Bice Valbonesi

Bice Valbonesi, la messaggera dello spirito occulto

22 minuti di lettura

Chi era Bice Valbonesi?

Questo è il primo articolo dedicato alla Metafonia e forse qualcuno potrà trovare bizzarro che prima di Friedrich Jürgenson, di Konstantin Raudive o dell’italiano padre Agostino Gemelli, abbia deciso di raccontarvi di Bice Valbonesi (1890-1972).

Bice Valbonesi
Bice Valbonesi

Il motivo è pressoché storico: Bice Valbonesi risulta essere stata la prima medium ad utilizzare la metafonia (al tempo psicofonia) come transcomunicazione strumentale. Le sue sedute erano ultrafaniche, ovvero che trascendevano l’esperienza sensibile, un altro termine che all’epoca veniva usato per questo tipo di “apporti audio”.

Bice, diminutivo di Beatrice era nata attorno al 1890 (la data esatta al momento non sono riuscito a reperirla) in una frazione di Castrocaro Terme a dieci chilometri da Forlì, chiamata Terra del Sole. Non ebbe una grande istruzione, nonostante la famiglia non avesse problemi economici, ma a quei tempi avere il diploma di scuola elementare era già una buona base per non essere analfabeti.

Rimase orfana molto presto e appena adolescente fu promessa sposa al suo stesso tutore. Fra un matrimonio turbolento che ad un certo punto finì e tre figli da crescere, Bice riusciva a guadagnarsi da vivere con lavori di cucito, come il ricamo e, talvolta, vendendo qualche suo dipinto.

L’inizio della medianità di Bice Valbonesi

Nel dicembre 1923,
udì all’orecchio una misteriosa voce: «Scrivi»! Dapprima sconcertata dall’evento acquisì poi consapevolezza delle proprie doti paranormali. Nel
1924 entrò in contatto con un circolo spiritico e col ragioniere Riccardo
Bergomi, al quale si legò e che la seguì nelle manifestazioni medianiche. G.
TRISPIOLI, Ultrafania. Esegesi della fenomenologia intellettuale dello spiritismo moderno, Milano, Ulrico Hoepli, 1931, n. 3, pp. 25-26 e anche in Occulto,

Secondo le sue stesse parole, tutto iniziò nel dicembre 1923 quando affermò di udire all’orecchio una voce che le disse “scrivi!”. Nonostante la sua stessa perplessità e anche un po’ di preoccupazione, Bice cercò di capire meglio se quelle voci provenissero dall’altrove o se stava impazzendo. Senza voler screditare la memoria di un personaggio che ha comunque fatto la storia della metafonia italiana, con molta obiettività, non posso fare a meno di constatare che si convinse delle sue doti medianiche, solamente dopo essere entrata in contatto con un circolo spiritico nel 1924, dove conobbe Riccardo Bergomi, un ragioniere che si occupava nel circolo di sedute medianiche e al quale si legò e iniziò a collaborare.

Le prime indagini medianiche vennero poi fatte in collaborazione con l’avvocato Gino Trespioli, anch’egli medium, che mise nero su bianco, non solo le proprie sedute medianiche, ma anche i contatti di Bice Valbonesi con il suo spirito guida chiamato il “Maestro”. Il libro, oggi difficilmente reperibile, è La Vita – Ultrafanie edito dalla Sonzogno nel 1936.

Sono riuscito a trovare il libro in un’edizione digitale e l’ho potuto leggere. Fra le varie trascrizioni e disegni rinvenuti dalle sedute medianiche, ho trovato interessante le numerosi citazioni storiche sullo spiritismo moderno e la nomenclatura a fine libro di una serie di terminologie usate nel campo spiritico e paranormale. Quello che ho potuto capire leggendo le circa 570 pagine del libro e le oltre 200 illustrazioni, è che la fede di Trespioli e della Valbonesi, nella dottrina cattolica, sono state il perno sul quale si sono espresse le presunte comunicazioni con l’Aldilà.

Il libro non è che la raccolta delle trascrizioni medianiche raccolte dal Gruppo Sirio I°, un team di ricercatori riunito per cercare l’essenza della Verità e per confrontarsi. Quello che accomunava queste persone era un’entità con cui affermavano di essere entrate in contatto con un’Entità Superiore che si faceva chiamare “Maestro” o “la Voce”. Uno spirito che si è fatto carico di aiutare il gruppo nel trovare e capire il valore sostanziale della sua Verità. La Voce avrebbe detto di sé che «Mai corpo umano macchiò questa mia Luce». Quindi probabilmente non si tratta di Gesù Cristo, in quanto il titolo di maestro fu dato per gli insegnamenti che questa presunta entità avrebbe dato durante le sedute ultrafaniche.

L’incontro con D’Annunzio

Gabriele D'Annunzio
Gabriele d’Annunzio

Bice Valbonesi divenne così popolare che persino Gabriele d’Annunzio (1863-1938) e ne furono incuriositi. Infatti in un interessante libro di Attilio Mazza (1935-2015) dal titolo “D’Annunzio e l’Occulto”, si racconta che il 6 gennaio 1924, Gabriele d’Annunzio invitò la medium al Vittoriale a Gardone Riviera (sul lago di Garda) assieme alla maga Giovanna d’Arc Trinca, «che si vantava di essere la discendente della Pulzella d’Orléans».

La notizia fu riportata anche dalla stampa, definendo d’Annunzio «il primo ad esaminare una medium nuovissima, non iperfisica ma ultrafana», ovvero, una medium di alta intellettualità nonostante avesse studiato solo fino alla quarta elementare. Due articoli ancora reperibili su Bice Valbonesi sono quello pubblicato su La Domenica del Corriere il 24 luglio 1938 scritto proprio da Gino Trespioli e quello dedicato ai giorni trascorsi al Vittoriale di D’Annunzio, pubblicato su una rivista belga nell’aprile del 1939, un’esperienza in cui Bice Valbonesi pare abbia ricevuto la voce di poeti e filosofi. D’Annunzio era molto colpito dalla donna che definì “colei che vede e che ode”. Ringrazio per gli articoli astrascienza.com

D’Annunzio e Bice Valbonesi trascorsero «lunghe ore di giorno e di notte per sentire, da “colei che vede e che ode”, le voci venienti dal mistero. Erano voci di poeti e di filosofi». Secondo Gabriele d’Annunzio, la medium Valbonesi avrebbe decantato in trance una serie di versi del Trecento. Fu tale la meraviglia di d’Annunzio per l’ultrafana medium, che le scrisse due dediche in due dediche «ben più preziose dei doni che le fece l’orafo di Gardone».

La dedica di Gabriele d'Annunzio a Bice Valbonesi nel gennaio 1924
La dedica di Gabriele d’Annunzio a Bice Valbonesi nel gennaio 1924

Le dediche arrivarono anche perché la “messaggera dello spirito occulto”, così lo stesso d’Annunzio descrisse Bice Valbonesi, arrivò al Vittoriale con un messaggio per d’Annunzio da parte della sua defunta madre.

Se passate nella provincia bresciana, non dimenticate di visitare il Vittoriale, perché merita davvero, anche se nei suoi archivi non vi sono lettere di Gabriele d’Annunzio a Bice Valbonesi.

(Vi consiglio di visitare il Vittoriale se passate da quelle parti, merita davvero!)

D’Annunzio ne fu talmente colpito che scrisse una lettera persino a Benito Mussolini (1883-1945) in cui spiegava che suo figlio era intossicato da una (usò proprio questi termini) «perfida e impudentissima femmina» e che era vittima di un “lento” assassinio. Il riferimento era ad una donna già sposata, Maria Brizzi, della quale il figlio di d’Annunzio, Gabriellino (1886-1945), ne era profondamente innamorato, tanto da sposarla ugualmente (una volta vedova) nonostante i genitori si opponessero.

Il Volo dell’Arcangelo

C’è ancora un aneddoto sull’incontro tra Gabriele d’Annunzio e Bice Valbonesi.

Premessa

Nel 1883, d’Annunzio conobbe Maria Hardouin (1864-1954), principessa consorte di Montenevoso (Snežnik, Slovenia), ma la loro relazione sentimentale venne osteggiata dalla famiglia di lei, per la differenza di classe tra i due. Così continuarono a frequentarsi di nascosto fino al “peccato di maggio” e alla fuga dei due a Firenze, di cui parlarono molto anche i giornali. Si sposarono di nascosto il 28 luglio dello stesso anno a Roma, in assenza del padre di lei e della famiglia di d’Annunzio. Dall’unione nacquero tre figli maschi.

Nell’agosto 1909, un’amica di d’Annunzio invitò il poeta a casa sua in occasione di un’esibizione di una pianista che fu bambina prodigio tantè che ne parlarono tutti i giornali. Il suo nome era Luisa Baccara (1892-1985) e quando incontrò d’Annunzio lei aveva 27 anni e lui 56. Quando Luisa si esibì, d’Annunzio ne rimase folgorato e, poche settimane dopo averla sentita esibirsi, la invitò alla Casetta Rossa sul Canal Grande con una lettera in cui le indicava anche gli abiti che avrebbe dovuto indossare. La prima di oltre mille lettere che scrisse per lei fino al momento della morte, in cui si rivolgeva alla pianista chiamandola Smikrà, “piccola” in lingua greca.

Luisa Baccara
Luisa Baccara

Per molti anni Luisa Baccara fu conosciuta come la Signora del Vittoriale, e oltre a essere una delle muse di Gabriele d’Annunzio ne fu una delle amanti più fedeli e discrete, ma con una grande forza che le permise di resistere con ostinazione all’ondata di gelosia e rivalità che la sua presenza assidua al Vittoriale (allora Villa Cargnacco, a Gardone) le attirò addosso. Non solo, questa forza le permise anche di portare con sé nella tomba un segreto che portava con sé da quarantasette anni: il Volo dell’Arcangelo.

In una calda sera di agosto, d’Annunzio cadde dal balcone di una stanza del Vittoriale, riportando ferite gravi che lo tennero per giorni tra la vita e la morte. Esistono due versioni dell’accaduto. Nella prima, Luisa Baccara, gelosa e infastidita dalle avance che il compagno riservava alla sorella Jolanda, detta Jole, spinse il Vate che perse l’equilibrio e cadde dalla finestra.

Nella seconda versione, probabilmente quella abbastanza verosimile, racconta che

«mentre Luisa Baccara suonava al pianoforte, il poeta, seduto in bilico sul parapetto della finestra, amoreggiasse in modo ardito con la sorella minore Jole (Jolanda) – violinista stimata – con la quale era in
rapporti intimi già dai tempi di Fiume. Luisa la soccorse e la stessa Jole, nello svincolarsi, avrebbe involontariamente dato una spinta a d’Annunzio facendogli perdere l’equilibrio.»

dai Commentari dell’Ateneo di Brescia – Atti della Fondazione Ugo da Como 2007-2008

Comunque sia, Luisa non era molto gradita dai fedelissimi del Vate, e quindi programmarono di allontanarla da lui perché troppo pericolosa. Quando d’Annunzio si riprese da giorni di semi-incoscienza, il poeta mormorò una frase che fu diligentemente appuntata dal medico curante: «E Joio? (Così chiamava Jolanda) Si sarà spaventata e sarà scappata a Venezia». Da quel giorno, Luisa Baccara si chiuse in se stessa cercando conforto solo nella sua musica, in cui riversava tutti i suoi dispiaceri e le sue delusioni.

L’evento spiritistico

Poco prima del Volo dell’Arcangelo, un fotografo scattò una fotografia al poeta mentre era seduto al suo tavolo di lavoro. Tempo dopo che d’Annunzio si riprese, scorse uno strano particolare nella fotografia: una mano che gli sorreggeva il volto, riconoscendovi quella della madre. Lo disse subito all’amico politico e giornalista Nino D’Aroma (1902-1982), aggiungendo che doveva essere quella mano ad avergli salvato la vita nella brutta caduta. E alla medium Bice Valbonesi il poeta disse che «quando era stata fatta
la fotografia, aveva sentito sotto il mento la carezza della mano materna»
.

Bice Valbonesi e alcune sue sedute medianiche

Una seduta molto particolare

Un Angelo Del Piano Di Sopra

Non ci sono moltissime tracce di Bice Valbonesi, ma quelle poche che ho reperito la ricordano come «una persona piuttosto semplice, robusta di costituzione, gentile e disponibile». Questo ricorda la sensitiva Nuccia Malvisi Ghezzi nel suo libro del 1993, Un Angelo Del Piano Di Sopra. Ghezzi Malvisi è una medium che si adopera della scrittura automatica per entrare in contatto con il mondo ultrasensibile, con quello che viene comunemente definito l’Aldilà. Nel libro, la sensitiva racconta un episodio accaduto quando aveva circa undici anni, mentre assisteva ad una seduta spiritica con la medium Bice Valbonesi. Alla seduta parteciparano alcuni studenti universitari, fra cui il fratello dell’autrice e lo psicanalista Franco Fornari (1921-1985).

Durante la seduta, Bice Valbonesi entrò in trance e i presenti si guardarono l’un l’altro «con un misto di stupore e di timore insieme, e già un ragazzo che frequentava il quarto anno di medicina, si affrettava per tastarle il polso, quando una voce stentorea, di uomo maturo, risuonò improvvisamente». La voce proveniva da Bice Valbonesi, che «parlava pur rimanendo sempre immobile, con il corpo» e disse: «Pace Fratelli, e pace a te, sorellina che ti pasci di scienza…».

L’autrice ricorda che nonostante avessero tutti domande da porre all’Entità che si era manifestata grazie a Bice Valbonesi, forse per la troppa tensione e un po’ di scetticismo, Nuccia si mise a ridere senza riuscire a trattenersi e a controllarsi. Nonostante le gomitate del fratello Giacomo, la risata divenne contagiosa e la seduta divenne meno cupa e più allegra. Eppure, Nuccia ricorda di come quella Voce andò avanti comunque a parlare con una specie di «comprensione accondiscendente che andava di certo al di là dell’umano.» Dopo il saluto all’Entità, l’autrice ricorda che tutti i presenti udirono un tintinnio di campane.

L’incontro con il Conte Spinucci

Un’altra importante seduta di Bice Valbonesi avvenne nel 1934 , dove era presente anche il Conte Lorenzo Mancini Spinucci (1902-1996), un ingegnere civile marchigiano che lavorò nel campo dell’agricoltura e dell’edilizia, che si occupò di parapsicologia. Durante quella seduta, la Voce gli avrebbe predetto l’invenzione del magnetofono, ovvero lo strumento in grado di registrare e riprodurre suoni utilizzando supporti a bobina aperta contenenti nastro magnetico, che sarebbe tornato utile, secondo l’entità, per registrare le voci provenienti dall’aldilà.

A ragion del vero, gli studi sulla realizzazione di quello che sarebbe diventato il magnetofono era già iniziati nel 1929 e nell’anno della rivelazione spiritica, il primo magnetofono (modello Magnetophon K1) fu brevettato dall’azienda tedesca AEG (acronimo di Allgemeine Elektricitäts-Gesellschaft), in collaborazione con la Telefunken, il dispositivo denominato Magnetophon K1, che usava i nuovi nastri magnetici della BASF.

Comunque sia, il Conte Spinucci fondò l’A.I.S.P. (Associazione Italiana di Studi Psichici), e il CE.RI.ME.PS (Centro di Ricerche Metapsichiche e Psicofoniche), finalizzati a studiare i fenomeni paranormali per approfondire le ragioni della propria speranza. Gli studi sul campo erano pubblicati sul periodico di riferimento, la Rassegna di studi psicofonici: ricerca psichica e transcomunicazione. I Convegno dell’AISP erano organizzati dalla giornalista e scrittrice Paola Giovetti, che da moltissimi anni si occupa del paranormale.

Una seduta con Demofilo Fidani

Il medium esce dal mistero di Demofilo Fidani

Bice Valbonesi sperimentò anche con Demofilo Fidani (1914-1994), considerato da molti credenti nello spiritismo, il più grande medium del secolo scorso. In un libro di Fidani, Il medium esce dal mistero, egli racconta dell’incontro con la allora cinquantenne donna, secondo lui, ancora non a piena conoscenza delle proprie facoltà medianiche. Sempre nello stesso libro si racconta di una seduta della Valbonesi; accompagnata da due collaboratrici, la medium sedeva su una poltrona collocata in un angolo della sala, mentre i presenti partecipanti sedevano lungo le pareti.

«Sistemata l’illuminazione in modo da creare una luce diffusa, le due segretarie uscivano dalla stanza dove, dopo un’attesa di circa dieci minuti, da alcuni gemiti che provenivano dall’ugola della Valbonesi, si capiva che ella stava raggiungendo la “trance”. Trascorsi alcuni secondi, con chiara e gradevole voce, la medium iniziava una predica di elevato contenuto morale, sottolineando, spesso, passi del Vangelo oppure insegnamenti dei Grandi della Chiesa Cattolica. Era tutto questo apparato misticoreligioso che mi lasciava perplesso: io rifiutavo l’odore di incenso.»

Fidani continua…

«Dopo la seduta che durava circa un’ora, pagando ad una delle segretarie un sovraprezzo, si poteva consultare, da soli, la Valbonesi che, rimasta al suo posto, era a disposizione di chi volesse ulteriori chiarimenti o consigli personali. Dopo aver partecipato ad alcune di queste riunioni, una sera, tentato dalla curiosità, pagai la differenza e, quando venne il mio turno, fui introdotto nuovamente nell’ambiente da una delle due collaboratrici che mi fece sedere di fronte alla medium. Rimasti soli, la Valbonesi, che aveva dei fogli di carta in grembo ed una matita in mano, mi interpellò chiamandomi ripetutamente: “Demolito, Demofilo!”. Riconobbi immediatamente in quella voce, a me tanto cara, mia madre, mentre la mano della Signora Bice vergava, rapidamente, su uno di quei fogli: “Mio caro Demò, abbracciami tutti, nonna Giuseppina, papà Giacinto ed un grosso bacione a te ed Arturino. Mamma Adalgisa.”»

Demofilo Fidani rimase colpito da quella «straordinaria “rivelazione” (che) si svolse in un minuto». Questo messaggio tramite Bice Valbonesi fu per lui la conferma di una «immensa grandiosità dell’Eternità!», perché secondo Fidani, né la medium, né tantomeno le sue collaboratrici potevano conoscevano il nomignolo usato dalla madre per chiamare Demofilo e suo fratello Arturo, né quello di suo padre e sua madre, né quello di sua nonna che era venuta a mancare molti anni prima.

error: Content is protected !!