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Acheri

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I messaggeri di morte fanno parte del folclore di praticamente ogni cultura. Prendono diverse forme: da quella di mostri spaventosi a strani fenomeni e, in genere, il loro compito principale è semplicemente quello di avvertire le persone di un destino imminente. Ad alcuni di questi esseri soprannaturali, tuttavia, il folclore ama aggiungere un tocco sinistro. Come se il messaggio di morte non fosse abbastanza, le tradizioni cercano attivamente anche le vittime da danneggiare, ancor di più da uccidere. E ciò che fa paura è che, occasionalmente, si presentano come figure modeste e innocue, in agguato all’interno delle stesse comunità delle loro sfortunate prede. Spesso nel folclore vengono accostate figure contrastanti: bambini e fanciulle che ricordano la purezza e l’innocenza a demoni e mostri raccapriccianti. E gli Acheri ne sono un esempio. Nella migliore delle ipotesi, un semplice presagio di morte. Nel peggiore dei casi, un demone che diffonde la peste sotto le spoglie di un bambino indifeso. Se questo non è abbastanza inquietante, aspettate di conoscere la storia degli acheri.

Una rappresentazione di Acheri

Cosa sono gli Acheri?

Per descrivere gli acheri, non andiamo molto lontano dai “bambini minacciosi” della moderna cultura pop, specialmente del genere horror. Avete presente Damien Thorn del franchise di The Omen, o i bambini di Grano rosso sangue (Children of the Corn) del 1984 e persino Stewie Griffin di Family Guy? Ecco, non siamo poi così lontani dalla descrizione degli acheri.

In alto a sinistra Harvey Stephens nel ruolo di Damien Thorn in The Omen (1976).
In alto a destra un fotogramma da Grano rosso sangue (Children of the Corn) del 1984.
In basso a sinistra il personaggio Stewie Griffin creato da Seth MacFarlane e in basso a destra Yūya Ozeki nel ruolo di Toshio Saeki nel film The Grudge del 2004, remake di Ju-On del 2000.

Gli acheri sarebbero creature malvagie con radici che puntano sia alla mitologia indù che al folklore dei nativi americani. Si crede che siano Spiriti della Natura creati nel momento in cui una giovane ragazza muore tragicamente e prematuramente. Il suo spirito, tormentato e interrotto troppo presto, tornerebbe sul piano mortale per causare la sofferenza dei vivi. Nella credenza popolare indiana, purtroppo, spesso prenderebbero di mira altri bambini, causando loro lo stesso destino e condannandoli a diventare anche loro degli acheri.

Una rappresentazione della Bashee

In genere, si presentano alle loro vittime con le sembianze di una ragazzina piccola e denutrita. Se il loro obiettivo è un altro bambino, spesso cercheranno di guadagnarsi la loro fiducia giocando con loro. Se il loro obiettivo è un adulto, potrebbero cercare di apparire come se fossero in pericolo e avessero bisogno di aiuto. Si dice anche che possiedano capacità di mutaforma, che consentirebbe di cambiare il loro aspetto in base a ciò che attirerà maggiormente una potenziale vittima. Il folclore racconta che vivano nelle caverne ed escano verso il tramonto per cacciare. Una volta che sono in contatto con una potenziale vittima, si assicureranno che la loro ombra sia proiettata su di lei. Avere l’ombra sulla vittima diffonde una malattia, tipicamente classificata come una malattia respiratoria contagiosa. La leggenda narra di come gli acheri si nutrano e guadagnino potere dalla miseria umana, quindi diffondere morte e malattie consentirebbe loro di nutrirsi e diventare più potenti.

In qualche modo, gli acheri somigliano sia alla banshee dei miti irlandesi e scozzesi, sia agli psicopompi della mitologia nelle religioni monoteistiche, figure che svolgono la funzione di accompagnare le anime dei morti nell’oltretomba. Si pensi per esempio al Caronte dantesco. Altre figure simili agli acheri indiani sono i Ju-on del folclore giapponese, che abbiamo visto al cinema nella saga di The Grudge.

Come evitare di incorrere nell’ira di un acheri?

La tribù degli Ojibway

Fortunatamente, non sarebbe così impossibile: basterebbe un incantesimo di magia rossa, oppure, legare un filo o un nastro rosso intorno al collo. Perché rosso? Si dice che agisca come protezione contro il male ed è stato usato per secoli come colore di protezione. Nelle tribù di nativi americani degli Ojibway (chiamati anche Ojibwa e Ojibwe), conosciuti dai bianchi come Chippewa, un tempo stanziate nell’odierno stato del Michigan e sulle coste settentrionali del Lago Superiore e del lago Huron, si usava avvolgere attorno al collo un panno rosso, appartenuto ad una donna forte e ribelle; questo espediente avrebbe tenuto lontano gli acheri.

Alcuni antropologi hanno ipotizzato che gli acheri fossero creduti esseri elementali, a volte demoni, con il semplice scopo di diffondere la peste nel mondo fisico. Una descrizione non dissimile da alcuni demoni mesopotamici. Altre fonti associano gli acheri alle fate delle colline, abitanti delle caverne, che al calar del sole, scenderebbero dalle montagne e dalle cime delle colline, sotto forma di bambine, un travestimento per ottenere una facile simpatia dagli umani.
Che siano in origine fate o mostri orribili e scheletrici dagli occhi scuri e dalle lunghe dita simili ad artigli, poco importa, perché il loro scopo resterebbe quello di uccidere.

Nel caso in cui la peste si fosse già diffusa nei villaggi, alcuni sacerdoti/sciamani, battevano vigorosamente su un piatto di ottone, finché la vittima, la prima preda contagiata dagli acheri, non cadeva in trance. Successivamente veniva posta su un altare attorniato da torce e candele e portata in un luogo isolato con la speranza che gli acheri si placassero.

Gli Acheri oggi

Al giorno d’oggi, specialmente con il costante progresso della medicina e della tecnologia, la maggior parte di questi metodi anti-acheri, è rimasta nella tradizione di alcuni villaggi. È possibile che gli acheri fossero solo la personificazione delle pestilenze, in un periodo storico in cui non potevano essere spiegate. Dopotutto, per le scarse conoscenze di alcune tribù, era più facile sconfiggere o placare un singolo mostro, piuttosto che  una malattia diffusa. Alla fine, però, tutto si riduce al bisogno innato dell’essere umano di sopravvivere, un tratto che possediamo ancora oggi, mentre continuiamo ad affrontare gli effetti di una pandemia globale.

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