Pensa alla storia di una bambola i cui capelli sembrano allungarsi in modo inspiegabile nel corso del tempo. Mi sto riferendo alla bambola Okiku, una bambola della cultura giapponese dei primi del Novecento.
Dopo alcune lunghe ricerche non ho trovato una storia univoca, ma come per la bambola Mandy, più versioni, direi anche numerose, creative e bizzarre. Ma prima di narrarvi le leggende legate alla bambola Okiku, vorrei descriverla, non solo come aspetto (una fotografia sarebbe più che sufficiente), ma per cosa sarebbe capace di fare.
La bambola Okiku è esposta attualmente ai visitatori del Tempio Mannenji a Hokkaido, in Giappone, dedicato alla setta buddista Jōdo-shū (che significa La Scuola della Terra Pura), nota anche come Buddismo Jōdo, che si rifà all’Amidismo del Buddismo Mahāyāna, incentrato sul culto di Amida (il Buddha della Luce Infinita). L’amidismo sostiene che i fedeli – credendo in Amida, ascoltando o pronunciando il suo nome, o desiderando condividere il suo Paradiso Occidentale – possono rinascere nella Terra Pura. Originario dell’India, l’Amidismo emerse in Cina nel IV secolo e poi, nel IX secolo, fu portato in Giappone, dove, nel XX secolo, le sette della Terra Pura compongono uno dei due più grandi gruppi buddisti.

(fonte: はまちゃん, 4travel.jp)

(fonte: はまちゃん, 4travel.jp)
La Terra Pura più comune oggi è quella di Amitābha (o Sukhavati), la cosiddetta Terra di Beatitudine, in cui i buddisti Mahayana possono aspirare a rinascere. Altre “terre pure” sono i Campi di Buddha di Aksobhya e Bhaiṣajyaguru, praticamente il “Buddha della Medicina”, descritto come un medico che cura la sofferenza utilizzando la medicina dei suoi insegnamenti (anche se questo è più raro).
La bambola Okiku è esposta all’interno di una piccola scatola di legno aperta. Okiku misura circa 40 cm e occupa un posto d’onore come parte di un santuario. Si dice che da circa ottant’anni, i suoi capelli devono essere tagliati man mano che crescono. Se non tagliati, i capelli potrebbero crescere fino a raggiungere la lunghezza del ginocchio della bambola, quindi, ogni anno vengono tagliati appena sotto la lunghezza delle spalle.
Alcune storie sulla bambola Okiku raccontano di quanto fosse maledetta, di come portasse morte e distruzione ovunque andasse, di come le persone si indebolissero in sua presenza e addirittura di come, con il passare del tempo, la bambola maledetta avesse assunto gli stessi occhi verdi della bambina a cui apparteneva.
Bizzarro se pensiamo che la bambina della storia era giapponese e, con una certa sicurezza, molto probabilmente non aveva gli occhi verdi. In una delle versioni, la temuta bambola Okiku, dopo aver causato la morte di varie persone, finisce in un negozio per essere rivenduta a un’altra sfortunata bambina. Tuttavia, nessuna di queste storie sembra essere vera, proprio perché troppo diverse fra loro e senza una fonte verificabile. Proprio per questo motivo si tratta di leggende.
Sappiamo tutti molto bene che le storie si trasformano man mano che vengono raccontate, ma alcune di queste versioni della storia della bambola Okiku, sono state così “occidentalizzate” che hanno perso quella sottile sensazione di disagio che rende la cultura giapponese così affascinante, trasformandosi in un cliché horror alla Hollywood.
Nonostante esistano fin troppe versioni giapponesi della storia, cercherò di rimanere fedele alle versioni principali, sperando di riuscire a mostrare alcune delle sfumature che riflettono la cultura giapponese e i cliché meno banali.
Prima versione della storia di Okiku
La prima versione della storia della bambola Okiku ci riporta al 15 agosto 1918, con un diciassettenne di nome Eikichi Suzuki che, durante una grande esposizione chiamata Sapporo Art Park, acquista una bambola. Il Sapporo Art Park ospita una varietà di eventi durante tutto l’anno, incentrati principalmente su mostre d’arte e artigianato e concerti musicali. La bambola in questione è vestita con un kimono rosso e porta un taglio di capelli corto a caschetto, noto come okappa in giapponese. La bambola Okiku è destinata alla sorella minore di Eikichi Suzuki, Kikuko, di tre anni.
La morte della piccola Kikuko
La piccola Kikuko Nagayoshi sviluppa un affetto profondo, oserei dire morboso, per la bambola Okiku, con cui gioca incessantemente, arrivando anche a dormire con lei. Non si allontana mai dalla bambola, ma l’anno successivo, la piccola Kikuko contrae una grave influenza che si trasforma in polmonite, portandola alla morte. Alcune versioni della storia suggeriscono che la causa potrebbe essere stata la febbre gialla.
In Giappone si usa un suffisso di nomignolo che viene aggiunto al nome di una persona. Questo suffisso è -chan, un termine affettuoso usato principalmente per le ragazze, i bambini, i neonati e gli animali domestici. Può esprimere un senso di intimità o familiarità. Tuttavia, l’uso di -chan può variare a seconda del contesto sociale e della relazione tra le persone. Ad esempio, potrebbe non essere appropriato in un contesto formale o professionale. Inoltre, -chan può anche essere usato per una persona che si trova in una posizione inferiore o junior rispetto a te in un ambiente di lavoro o scolastico. Ricorda che l’uso di “-chan” può essere visto come infantile o informale, quindi è importante capire quando e come usarlo correttamente. Nel caso di Kikuko, essendo una bambina e anche in tenera età, veniva utilizzato il suffisso -chan.

In Giappone, durante la cremazione di un caro defunto, è consuetudine che i parenti e gli amici più stretti depositino nella bara un piccolo ricordo o un oggetto che il defunto possa portare con sé nell’aldilà. Questi oggetti, chiamati fukusōhin (副葬品), traducibile come “corredo funerario”, sono pensati per offrire conforto al defunto. Durante il servizio funebre, gli amici più intimi e i familiari sono invitati a aggiungere questi oggetti alla bara. I tempi di questa pratica possono variare a seconda della regione del Giappone. Questa tradizione è stata adottata anche in Italia. Ricordo di alcuni piccoli oggetti messi all’interno della bara di un caro defunto. Io stesso infilai dei fogli piegati con le parole di una canzone che avevo composto per quella persona deceduta.
In Giappone, poco prima della cremazione, tutti coloro che hanno un oggetto da depositare lo posizionano accanto al corpo, magari accompagnandolo con qualche parola. Tuttavia, ci sono delle regole da rispettare. Gli oggetti, che verranno cremati insieme al defunto, devono essere infiammabili e non pericolosi. Tra gli oggetti comuni ci sono foto, lettere scritte al defunto, dolci o snack preferiti dal defunto, o un oggetto legato a un hobby o a qualcosa che gli piaceva molto quando era in vita. Tuttavia, molte cose non sono permesse, come tutto ciò che può interferire con la cremazione. Gli oggetti in metallo o vetro, come orologi, anelli o occhiali, non sono ammessi poiché non si bruciano completamente. Ovviamente, non importa quanto il defunto amasse i fuochi d’artificio, gli oggetti esplosivi sono assolutamente proibiti. Lo stesso vale per tutto ciò che può emettere gas tossici quando viene bruciato, come alcuni materiali plastici.
Immaginatevi la piccola Kikuko, di soli quattro anni, che amava profondamente la bambola Okiku che il suo fratello maggiore le aveva donato. Avrebbe desiderato che la bambola la seguisse nell’aldilà, e la sua famiglia avrebbe voluto esaudire questo suo desiderio. Tuttavia, per qualche motivo, forse a causa del dolore o delle regole del crematorio, la bambola non è stata cremata con lei.
Nonostante ciò, la famiglia ha trovato conforto nel conservare i resti di Kikuko-chan in un’urna sull’altare di famiglia, il butsudan, accanto alla sua amata bambola Okiku. Così, in un certo senso, erano comunque insieme. Ogni giorno, i familiari pregavano davanti all’altare in ricordo della dolce Kikuko-chan. Dopo alcuni mesi, hanno notato un dettaglio insolito: i capelli della bambola, originariamente corti e dritti, erano cresciuti fino alle spalle. La famiglia ha concluso che lo spirito della piccola Kikuko risiedeva nella bambola Okiku.

Nel 1938, con l’ingresso del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale, Eikichi fu arruolato e si trasferì a nord, a Sapporo. Alcune storie raccontano che tutta la famiglia si trasferì in vari luoghi, altre parlano solo della partenza di Eikichi. Prima di partire, affidarono le ceneri di Kikuko-chan e la bambola Okiku al Tempio Mannenji. Il motivo per cui la famiglia non li ha portati con sé rimane un mistero, aggiungendo un elemento inquietante alla storia.
Sette anni dopo, la famiglia tornò a visitare il santuario e a rendere omaggio a Kikuko-chan. I monaci avevano preso cura della bambola, chiamata Okiku, che ospitava lo spirito della bambina. Sorprendentemente, i capelli della bambola erano cresciuti ancora di più, raggiungendo la vita. Fu celebrata una cerimonia per tagliarli leggermente, ma i capelli continuarono a crescere. In seguito, la famiglia chiese ai monaci del tempio di custodire la bambola Okiku a tempo indeterminato e di pregare per lei, per assicurarsi che lo spirito di Kikuko rimanesse sereno. I monaci accettarono e continuano a farlo ancora oggi.
Potremmo considerare questa prima versione della storia come l’originale, quella senza fronzoli e aggiunte tipiche dei racconti dell’orrore, ma più spirituale e poetica. La domanda che mi sono posto è: se si è trattato di un fatto così profondamente familiare, come ha fatto questa storia a diventare una leggenda per di più fuori dai confini giapponesi? Ve lo racconto nella seconda versione della storia della bambola Okiku.
Seconda versione

Dopo numerose ricerche aiutandomi con un traduttore e grazie all’aiuto di un’amica madrelingua, sono venuto a conoscenza di un articolo pubblicato nel 1974 sulla rivista Takarajima, dal titolo The New Compendium of Dismantling Strange Cases of Today (letteralmente, Il Nuovo Compendio di Smantellamento dei Casi Strani di Oggi). In questo testo, l’investigatore Koike Takehiko, considerato un kaiden kenkyuka, un termine che si traduce come “ricercatore di storie di fantasmi” o “ricercatore del paranormale”, scoprì che il giornalista Yutaka Mabuchi era responsabile della pubblicazione del caso, pubblicando due articoli sulla bambola Okiku, uno proprio nello stesso anno (1962) e un altro nel 1968.
L’articolo del 1962 fu pubblicato nel settimanale femminile giapponese Joshi Jijin. Oggi la rivista pubblica ancora in versione digitale sul proprio sito web. Ecco parte del testo tradotto:
«Il 3 marzo dell’anno 33 dell’era Showa, un minatore di carbone di nome Suzuki Sukehichi (36 anni) ha lasciato una bambola al tempio. “È mia figlia. Per favore, prenditene cura”, disse, lasciando queste parole misteriose. Suzuki andò a lavorare lontano, nell’isola principale del Giappone, e non fece più ritorno. La bambola rimase dimenticata in un angolo del tempio… dimenticata ma non dimenticabile. Durante l’estate del terzo anno, il monaco residente, il maestro Imakawa Junno (59 anni), fece un sogno strano per due notti consecutive. Suzuki, bagnato come se fosse stato immerso nell’acqua, appariva accanto al suo futon… gridava con una voce penetrante… “Per favore, taglia i capelli di mia figlia Kiyoko…” Il maestro Imakawa prese la bambola della giovane ragazza e la guardò. Involontariamente, emise un grido di terrore. Un brivido freddo gli percorse la schiena… i capelli erano cresciuti! L’okappa, che inizialmente arrivava solo alle orecchie, ora superava le orecchie e arrivava fino alla vita.»
dal settimanale Joshi Jijin, 6 agosto 1962, autore: Koike Takehiko

Prima di confrontare le versioni, vorrei dare alcune spiegazioni. Nel sogno, Sukeshichi appariva accanto al suo futon, completamente inzuppato d’acqua. Il futon, che in giapponese si traduce letteralmente come “materasso arrotolabile”, è un elemento fondamentale della tradizione giapponese. È un materasso sottile, rigido e completamente fatto di cotone, che può essere arrotolato per la conservazione. È costituito da strati di cotone, ciascuno dei quali è rivestito con una fodera cucita a mano. La sua spessore può variare: in Giappone, solitamente, è di sei o sette centimetri, mentre in Occidente è più comune trovare futon con uno spessore di quattordici centimetri. Nel contesto culturale giapponese, il futon è solitamente posizionato su un tatami (un tappeto di paglia di riso rivestito di giunco) e utilizzato come letto. Viene sistemato la sera, prima del riposo notturno, e al mattino, dopo essere stato arieggiato, viene arrotolato e riposto nell’armadio, permettendo così di riutilizzare lo spazio della stanza per altre attività.
Confrontando questa versione con la prima, e facendo le doverose ricerche sui personaggi, tempi e luoghi menzionati le differenze sono lampanti:
- L’anno in cui Suzuki lasciò la bambola Okiku al Tempio Mannenji non era Showa 13 (1938), ma Showa 33 (1958).
- Il nome della bambina morta non era Kikuko, ma Kiyoko.
- La persona che venne al Tempio Mannenji per depositare la bambola non era Eikichi Suzuki, ma suo padre Suketoshi.
- Fu anche Sukeshichi ad avere pietà di Kiyoko. Il cognome della bambina, Nagayoshi, non appare affatto.
- Nell’articolo, la persona che donò la bambola Okiku al tempio, non vi tornò, ma apparve sotto forma di sogno al monaco.
- Il monaco Imagawa fu il primo a notare che i capelli della bambola stessero crescendo.
- Nell’articolo non viene menzionato il nome della bambola: Okiku.
Ma le versioni della storia non finiscono qui.
Terza versione

Sei anni dopo, nel numero del 15 luglio 1968 del Young Ladies, una rivista settimanale femminile precedentemente pubblicata da Kodansha Ltd., un’importante casa editrice generale giapponese con sede a Otowa, c’è un articolo scritto dal giornalista di Hokkaido Broadcasting, sempre di Yutaka Mabuchi, in cui la bambola viene chiamata Okiku e racconta qualcosa di diverso rispetto all’articolo di sei anni prima. Quelle che seguono sono alcune delle storie introdotte dal capo sacerdote del Tempio Mannenji riportate nell’articolo.
«Quando la Grande Esposizione di Hokkaido (nota della citazione: 1912) si tenne a Sapporo, Sukenichi-san portò Kiku-chan con sé e, sulla via del ritorno, comprò una bambola giapponese in un negozio di bambole a Tanukikoji. Da allora, Kiku-chan ha sempre giocato con la bambola tra le sue braccia… anche quando dormiva, non la lasciava mai andare. (…) Tuttavia, l’anno successivo, Kiku-chan contrasse una forte influenza che divenne una polmonite e morì. L’anniversario della sua morte è il 24 marzo (l’anno è omesso). Passarono gli anni e nell’agosto del 1932 Sukenichi-san decise di trasferirsi nelle miniere di carbone di Moka a Sakhalin (o Sachalin) e mi affidò la bambola insieme alle ceneri di Kiku-chan. Ho messo la bambola nel cassetto sotto il piedistallo del Tathagata… Non me ne sono mai dimenticato, ma dopo la guerra… era nella primavera del 1955… mentre stavo pulendo il tempio, improvvisamente ho tirato fuori la bambola e ho notato che i capelli sporgevano da dove era stata strappata la carta da imballaggio. Quando è nata, questa bambola aveva i capelli a caschetto!»
dalla rivista Young Ladies del 15 luglio 1968, autrice: Yutaka Mabuchi
Sebbene questa versione sia più vicina di quanto non fosse all’inizio, non corrisponde ancora completamente all’attuale leggenda che circola in rete. Nell’articolo che ho potuto leggere per intero, ci sono delle differenze:
- È stato aggiunto un episodio del periodo Taishō (conosciuta come l’ “era di grande giustizia”) che va dal 30 luglio 1912 al 25 dicembre 1926, coincidente con il regno dell’imperatore Taishō.
- Si dice che Sukenichi, nato nel 1920, abbia avuto una figlia nel 1923 prima della sua morte.
- Il nome della bambina che muore cambia in Kiku.
- L’anniversario della sua morte è il 24 marzo.
- Fu nel 1933 che Sukenichi va al tempio per lasciare la bambola.
- La prima volta che Sukenichi nota che i capelli della bambola crescevano non era un sogno, ma una sessione di pulizia della casa.

Due anni dopo, il 15 agosto 1970, il quotidiano Hokkaido Shimbun (spesso abbreviato in Doshin), ha fornito la versione attuale della storia, con l’aggiunta del fratello, abbandonando completamente il personaggio molto discutibile del padre (probabilmente così la gente non mette più in dubbio la sua età). Questa è la versione che il tempio attualmente considera la versione “canonica”, rifiutando di accettare le versioni dubbie che probabilmente non riescono a spiegare. Questa versione diventa quella ufficiale della bambola Okiku, riconosciuta anche dai monaci dal Tempio Mannenji.
Esiste un grande divario tra la leggenda attuale e la sua origine. Anche se non è possibile dire con certezza se il primo articolo sia un’invenzione, va detto che il secondo è ancora più sospetto.
Curiosità
Negli anni Settanta, qualcuno propose una teoria per spiegare la crescita dei capelli della bambola Okiku. I capelli delle bambole antiche venivano prodotti prendendo una lunga ciocca di capelli umani, piegandola a metà e incollandola nella parte piegata in un piccolo buco nel cuoio capelluto della bambola. Si ritiene che, con il passare del tempo, la colla si sia sciolta e allentata, permettendo ai capelli piegati di scivolare e di apparire più lunghi da un lato, dando l’illusione che i capelli della bambola Okiku stessero crescendo. Probabilmente questo portò alla leggenda e, come spesso accade, la storia è stata enfatizzata.

Tuttavia, secondo i monaci del tempio, la bambola Okiku non viene quasi mai toccata e confrontando le varie foto della bambola originale, i capelli hanno lunghezze diverse. Alcuni internauti hanno fatto notare che in alcune fotografie, la bocca della bambola sembra essere più aperta, addirittura qualcuno avrebbe intravisto dei denti. Si tratta di notizie e immagini false; circolano in rete molte bambole che vengono attribuite alla Okiku originale, ma sono solamente imitazioni. Anche la foto in copertina utilizzata per questo articolo rappresenta solo l’idea di una bambola simile, ma non è la vera bambola Okiku.
Sarà vero che la bambola non viene mai spostata?
Dopo alcune ricerche, mi sono imbattuto in un forum giapponese su Yahoo!, dedicato al paranormale e ai misteri, e lì, ho trovato altre notizie sulla bambola in questione. Innanzitutto ho scoperto che questa bambola viene chiamata Ogiku (おきくのにんぎょう), e si tratta di una “bambola di crisantemo”, in quanto una superstizione giapponese vuole che vengano offerte bambole Ichimatsu (questo è il nome della tipologia di bambole) per pregare le anime dei bambini morti prematuramente per malattie o incidenti. E scopro una terza versione della storia e una fotografia dell’opuscolo del tempio che parla della bambola Okiku.


Aggiornamento: dal 6 aprile 2022 la sezione del forum non è più disponibile.
Quarta versione
In questa imprevista quarta versione della bambola posseduta alla quale crescono i capelli, il suo nome diventa Akiku. La storia è simile alla prima, ma ci sono alcune differenze. Tutto inizia sotto il regno dell’imperatore Taishō (1879-1926), nella città di Kurizawa, contea di Sorachi, Hokkaido. Nel 1915, un ragazzo di nome Juzi, molto legato alla piccola sorella Kikuko appena nata, le compra una bambola Ichimatsu. In seguito, Juzi contrasse una grave influenza e morì. Per commemorare Juzi, la sua famiglia conservò appositamente la bambola a lui più cara e la pose su una tavola dove veniva pregata ogni giorno.
Il 24 gennaio 1918 morì anche Kikuko, alla tenerà età di tre anni, sempre per una complicanza dovuta ad una grave forma di influenza che si tramutò in polmonite. Al suo funerale, la famiglia mise la bambola Akiku nella bara della figlia. Per un motivo sconosciuto, il padre, Suzuki Eikichi (il nome è lo stesso, ma invertito), scoprì che la bambola non fu bruciata e così decise di custodirla nell’altare buddista insieme alle ceneri della figlia. Pregando tutti i giorni su quell’altare, ci fu un giorno in cui si accorse che i capelli della bambola erano cresciuti improvvisamente.

Il 16 agosto 1933, la famiglia si trasferì a Sachalin, un’isola del Mar di Ohotsk appartenente alla Russia, di cui, insieme con le Curili e alcune isole minori, costituisce la provincia omonima con capitale Južno-Sahalinsk. Prima di farlo, Suzuki Eikichi chiese ai monaci del Tempio Mannenji di custodire sia le ceneri dei figli, sia la bambola. La Seconda Guerra Mondiale era alle porte e presto Suzuki fu chiamato a combattere.
Dopo la guerra, il signor Suzuki tornò in Giappone e scoprì che i capelli della bambola custodita nel tempio erano cresciuti di diversi centimetri. Questa storia fu riportata dalle stazioni televisive degli anni Sessanta e divente fonte di ispirazione per molte leggende e, a causa dell’esagerazione dei media, causarono il panico tra la gente. Per un periodo di tempo, le bambole abbandonate dai loro proprietari si potevano vedere sui cigli delle strade. Anche perché nei primi anni Venti, le bambole modellate su veri esseri umani, si riteneva avessero maggiori probabilità di attrarre le anime a risiedere in esse, e più erano amate dai loro proprietari e più era probabile che potessero essere possedute dagli spiriti.
Questa ennesima versione della storia vuole che Suzuki Eikichi si unì ai monaci del tempio, dove vi morì. Da allora la bambola fu chiamata Okiku.
Quinta versione (che ha ispirato il film The Ring)
Il Castello di Himeji, un edificio militare che si trova a Himeji, nella prefettura di Hyōgo, in Giappone, è una delle più vecchie strutture del periodo Sengoku che sono giunte fino a noi, tant’è che dal 1933 è stato inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. Il castello sorge in cima a una montagna ed è stato costruito tra il 1333 e il 1346 come dimora per il signore di Himeji. Oggi è una delle mete turistiche più popolari del Giappone, ed è considerato incredibilmente fortunato, quasi soprannaturalmente, per una storia piuttosto inquietante legata ad esso. La storia della bambola Okiku, che morì in un pozzo fuori dal castello.

Ebbene sì, in questa quarta versione, Okiku non è il nome dato alla bambola, ma il nome di una giovane donna che lavorava in una prigione sotto il castello, era la serva di un samurai di nome Tessan Aoyama, e Aoyama si prese una particolare simpatia per lei. Infatti, si innamorò follemente di Okiku, dicendole che avrebbe lasciato sua moglie per stare con lei. Ma Okiku non era d’accordo con questo piano, che portò al suo apparente omicidio per mano del brutale samurai.
Uno dei principali compiti di Okiku era quello di badare a dieci preziosissimi piatti d’oro di proprietà di Aoyama, e un giorno, il samurai decise di nasconderne uno. Disse a Okiku che se non avesse accettato di stare con lui, l’avrebbe accusata di aver rubato il piatto, cosa che avrebbe portato alla sua tortura e esecuzione. In una versione della storia, Okiku terminò la propria vita gettandosi nel pozzo del castello, credendo di trovarsi in una situazione senza via d’uscita. Nell’altra versione, Aoyama la gettò nel pozzo dopo che lei rifiutò di stare con lui. Naturalmente, la storia non finisce qui.
Dopo la morte di Okiku, si diceva che il suo spirito arrabbiato uscisse dal pozzo e apparisse ad Aoyama ogni notte. Aoyama sembrava essere stato reso pazzo dagli incessanti urli del fantasma vendicativo durante la notte; si sentiva regolarmente contare i piatti nella prigione, scatenando un violento accesso di rabbia ogni volta che si rendeva conto, come faceva sempre, che il decimo piatto mancava ancora. Una versione della leggenda vuole che quando Aoyama decise di sigillare il pozzo, Okiku entrò nel corpo di una bambola Ichimatsu che il samurai aveva regalato alla figlia.
I disegni di Okiku la ritraggono molto simile a Sadako/Samara della saga di The Ring, con lunghi capelli neri e un lungo vestito bianco. Questa è la rappresentazione generale di una persona che è morta in circostanze innaturali in Giappone: questi fantasmi sono chiamati Yūrei, che si traduce in “anima fioca” o “spirito tenue”. Queste donne morte in circostanze tragiche vengono sepolte in abiti bianchi, il kimono funebre, con i capelli sciolti, generalmente lunghi, neri e scompigliati. Si credeva che i capelli di questi defunti continuassero a crescere anche dopo la morte. E molto probabilmente la prima versione, quella più accreditata, della bambola Okiku, ha a che fare con questa leggenda.


Il pozzo, noto localmente come Pozzo di Okiku, può ancora essere trovato fuori dal Castello di Himeji, ma ora ha delle sbarre di ferro battuto che lo coprono. Si tratta forse di un tentativo di tenere lo spirito di Okiku rinchiuso nel pozzo? La bambola Okiku di questa ennesima versione sarebbe poi stata donata dallo stesso samurai al Tempio Mannenji a Hokkaido.
Quanto c’è di vero?
Che la bambola Okiku si trovi ancora nel Tempio Mannenji è affermato da vari turisti ancora oggi. Tuttavia, nessuno può confermare se i capelli della bambola crescano davvero, perché non si può toccare, né avvicinarsi molto. Non è nemmeno possibile scattare foto nel tempio dove la bambola Okiku è esposta (le foto in circolazione sono fornire dagli stessi che custodiscono il tempio e spesso vengono fornite ai media volutamente sfocate o di scarsa risoluzione e questo rende il tutto molto sospetto. Non ti forniranno mai una fotografia ad alta risoluzione per poter verificare i fatti. Io stesso ho richiesto una fotografia recente ed è la stessa più recente che ha pubblicato qualche blog che tratta la leggenda. Nella fotografia ho notato che i capelli non sono più lunghi come in qualche scatto meno recente; eppure a quanto hanno sempre sostenuto in quel tempio, la bambola Okiku non viene mai presa in mano né spostata.

Un’amica madrelingua (che mi ha aiutato in alcune traduzioni) è stata al tempio molti anni fa e chiese ad un moncao come mai i capelli della bambola Okiku non sono più lunghi come prima. Il monaco ha smentito che la bambola non venisse mai presa in mano dai custodi, anzi, i capelli della bambola vengono tagliati di tanto in tanto perché raggiungono la base della scatola. Allora lei chiese come mai non vengono lasciati crescere così a dimostrare l’autenticità del fenomeno e come mai non vengono tagliati sempre alla setssa lunghezza e vengono lasciati sciolti e disordinati. A questo il monaco non rispose, congedandosi per impegni.
Se la prima spiegazione plausibile della “crescita” dei capelli potrebbe essere attribuita alla manipolazione della bambola Okiku da parte dei monaci, esiste anche una spiegazione meno fraudolenta. I capelli delle vecchie bambole sono stati realizzati utilizzando un lungo ciuffo di capelli umani. Questo ciuffo veniva piegato a metà e quindi incollato all’interno di un piccolo foro nel cuoio capelluto della bambola. Nel corso del tempo, si ritiene che la colla si sia sciolta e allentata, causando lo scivolamento dei capelli piegati. Di conseguenza, invece di avere una lunghezza uniforme, sembra che i capelli della bambola stiano crescendo.
Nel disegno che vi propongo qui di fianco potete notare come il capello lungo viene piegato in due, inserendolo in un piccolo anello che verrà poi fissato nella testa della bambola. Questo metodo di “trapianto” di capelli era utilizzato per le bambole sia giapponesi che hawaiane. Supponiamo di volere che capelli della bambola siano lunghi dieci cm. In questo caso, va preparata una ciocca di capelli lunga circa il doppio, anche leggermente più lunga, circa venticinque centimetri, e va poi legata con un cappio di filo al centro. L’anello nel quale passa la ciocca di capelli viene inserito in un foro praticato nella testa della bambola e fissato con un adesivo che in Giappone viene chiamato nikawa, anche se tecnicamente questo termine non è specifico solo per il nastro adesivo, ma può essere utilizzato in contesti più ampi. E così, i capelli che in realtà sono lunghi più venticinque centimetri, piegati a metà circa, fanno sembrare che siano solo di diceci centimetri.
Ma se la colla invecchia o se viene applicata in modo approssimativo, anche la minima stimolazione può causare lo spostamento graduale dei capelli, rendendoli irregolari e allungati. Questa è la ragione più probabile per cui i capelli della bambola Okiku sembra che crescano. Ma per il silenzio dei monaci del Tempio Mannenji, non è stata condotta alcuna indagine dettagliata sulla bambola e al momento non è stato confermato se questo metodo di trapianto di capelli sia stato effettivamente utilizzato sulla bambola Okiku. Vi terrò aggiornati se ci saranno progressi.
Film ispirati alla bambola Okiku
Non esiste un film ispirato alla leggenda della bambola Okiku, ma ce n’è uno sui classici fantasmi giapponesi che pone al centro della storia una bambola dagli occhi di perla nera. Si tratta di The Doll House (2004) diretto da Takaaki Hashiguichi.

Il film mette in primo piano l’erotismo cinematografico giapponese senza portare con sé la misoginia fin troppo comune. Hashiguichi non dimentica di utilizzare le caratteristiche generiche del J-horror, inclusi i lunghi capelli scuri che intasano l’acqua del bagno; il fantasma vendicativo che appare ai margini della visione o come riflesso nello specchio; una colonna sonora minimalista e principalmente inquadrature fisse. Inoltre, le riprese ripetute degli occhi neri e ciechi della bambola che osservano i protagonisti nelle loro effusioni erotiche, aggiungono una sensazione opportunamente inquietante allo svolgimento.
Tuttavia, a differenza della bambola Okiku vestita tradizionalmente, la bambola maledetta di questo film sembra essere di origine occidentale o più appropriatamente interpretata come parte della tendenza e della sottocultura Gothic Lolita emersa in Giappone alla fine degli anni Novanta. In entrambi i casi, la bambola è, come sempre nei film horror, oscuramente inquietante.
Conclusioni
La storia della bambola Okiku continua a portarci dentro un mondo fatto di mistero e fascino, diventando ormai un’icona intramontabile per chi ama le leggende e le storie paranormali. L’idea che un semplice oggetto possa custodire una presenza, o addirittura prendere vita, ha incantato generazioni in tutto il mondo… e a ben vedere, come biasimarli?
Okiku, con il suo racconto di un amore spezzato e quella chioma che cresce come per magia, ha saputo catturare l’immaginazione di chi si lascia sedurre dal lato più oscuro delle storie. In fondo, storie come questa ci fanno da specchio: riflettono la nostra eterna fascinazione per l’ignoto, per la vita dopo la morte, e per l’idea che qualcosa di noi possa restare anche oltre il velo dell’esistenza terrena.

In un’epoca in cui la tecnologia e il razionalismo sembrano voler spiegare tutto, leggende come quella di Okiku ci ricordano che c’è ancora spazio – e forse anche bisogno – di mistero e meraviglia nella nostra vita quotidiana. Anche solo ascoltare o leggere racconti del genere aggiunge un pizzico di magia al grigiore di tutti i giorni, e ci invita a guardare oltre il visibile.
Ma Okiku non è solo una storia di paura: è anche una storia che parla di emozioni fortissime e di legami che sembrano superare persino la morte. Il legame tra quella bambola e la bambina che l’amava è così potente da non spezzarsi nemmeno con il passare del tempo, un piccolo ma potente promemoria di quanto possano essere profonde le connessioni umane… e di come le nostre emozioni possano davvero lasciare un’impronta sul mondo.
La leggenda di Okiku continua a vivere nel nostro immaginario, sospesa tra realtà e fantasia, come un dolce e inquietante sussurro che ci invita – ogni tanto – a credere che, forse, il mistero sia ancora là fuori.
E chissà… magari, la prossima volta che sentirete parlare di una bambola dai capelli che crescono, un piccolo brivido ti correrà ancora lungo la schiena.