Introduzione
Pensa alla storia di una bambola i cui capelli sembrano allungarsi in modo inspiegabile nel corso del tempo. Mi sto riferendo alla bambola Okiku, una bambola della cultura giapponese dei primi del Novecento.
Dopo alcune lunghe ricerche non ho trovato una storia univoca, ma come per la bambola Mandy, più versioni, direi anche numerose, creative e bizzarre. Ma prima di narrarvi le leggende legate alla bambola Okiku, vorrei descriverla, non solo come aspetto (una fotografia sarebbe più che sufficiente), ma per cosa sarebbe capace di fare.
La bambola Okiku è esposta attualmente ai visitatori del Tempio Mannenji a Hokkaido, in Giappone, dedicato alla setta buddista Jōdo-shū (che significa La Scuola della Terra Pura), nota anche come Buddismo Jōdo, che si rifà all’Amidismo del Buddismo Mahāyāna, incentrato sul culto di Amida (il Buddha della Luce Infinita). L’amidismo sostiene che i fedeli – credendo in Amida, ascoltando o pronunciando il suo nome, o desiderando condividere il suo Paradiso Occidentale – possono rinascere nella Terra Pura. Originario dell’India, l’Amidismo emerse in Cina nel IV secolo e poi, nel IX secolo, fu portato in Giappone, dove, nel XX secolo, le sette della Terra Pura compongono uno dei due più grandi gruppi buddisti.
La Terra Pura più comune oggi è quella di Amitābha (o Sukhavati), la cosiddetta Terra di Beatitudine, in cui i buddisti Mahayana possono aspirare a rinascere. Altre “terre pure” sono i Campi di Buddha di Aksobhya e Bhaiṣajyaguru, praticamente il “Buddha della Medicina”, descritto come un medico che cura la sofferenza utilizzando la medicina dei suoi insegnamenti (anche se questo è più raro).
La bambola Okiku è esposta all’interno di una piccola scatola di legno aperta. Okiku misura circa 40 cm e occupa un posto d’onore come parte di un santuario. Si dice che da circa ottant’anni, i suoi capelli devono essere tagliati man mano che crescono. Se non tagliati, i capelli potrebbero crescere fino a raggiungere la lunghezza del ginocchio della bambola, quindi, ogni anno vengono tagliati appena sotto la lunghezza delle spalle.
Alcune storie sulla bambola Okiku raccontano di quanto fosse maledetta, di come portasse morte e distruzione ovunque andasse, di come le persone si indebolissero in sua presenza e addirittura di come, con il passare del tempo, la bambola maledetta avesse assunto gli stessi occhi verdi della bambina a cui apparteneva.
Bizzarro se pensiamo che la bambina della storia era giapponese e, con una certa sicurezza, molto probabilmente non aveva gli occhi verdi. In una delle versioni, la temuta bambola Okiku, dopo aver causato la morte di varie persone, finisce in un negozio per essere rivenduta a un’altra sfortunata bambina. Tuttavia, nessuna di queste storie sembra essere vera, proprio perché troppo diverse fra loro e senza una fonte verificabile. Proprio per questo motivo si tratta di leggende.
Sappiamo tutti molto bene che le storie si trasformano man mano che vengono raccontate, ma alcune di queste versioni della storia della bambola Okiku, sono state così “occidentalizzate” che hanno perso quella sottile sensazione di disagio che rende la cultura giapponese così affascinante, trasformandosi in un cliché horror alla Hollywood.
Nonostante esistano fin troppe versioni giapponesi della storia, cercherò di rimanere fedele alle versioni principali, sperando di riuscire a mostrare alcune delle sfumature che riflettono la cultura giapponese e i cliché meno banali.
Prima versione della storia di Okiku
La prima versione della storia della bambola Okiku ci riporta al 15 agosto 1918, con un diciassettenne di nome Eikichi Suzuki che, durante una grande esposizione chiamata Sapporo Art Park, acquista una bambola. Il Sapporo Art Park ospita una varietà di eventi durante tutto l’anno, incentrati principalmente su mostre d’arte e artigianato e concerti musicali. La bambola in questione è vestita con un kimono rosso e porta un taglio di capelli corto a caschetto, noto come okappa in giapponese. La bambola Okiku è destinata alla sorella minore di Eikichi Suzuki, Kikuko, di tre anni.
La morte della piccola Kikuko
La piccola Kikuko Nagayoshi sviluppa un affetto profondo, oserei dire morboso, per la bambola Okiku, con cui gioca incessantemente, arrivando anche a dormire con lei. Non si allontana mai dalla bambola, ma l’anno successivo, la piccola Kikuko contrae una grave influenza che si trasforma in polmonite, portandola alla morte. Alcune versioni della storia suggeriscono che la causa potrebbe essere stata la febbre gialla.
In Giappone si usa un suffisso di nomignolo che viene aggiunto al nome di una persona. Questo suffisso è -chan, un termine affettuoso usato principalmente per le ragazze, i bambini, i neonati e gli animali domestici. Può esprimere un senso di intimità o familiarità. Tuttavia, l’uso di -chan può variare a seconda del contesto sociale e della relazione tra le persone. Ad esempio, potrebbe non essere appropriato in un contesto formale o professionale. Inoltre, -chan può anche essere usato per una persona che si trova in una posizione inferiore o junior rispetto a te in un ambiente di lavoro o scolastico. Ricorda che l’uso di “-chan” può essere visto come infantile o informale, quindi è importante capire quando e come usarlo correttamente. Nel caso di Kikuko, essendo una bambina e anche in tenera età, veniva utilizzato il suffisso -chan.
In Giappone, durante la cremazione di un caro defunto, è consuetudine che i parenti e gli amici più stretti depositino nella bara un piccolo ricordo o un oggetto che il defunto possa portare con sé nell’aldilà. Questi oggetti, chiamati fukusōhin (副葬品), traducibile come “corredo funerario”, sono pensati per offrire conforto al defunto. Durante il servizio funebre, gli amici più intimi e i familiari sono invitati a aggiungere questi oggetti alla bara. I tempi di questa pratica possono variare a seconda della regione del Giappone. Questa tradizione è stata adottata anche in Italia. Ricordo di alcuni piccoli oggetti messi all’interno della bara di un caro defunto. Io stesso infilai dei fogli piegati con le parole di una canzone che avevo composto per quella persona deceduta.
In Giappone, poco prima della cremazione, tutti coloro che hanno un oggetto da depositare lo posizionano accanto al corpo, magari accompagnandolo con qualche parola. Tuttavia, ci sono delle regole da rispettare. Gli oggetti, che verranno cremati insieme al defunto, devono essere infiammabili e non pericolosi. Tra gli oggetti comuni ci sono foto, lettere scritte al defunto, dolci o snack preferiti dal defunto, o un oggetto legato a un hobby o a qualcosa che gli piaceva molto quando era in vita. Tuttavia, molte cose non sono permesse, come tutto ciò che può interferire con la cremazione. Gli oggetti in metallo o vetro, come orologi, anelli o occhiali, non sono ammessi poiché non si bruciano completamente. Ovviamente, non importa quanto il defunto amasse i fuochi d’artificio, gli oggetti esplosivi sono assolutamente proibiti. Lo stesso vale per tutto ciò che può emettere gas tossici quando viene bruciato, come alcuni materiali plastici.
Immaginatevi la piccola Kikuko, di soli quattro anni, che amava profondamente la bambola Okiku che il suo fratello maggiore le aveva donato. Avrebbe desiderato che la bambola la seguisse nell’aldilà, e la sua famiglia avrebbe voluto esaudire questo suo desiderio. Tuttavia, per qualche motivo, forse a causa del dolore o delle regole del crematorio, la bambola non è stata cremata con lei.
Nonostante ciò, la famiglia ha trovato conforto nel conservare i resti di Kikuko-chan in un’urna sull’altare di famiglia, il butsudan, accanto alla sua amata bambola Okiku. Così, in un certo senso, erano comunque insieme. Ogni giorno, i familiari pregavano davanti all’altare in ricordo della dolce Kikuko-chan. Dopo alcuni mesi, hanno notato un dettaglio insolito: i capelli della bambola, originariamente corti e dritti, erano cresciuti fino alle spalle. La famiglia ha concluso che lo spirito della piccola Kikuko risiedeva nella bambola Okiku.
Nel 1938, con l’ingresso del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale, Eikichi fu arruolato e si trasferì a nord, a Sapporo. Alcune storie raccontano che tutta la famiglia si trasferì in vari luoghi, altre parlano solo della partenza di Eikichi. Prima di partire, affidarono le ceneri di Kikuko-chan e la bambola Okiku al Tempio Mannenji. Il motivo per cui la famiglia non li ha portati con sé rimane un mistero, aggiungendo un elemento inquietante alla storia.
Sette anni dopo, la famiglia tornò a visitare il santuario e a rendere omaggio a Kikuko-chan. I monaci avevano preso cura della bambola, chiamata Okiku, che ospitava lo spirito della bambina. Sorprendentemente, i capelli della bambola erano cresciuti ancora di più, raggiungendo la vita. Fu celebrata una cerimonia per tagliarli leggermente, ma i capelli continuarono a crescere. In seguito, la famiglia chiese ai monaci del tempio di custodire la bambola Okiku a tempo indeterminato e di pregare per lei, per assicurarsi che lo spirito di Kikuko rimanesse sereno. I monaci accettarono e continuano a farlo ancora oggi.
Potremmo considerare questa prima versione della storia come l’originale, quella senza fronzoli e aggiunte tipiche dei racconti dell’orrore, ma più spirituale e poetica. La domanda che mi sono posto è: se si è trattato di un fatto così profondamente familiare, come ha fatto questa storia a diventare una leggenda per di più fuori dai confini giapponesi? Ve lo racconto nella seconda versione della storia della bambola Okiku.