celebre si trova nel Nuovo Testamento, nel racconto della conversione di Paolo di Tarso (ca 4-64 d.C.), sulla via di Damasco: egli vide una luce e udì una voce che gli parlava, ma coloro che erano con lui, pur vedendo la stessa luce, non percepirono alcuna voce (Atti 22:9). Questo tipo di esperienza, inaccessibile agli altri presenti, è emblematico della natura privata e soggettiva della clariaudienza.
9 Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava.
Atti degli Apostoli (CEI 2008)
Uno dei casi più famosi rimane quello di Giovanna d’Arco (1412-1431), che dichiarò di aver ricevuto messaggi divini attraverso voci interiori attribuite a santi e angeli. Nel corso dei secoli, molti medium hanno affermato di ricevere comunicazioni attraverso la voce interiore, distinta dalla voce esterna udibile. In alcuni casi, le voci sono descritte come perfettamente realistiche, tanto da sembrare provenire da un interlocutore fisico; in altri, si tratta di sussurri sottili, pensieri-parola o risonanze mentali che si impongono alla coscienza come se avessero una propria autonomia. La distinzione tra una vera percezione acustica e una costruzione psichica non è sempre facile da determinare, come mostra il racconto di Vincent Turvey (1873-1912) nel suo The Beginnings of Seership (1911), dove descrive un’esperienza onirica in cui le voci udite erano allo stesso tempo “interne ed esterne”, parte della sua mente ma anche di una realtà psichica separata.



La clariaudienza può manifestarsi spontaneamente o essere indotta tramite tecniche specifiche, come la meditazione profonda, la trance, o l’utilizzo di oggetti simbolici: si pensi alla pratica di ascoltare il “mormorio del mare” attraverso una conchiglia, che in certi stati può diventare un canale per percezioni uditive insolite. Medium come Arthur Ford (1896-1971) negli Stati Uniti o Estelle Roberts (1889-1970) in Inghilterra divennero celebri per le loro doti clariaudenti, spesso messe in scena durante sedute pubbliche. Non mancano poi i casi in cui la clariaudienza sembra sfumare nell’ispirazione artistica: numerosi poeti, scrittori e musicisti hanno affermato di aver “udito” le loro opere nella mente prima ancora di metterle su carta o su spartito. In tali casi, la frontiera tra fenomeno paranormale e creatività inconscia si fa labile, e la clariaudienza diventa un’esperienza liminale tra immaginazione, trance e visione interiore.
Chiarosenzienza: sentire oltre il corpo
Meno conosciuta ma non meno suggestiva, la chiarosenzienza – dal latino sentire chiaramente – è la presunta capacità di percepire emozioni, stati interiori o presenze attraverso sensazioni corporee sottili, senza l’ausilio dei sensi fisici convenzionali. A differenza della chiaroveggenza, che si esprime in forma visiva, o della clariaudienza, che si manifesta come percezione acustica, la chiarosenzienza agisce attraverso l’intuizione corporea, la pelle, le viscere, o più in generale attraverso un’empatia profonda e immediata verso persone, ambienti o situazioni.
Chi si ritiene dotato di questa sensibilità racconta spesso di percepire un malessere improvviso in presenza di certe persone, un senso di pesantezza entrando in luoghi storicamente legati a eventi tragici, oppure vibrazioni inspiegabili provenienti da oggetti, fotografie o lettere. In alcuni casi, le sensazioni sono chiaramente fisiche – come un brivido, un nodo allo stomaco, un calore improvviso – mentre in altri si presentano come “conoscenze interiori” non elaborate razionalmente, ma immediate e incontestabili. Questa forma di sensibilità è spesso attribuita a medium sensitivi, cioè persone che, pur non vedendo né udendo nulla di anomalo, riescono a “leggere” lo stato energetico di un luogo o di un individuo.
In ambito spiritualista, la chiarosenzienza è considerata una delle doti fondamentali del guaritore psichico, il quale entrerebbe in sintonia con il campo sottile del paziente per rilevare squilibri o disturbi a livello emozionale e spirituale. Tuttavia, la chiarosenzienza si manifesta anche in contesti laici o quotidiani, spesso sottovalutata o non riconosciuta come tale, quando ad esempio una persona intuisce immediatamente che un interlocutore mente, o prova una forte repulsione verso un luogo apparentemente neutro.
Dal punto di vista della parapsicologia, si tratta di un fenomeno difficile da analizzare sperimentalmente, poiché la sua natura soggettiva e corporea sfugge ai protocolli standardizzati di laboratorio. Eppure, la sua diffusione trasversale in molte culture, la sua ricorrenza nelle testimonianze dei sensitivi, e la sua apparente spontaneità nei soggetti emotivamente ricettivi, la rendono un campo di studio affascinante, dove confini tra empatia, percezione intuitiva e dimensione psichica restano tuttora da esplorare.